Cronache

Forteto. La sentenza: «Un martellante lavaggio del cervello»

Simone Cosimelli

Ecco le motivazioni della condanna in Appello. Un macigno sulla comunità degli abusi

Un altro macigno sul Forteto. La II sezione penale della Corte d’Appello di Firenze ha depositato le motivazioni della sentenza di condanna per 10 imputati della comunità «setta» del Mugello (rispetto ai 16 del primo grado di giudizio). Comunità dove molti ragazzi avrebbero convissuto con abusi sessuali e maltrattamenti. Durissimo il giudizio sul fondatore e principale imputato (15 anni e 10 mesi) Rodolfo Fiesoli, detto il Profeta. Scrive la Corte: «Dai modi bruschi e scurrili, con uomini e donne, sempre pronto a usare le mani e abbassarsi i pantaloni mostrando il proprio membro, non si sa bene per quale fine propedeutico o educativo». E ancora, sui maltrattamenti: «Non si compendiavano esclusivamente in aggressioni fisiche o offese, ma si applicavano vieppiù in condizioni umilianti, sminuenti, castranti tese a comprimere la psiche della vittima».     

 

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I giudici puntano il dito contro le punizioni che ai minori venivano inflitte, l’isolamento e la derisione cui erano sottoposti nel caso non assecondassero le direttive di Fiesoli e i «fedelissimi». Dovevano confessare «debolezze mai commesse o abusi mai ricevuti» per riconoscere, ex post, un’omesessualità latente. Il Profeta, con le buone, prima di passare alla forza, giustificava gli abusi in questi termini: «Tutti dobbiamo liberarci della nostra materialtà, questo è affetto puro, vero amore». Di più. «A tutto ciò si uniscono le rigide regole di separazione dalla famiglia di orgine - continuano le 183 pagine - denigrata e calunniata, e anche la separazione interna di fratelli affidati a diverse famiglie funzionali (un modello di famiglia mai teorizzato, e tuttavia applicato, dove i regolari rapporti filiali vengono neautralizzati, Ndr), e infine l’ulteriore separazione tra soggetti maschili e femminili con più o meno larvata imposizione di rapporti omosessuali». E poi ancora i «chiarimenti», una pratica di riconciliazione a tu per tu, considerata «forma invasiva di pressione psicologica e di controllo dell’intimità degli ospiti».

Ne esce a pezzi la difesa, tentata dagli avvocati degli imputati, riguardo una «teoria del complotto» ordita dalle vittime per finalità venali, che arrivava a vedere nella solidarietà reciproca una forma di congiura alimentata tramite contatti, gruppi facebook e vari canali di comunicazione. Avrebbe dovuto compromettere la validità del processo, per via di un «contagio tra testimoni» ed è invece stata bollata come «impraticabile», assolutamente non convincente. L’altro bastione dei legali era la contestualizzazione degli eventi, inseriti in anni – il Forteto nasce nel 1978 – in cui si tendeva a mettere in discussione il modello classico di famiglia e di società civile. «Non si può stigmatizzare chi ha creduto, dopo il '68, in un sistema a metà tra Cristo e Marx solo perché ora non si è d'accordo», si sentiva in aula la scorsa estate. Sul tema, la Corte ha scritto: «Nessuna innovazione, nessun apporto di teorie per quanto stravaganti e rivoluzionarie possono dirsi congrui se passano da un’analisi così morbosa e sessualizzata del vissuto, da parte di soggetti peraltro incompetenti (i vertici del Forteto vantavano lauree in psicologia mai possedute Ndr), non dotati di strumenti scientifici ma forti di un’attività manipolatoria rozza e violenta». In ultimo, si rimarca l’umiliazione nei confronti delle donne presenti al Forteto – che il Fiesoli considerava «tutte maiale» - tesa alla totale svalutazione della figura femminile. Il racconto – concludono i giudici riferendosi a testimoni e vittime – sia pure con sfumature diverse è emerso nitido e univoco, con tutte le notazioni dolorose di un vissuto per niente facile e con la mente assorbita da un martellante lavaggio del cervello».


