Cronache

Naufragio a Lampedusa, salva una bimba di 11 anni. Sea Watch: "Nel 2024 meno arrivi ma ancora troppi morti. Il decreto flussi non argina l'emergenza: così si ostacola la società civile in mare"

Giorgia Linardi, portavoce Sea Watch Italia, commenta il naufragio di questi giorni

di Francesco Crippa

Naufragio a Lampedusa: salva una bimba di 11 anni. L'intervista di Affari alla portavoce di Sea Watch Italia, una delle più importanti Ong che operano in quelle acque

La felicità e la commozione per il salvataggio di una bambina di 11 anni al largo di Lampedusa non ci deve far dimenticare che ci sono 44 persone che erano con lei in quella “gabbia di morte” e che hanno perso la vita cercando di raggiungere le sponde italiane. Morti di cui, senza il “miracolo” del salvataggio, come è stato chiamato, nessuno avrebbe saputo nulla. Fantasmi del Mediterraneo, il cui numero cresce di anno in anno. Per Giorgia Linardi, portavoce Sea Watch Italia, una delle più importanti Ong che operano in quelle acque, quanto successo dovrebbe stimolare un cambio di approccio al fenomeno migratorio per superare delle politiche (italiane ed europee) che reputa inefficaci.

Giorgia Linardi, il salvataggio di mercoledì mattina è un episodio fortunato, per qualcuno “un miracolo”. Cosa ci dice della situazione nel Mediterraneo?

“È un simbolo. È successo il giorno dopo la Giornata internazionale dei diritti umani, due settimane prima di Natale, è una bambina che viaggiava col fratello: quale monito più potente esiste per dirci che serve un cambio di politica?"

Alla felicità per il salvataggio della bambina fa da contraltare il dolore per la morte di 44 persone. Se lei non fosse sopravvissuta, non avremmo avuto notizia di questo naufragio. Quanti sono i “fantasmi” del Mediterraneo?

“È questo il vero tema, noi lo sottolineiamo sempre. I dati sugli sbarchi sono in calo, ma non c’è un corrispettivo calo nelle morti. Nel 2023, anno record, ci sono stati oltre 150mila sbarchi e 3.155 morti registrate. Nel 2024 gli arrivi sono scesi a 64mila circa, ma in proporzione ci sono più morti: se ne contano 2.050, che potrebbero essere molti di più perché non sempre se ne ha notizia. Un governo civile si dovrebbe preoccupare di questa situazione”.

Per il governo, invece, la diminuzione degli arrivi è una vittoria.

“Sì, ma le politiche non sono efficaci. Gli accordi con la Libia, che prevedono l’intercettazione in mare dei migranti da parte dei libici, spingono i migranti verso la rotta tunisina. Quindi meno arrivi non vuol dire meno persone che provano a venire in Europa. Tra l’altro, dalla Tunisia si parte con barchini di ferro come quello su cui viaggiavano i 45 e che sono vere e proprie gabbie di morte. Sono delle trappole mortali, perché hanno una linea di galleggiamento molto bassa e quando imbarcano acqua vanno subito a fondo”.

Cosa serve per cambiare approccio?

“Salvare le persone in mare è come curare un sintomo, ma bisogna intervenire alla radice. Dobbiamo essere lucidi nel renderci conto che le politiche in corso alimentano la tratta di essere umani, finanziano un ciclo di abusi. Una persona che viene intercettata in mare e riportata indietro viene poi detenuta arbitrariamente e abusata. Nessuno si pone il problema di cosa ne sarà di loro. È facile, però, che provi a reimbarcarsi, quindi con questa situazione gli scafisti possono lucrare sulla stessa persona più e più volte”.

L’Italia e l’Unione europea sembrano andare verso politiche più securitarie. Come immaginate il futuro?

“La direzione intrapresa è opposta a quella che dovremmo seguire. Lo stesso Decreto flussi recentemente approvato è un tentativo di ostacolare la società civile in mare. Io mi sarei aspettata che a seguito di quanto accaduto ieri il governo convocasse l’equipaggio della Trottamar III: invece c’è stato solo silenzio”.

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