Cronache

La Buona Scuola? No grazie, la vogliamo Giusta



Di Ernesto Vergani
 

In un Paese sostanzialmente catto-comunista come l'Italia, lo scontro sulla riforma della scuola si sta impantanando in vecchi preconcetti. Mancano premesse programmatiche e linee di indirizzo forti. Senza le quali gli aspetti innovativi e in alcuni casi iper-innovativi del provvedimento del Governo presieduto da Matteo Renzi rischiano di rimanere superficiali.

In attesa del voto finale della settimana prossima alla Camera, tutto si gioca sul filo dell'ambiguità.  Affermare come fa il presidente del Consiglio "Sì al dialogo e no al boicottaggio", sintetizzando il tutto col concetto di "buona scuola", significa andare al braccio di ferro.
E' lo Stato che si fa carico della scuola che forma i suoi cittadini. Si guardi al modello tedesco che indirizza e seleziona gli studenti nel percorso di studi. La prova che la scuola pubblica tedesca funziona è che i ricchi che temono che i propri figli non ce la facciano, li mandano alla scuola privata. Ma ovvio pure ci sono tedeschi che optano per la scuola privata per scelta. (Anche sulla riforma della scuola il Governo Renzi non spiega se anche solo in parte, se e a quali modelli esteri si ispiri).

La frase ricorrente tra gli stakeholder (genitori, insegnanti, politici, studenti, sindacati) è: "La scuola è di tutti". In realtà la scuola è dello Stato. L'ex presidente della Camera ed ex Pci Stefano Rodotà ha affermato al talk show "Ballarò" che non bisogna dare un euro alla scuola privata se prima quella pubblica non sia perfettamente efficiente.

Le scuole private - che hanno tutto il diritto di esistere in una democrazia dove ciascuno è libero di avere le proprie idee e quindi di frequentare la scuola che vuole - sono in molti casi migliori di quelle pubbliche. Dall'altra parte in altri casi è vero il contrario.
Si guardi ai Paesi anglosassoni dove le scuole e le università formano menti tra le migliori che portano crescita e benessere a tutto il Paese. Non si dimentichi che un alunno della scuola privata non pesa sulle casse dello Stato e fa risparmiare migliaia di euro.

La scuola pubblica si migliora introducendo criteri manageriale e aumentando lo stipendio agli insegnanti che se lo meritano. I ragazzi di oggi, i nativi digitali, ragionano diversamente dai loro padri e necessitano di nuovi strumenti. Ben vengano tanti contenuti della riforma della scuola del Governo.

Il nemico è il buonismo: "Siamo tutti uguali e tutti -  potenzialmente - bravi allo stesso modo".  Sbagliato. Le persone non sono uguali. Senza questa consapevolezza, la parola "merito" è usata in modo ipocrita.

La scuola giusta è quella che chiede moltissimo, che seleziona i migliori. Tanti politici della Prima Repubblica erano figli di persone con diploma di scuola elementare. La scuola chiedeva moltissimo e i migliori di essi assursero ad alto rango.
Se si abbassa l'asticella della difficoltà, come si è iniziato a fare in modo sistematico a partire dagli inizi degli anni 2000 con Luigi Berlinguer, ministro prima dell'Istruzione e poi dell'Università, solo chi nasce in una famiglia fortunata sotto l'aspetto culturale ed economico raggiunge l'eccellenza.

In particolare nelle scuole primarie dove i bambini africani, arabi e cinesi spesso sono persino il doppio degli italiani, i genitori di questi ultimi hanno il condivisibile dubbio che l'asticella della preparazione - in questa fase storica per l'Italia - sia troppo bassa. Risultato: la scuola buonista di tutti rischia in realtà di essere una scuola discriminante e classista.