Un colpo duro anche per la cooperativa, volto economico del Forteto (con fatturato, odierno, e in forte perdita per la bufera giudiziaria, di circa 12 milioni). La Corte, riprendendo la tesi della difesa che mirava a dimostrare la divisione intercorsa tra l’ente e i soggetti coinvolti, sancisce: «La sentenza (in primo grado, Ndr) ha pienamente dimostrato il contrario». Fiesoli, Goffredi (il braccio destro del Profeta), e tutti gli altri imputati, proprio in qualità di soci, interagivano coi ragazzi, col Tribunale dei minori e i servizi sociali. O meglio: su ragazzi, Tribunale dei minori e servizi sociali avrebbero avuto mano libera. E l'esistenza di atti formali di affidamento a capo della coop o del presidente, e non della comunità, rimuoverebbe ogni dubbio. Seppur ridotta per questioni procedurali, è stata dunque confermata la condanna in solito alla coop col pagamento di circa 850mila euro in favore delle vittime. Da aggiungersi ai pagamenti dovuti dai condannati non solo a chi ha denuciato, ma anche ad alcuni enti: tra cui regione Toscana, Città Met di Firenze (ex-provincia) e i comuni implicati nello scandalo in qualità di parte civile. 12 erano le vittime su cui l’accusa contestava maltrattamenti e abusi subiti per periodi di tempo non suscettibili a prescrizione. Proprio la prescrizione, infatti, molto ha influito sull’esito finale. Anche se procedimenti giudiziari definitivi (tra cui una condanna passata in giudicato nell’85, e una della Corte di Strasburgo del 2000) già inchiodavano il Forteto.

Tra chi, per ragioni simili, non era coinvolto nel processo, ma ha testimoniato, c’è il Presidente dell’associazione Vittime, Sergio Pietracito. «Alla fine non c’era nessun complotto, era tutto vero – si sfoga con Affari Italiani – ora la politica risolva questa situazione, veramente imbarazzante per la società civile». Già. Perché la storia del Forteto – che vanta ulteriori indagini e un processo collaterale per un ragazzo che sarebbe stato abusato da Fiesoli – si rovescia anche nel campo politico. Un dossier di denuncia riguardo coperture e compiacenze della politica toscana firmato da esponenti di tutte i partiti, riuniti nella seconda commissione d’ichiesta regionale, ha esortato il parlamento per istituire a sua volta una commissione d’inchiesta che abbia più incidenza, nonché per commissariare la coop per la mancata discontinuità rispetto al passato. «Rilanciamo le nostre conclusioni – spiega ad Affari il Presidente della commissione, Paolo Bambagioni (Pd) – Sul tavolo del Ministro Calenda c’è il nostro lavoro, e non molti giorni fa l’ho sollecitato per chiarire in quale stato si trovi l’istruttoria, o se eventalmente sia stata chiusa. La sentenza arrivata è un ulteriore stimolo in questo senso. Vogliamo chiarimenti. Nella coop, oggi, rimangono alcuni dei “fedelissimi“ del Fiesoli. C’è una finalità sociale in questo?». Molto più duro Stefano Mugnai (FI): «Sul Forteto – tuona - non ci sono più né scappatoie etico-morali, né margini di trattativa sui fatti, né – men che mai – possibilità di accampare scuse ideologiche». Con chiaro riferimento al Pd nazionale, che sembra restio ad arrivare fino in fondo. Al Senato se ne doveva parlare prima di Natale, ma la crisi di governo ha allungato i tempi. Senza peraltro fissare date certe. Il dossier sul Forteto, intanto, in attesa della Cassazione, giace nei cassetti di palazzo Madama. Dimenticato, e sempre più ingombrante.