Cronache

"Con azioni legali infondate e all'estero a rischio la libertà di stampa"

Lorenzo Zacchetti

Intervista all'Avv.Caterina Malavenda, massima esperta del tema: "Bisognerebbe introdurre l'obbligo di versare una cauzione parametrata al danno che si chiede"

Tuttavia il principio è corretto: quando noi giornalisti sbagliamo, è giusto che chi si ritiene danneggiato faccia valere i propri diritti. Quando possiamo parlare, anche se in gergo, di querele “temerarie”?
Ovviamente chi agisce in sede civile o penale esercita un diritto costituzionale. Il problema è il suo abuso: in sede civile viene punito con una sanzione economica, mentre in sede penale no. La lite temeraria è configurabile quando un'azione viene promossa non solo senza alcun fondamento, ma anche sapendo di avere torto. Facciamo un esempio: se querelo un giornalista che mi ha dato del ladro, ma ho subito una condanna definitiva per furto, è chiaro che so di avere torto. O ancora: se querelo un giornalista perché ha scritto che sono indagato, motivandolo col fatto che poi sono stato assolto, so di avere torto, perché la successiva assoluzione non cancella il fatto che io fossi effettivamente indagato. Queste sono cause promosse con dolo o colpa grave. L'abuso di processo è invece un po' meno grave, infatti viene sanzionato meno duramente. Diciamo che si tratta di una figura un po' "borderline" tra un'azione semplicemente infondata e una temeraria

In che senso?
L'abuso di processo si verifica quando intento una causa pur sapendo che, sulla base dei principi giuridici consolidati, non ho ragione. Questa condotta può essere sanzionata anche d'ufficio dal giudice, che può stabilire un'indennità a favore della parte chiamata in causa ingiustamente. Per il riconoscimento della lite temeraria, invece, serve una domanda specifica e motivata, da parte di chi l'ha subita: questa è la differenza fondamentale.

Eppure si dice che le azioni temerarie vengano intentate perché chi le fa non rischia niente, al contrario di chi si deve difendere e comunque spende dei soldi. Alla luce di quello che lei mi sta dicendo, non è proprio così. Sbaglio?
Beh, ci sono dei casi dai contorni piuttosto sfumati e dagli esiti imprevedibili: ad esempio, quando faccio causa a chi, pur raccontando un fatto vero, usa dei termini gratuitamente offensivi. In questo caso, non si può dire che si abusi del processo, perché si può a buona ragione ritenere che sia stato violato uno dei tre criteri che servono per escludere la punibilità della diffamazione: la “continenza” verbale (gli altri due sono la verità del fatto e l’interesse pubblico). Male che vada, posso perdere il processo, perché il giudice ritiene che non sia stato violato il limite della continenza, ma non c'è un abuso. La valutazione sul linguaggio usato, in particolare, è piuttosto soggettiva e può cambiare molto di caso in caso, non ci sono dei principi consolidati: decide il giudice, che mi può dare torto, ma non c'è il rischio che io venga condannato per lite temeraria. Se invece io contesto la veridicità di un fatto, pur sapendo che effettivamente è vero, commetto un abuso