Cronache
"Con azioni legali infondate e all'estero a rischio la libertà di stampa"
Intervista all'Avv.Caterina Malavenda, massima esperta del tema: "Bisognerebbe introdurre l'obbligo di versare una cauzione parametrata al danno che si chiede"
Agire contro un giornalista per diffamazione, in sede penale o civile, anche senza effettive ragioni, per metterlo in difficoltà sul piano economico e quindi intimidirlo. Il fenomeno non è nuovo, ma negli ultimi tempi si sta verificando con sempre maggiore frequenza e, come vedremo, con ulteriori profili che aumentano il carico sulle spalle di viene citato in giudizio. L'avvocato Caterina Malavenda è una delle massime autorità nel settore e, oltre ad assistere numerose testate e singoli giornalisti, è anch'essa giornalista pubblicista su temi giuridici, oltre che docente nei corsi di preparazione all'Esame di Stato in diversi master universitari. E' lei l'interlocutore più qualificato a inquadrare il problema delle “querele temerarie”, così definite nel gergo giornalistico, ma in maniera decisamente impropria: “Chiariamolo subito: la 'querela temeraria' non esiste nel nostro sistema”, spiega ad affaritaliani.it.
Ci aiuta a fare chiarezza?
In sede civile esistono la “lite temeraria” e “l'abuso di processo”. Sono due istituti che servono a sanzionare economicamente coloro che agiscono con dolo o colpa grave o abusano del processo, in entrambi i casi avviando una lite che non ha alcun fondamento. In sede penale non esiste un istituto analogo: se un imputato viene assolto, meglio per lui, ma non riceve soldi da nessuno. E paga comunque le sue spese legali. Diciamo che ci sono querele che possano definirsi “temerarie”, ma è un termine giornalistico: sul piano giuridico, non esistono