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Cronache
Consip, Amodio: "Traffico di influenze? Mai una condanna. Pm cercano consenso"

di Lorenzo Lamperti
twitter11@LorenzoLamperti

"Traffico di influenze illecite? A quanto mi risulta non si è mai arrivati a una sentenza di condanna per questa fattispecie di reato". A parlare, in un'intervista ad Affaritaliani.it, è il professor Ennio Amodio, uno dei massi esperti di diritto penale in Italia e già protagonista di alcuni dei processi più importanti degli ultimi decenni tra cui Mani Pulite e Parmalat.

Ennio Amodio, qual è la sua valutazione sul traffico di influenze illecite, l'ipotesi di reato per la quale è indagato Tiziano Renzi nel caso Consip?

Questo reato, come si sa, è di nuovo conio. E' stato introdotto dalla legge Severino nella riforma dei delitti contro la pubblica amministrazione. Effettivamente è un reato in cui si colgono varie zone d'ombra. Per esempio il ruolo che dovrebbe essere attribuito a una persona che sta all'esterno rispetto alla vicenda corruttiva ma che in qualche modo la influenza e ne trae dei vantaggi. E' certamente vero quanto sostengono alcuni studiosi, cioè che ci troviamo di fronte a una norma che se non è proprio in bianco è quantomeno abbastanza grigia. Non mi risulta tra l'altro che vi siano state finora delle sentenze di condanna per questo reato. E' una specie, diciamo così, di concorso esterno. Non è una definizione strettamente giuridica ma credo renda bene l'idea della posizione di una persona che agisce all'esterno di una vicenda ma la favorisce e influisce su questa stessa vicenda.

Si tratta dunque di una fattispecie di reato utilizzata quando mancano le prove di un reato più grave?

A volte si parte da questo. C'è già un esempio di questo tipo nella nostra esperienza penalistica. Quando i magistrati non riuscivano a trovare le prove del versamento di somme di denaro e rilevavano qualcosa di irregolare nel comportamento del pubblico ufficiale contestavano il reato di abuso d'ufficio. La stessa cosa può essere accaduta nel caso dei rapporti tra il traffico di influenze e la vera e propria corruzione. Laddove non vi sono riscontri specifici di un utilizzo di denaro o ricevimento di denaro da parte di un soggetto si sposta tutta l'attenzione sul piano del traffico di influenze. Non è detto che partendo da questa fattispecie si arrivi a individuare un fatto corruttivo. Può essere anche che ci sia una regressione e si vada in un'area da cui possa emergere invece un'assoluta estraneità delle persone coinvolte sia alla vicenda corruttiva sia allo stesso traffico di influenze. Siamo nell'ambito delle sfumature: sfumature di grigio e sfumature di nero. Ma tante volte alla fine resta solo il fumo e nient'altro.

Nella sua esperienza che cosa succede di solito in questi casi? I pm sperano di acquisire le prove magari grazie a qualche passo falso degli indagati?

Non c'è una regola, è difficile stabilire come vada a finire. Chi compie le indagini comincia a ipotizzare un reato che è compatibile con le prove finora raggiunte e spera poi andando avanti di acquisire nuove prove e poter contestare il reato più grave. Sono fattispecie prodromiche, antecedenti e collaterali rispetto all'area centrale della responsabilità che è quella del fatto corruttivo ma che servono ad avviare le indagini e rendere possibile che una persona venga sentita come indagato e da lì si creino degli sviluppi per poter arrivare a conclusioni più concrete.

Sulla vicenda Consip, come spesso accade, c'è stata una grande fuga di notizie. Come se lo spiega?

Il problema di fondo è che in molte occasioni le procure della Repubblica e chi collabora con le procure, per varie ragioni, hanno la possibilità di fornire informazioni alle testate giornalistiche. Secondo diverse inchieste sociologiche la diffusione di queste notizie serve a dare sostegno e supporto all'indagine con i magistrati che ottengono in questo modo il consenso della collettività. 

Cioè, sta dicendo che in questo modo si ottiene una sorta di primo "giudizio mediatico"?

Certo, il giudizio mediatico accompagna l'agire della magistratura e la rende più sicura perché quest'ultima sa di avere un alleato nell'opinione pubblica che vuole che si puniscano i presunti colpevoli, soprattutto se appartengono alle sfere più alte della politica.

Davigo sostiene che dai tempi di Mani Pulite la corruzione in Italia non è diminuita, anzi è aumentata. E' d'accordo?

La situazione dai tempi di Mani Pulite non è cambiata, sono cambiati i metodi della corruzione però la capacità di penetrare all'interno della pubblica amministrazione alterando il corso normale delle gare di appalto o della corretta condotta amministrativa è rimasta tale e quale. Oggi come oggi certamente c'è anche una responsabilità della politica perché avrebbe dovuto fare degli interventi sul piano dell'azione amministrativa. Non si può pensare che la magistratura da sola possa combattere la corruzione. Ci vuole un'amministrazione più controllata con processi interni improntati alla legalità e questo compito spetta alla politica.

Ritiene che oggi in Italia sia rispettato il principio di equilibrio tra i diversi poteri?

La magistratura è venuta ad assumere una netta supremazia nei confronti della politica. Questo è uno spazio che è stato lasciato libero da una politica più debole e incapace di gestire direttamente i problemi legati alla corruzione. Non solo, talvolta la politica ha lasciato volentieri i magistrati a briglia sciolta. Quando si è all'opposizione fa comodo che i magistrati facciano inchieste che colpiscono chi fa parte della maggioranza. E poi nel momento si diventa minoranza non si riesce più a dominare questo problema perché chi acquista il potere ha la stessa finalità e quindi la magistratura continua a essere il perno di una legalità che finisce però per debordare e assumere contorni talvolta al di là dei confini previsti dalla Costituzione.

Quali sono le responsabilità della politica?

La cosa che colpisce di più è che la magistratura continua a dominare la scena del controllo dei poteri e questa debolezza del potere politico fa il gioco del potere giudiziario che agli occhi dell'opinione pubblica appare come l'unica istituzione in grado di reggere il confronto sul piano del controllo di legalità. Questo porta a un'espansione e a un'invadenza della magistratura su aree e tempi che a volte non è tollerabile. L'atto che ha costituito il venir meno degli equilibri tra magistratura e politica è stata la riforma dell'articolo 68 della Costituzione con l'abolizione dell'autorizzazione a procedere ai tempi di Mani Pulite. Avendo aperto quella diga è chiaro che in ogni momento e anche tramite strumentalizzazioni che di volta in volta si possono manifestare l'attacco politico si sposta sulla sfera giudiziaria. Del resto, ne abbiamo un chiaro esempio anche in Francia con il caso Fillon. Quando non si riesce a contrastare un avversario politico sul piano della dialettica allora la battaglia si trasferisce sul piano giudiziario.

In Italia invece abbiamo una vicenda che può compromettere la corsa verso la segreteria del Pd di Renzi, il cui rivale principale è un magistrato in aspettativa. Tutto normale?

E' una situazione paradossale. Ricordiamoci che la magistratura di Santa Maria Capua Vetere ha fatto cadere il governo Prodi quando fu emesso il provvedimento cautelare nei confronti della moglie del ministro Mastella. Abbiamo delle situazioni assolutamente anomale e in questa fase della nostra vita politica non si riescono a superare perché non si riesce a recuperare quell'equilibrio tra i poteri richiesto dalla Costituzione.
 

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