Cronache
La "resilienza" finisce nel PNRR. Verso un’Italia antifragile
“Oltre sarcasmo e meme, quello dopo la pandemia sarà un salto di paradigma culturale, sociale e infrastrutturale”. Parla il sociologo Andrea Fontana
Il termine resilienza è venuto alla ribalta dopo il suo rilancio politico nel PNRR, il programma di investimenti che l’Italia e gli altri partner Ue devono consegnare alla Commissione europea per accedere alla risorse del Recovery Fund. Ma in che senso si parla di resilienza nel Piano? C'è qualche affinità con il concetto di "antifragilità"? Affaritaliani.it ha approfondito con il sociologo della comunicazione Andrea Fontana.
Che cosa vuol dire "essere resiliente" e in che senso nel Recovery Plan?
Nelle scienze sociali si discute di resilienza almeno dagli anni Settanta del Novecento. Il termine, mutuato dall’ingegneria delle costruzioni, indica la capacità di alcuni materiali di resistere agli urti e di recuperare la loro forma originale dopo essere stati sottoposti a situazioni di stress fisico. Nelle scienze umane indica un particolare processo di adattamento a situazioni di stress e di rischio psicologico-sociale potenzialmente pregiudizievoli per lo sviluppo emotivo, cognitivo e socio-relazionale dell’individuo. In sostanza – soprattutto secondo il neuropsichiatra francese Boris Cyrulnik (grande studioso del tema) - non è solo la voglia di sopravvivere a tutti i costi, ma è anche la capacità di usare l’esperienza nata da situazioni difficili per costruire nuovi modi di vivere il futuro ed elaborare situazioni di lutto e dolore, cercando di resistere al meglio.
Nel Pnrr è intesa come capacità collettiva dell’Italia di affrontare avvenimenti dolorosi, che da naufragi e perdite possono diventare approdi e nuovi slanci. Abilità di elaborazione di stress per risorgere da situazioni traumatiche. Ma l’approccio deve essere sistemico: cioè tutto il Paese deve essere resiliente, non solo gli individui ma anche le Istituzioni e le aziende. Penso che le sei missioni del Recovery Plan (transizione ecologica, digitalizzazione, inclusione e coesione, salute, infrastrutture per mobilità sostenibile, ricerca e istruzione) siano state pensate proprio come assi fondamentali e sistemici per attuare il processo di ricostruzione all’urto e alle conseguenze, economiche, psicologiche e sociali, della pandemia
La scelta terminologica è stata oggetto di boutade e meme…
Del Pnrr c’è ancora poca consapevolezza. Che cosa significa davvero, chi erogherà i fondi, perché, con quali modalità? Credo sia stato soprattutto questo a generare malumore e quindi sarcasmo, boutade e meme. In particolare il lavoro e la vita sociale, assi portanti della nostra Costituzione, durante e dopo la pandemia si trasformeranno. Così i rapporti di impiego, la gestione degli orari, le modalità di raggiungere i risultati e di generare prestazioni, le relazioni tra capi e collaboratori, i modi di esprimere la leadership (più inclusiva). Si andrà al di là dell’ideologia dell’operatività e del risultato fine a sé stesso. Lavorare non significherà più essere occupati in un “fare affaccendato” ma diverrà una ricerca costante della propria occupabilità, una professionalità in progress. Un grande e difficile salto di paradigma culturale, sociale e infrastrutturale. O saremo resilienti, capaci cioè di trovare insieme nuove forme per costruire ricchezza e crescita sociale attraverso l’occupabilità o non saremo. E le istituzioni dovranno dare un grande contributo, non potranno esimersi dal fare la loro parte
Resistere quindi in che direzione rispetto allo status quo?
Direi piuttosto elaborare le tempeste, imparare dagli stress violenti, apprendere dalle esperienze negative per cambiare in meglio. Rigiro la domanda: resistere o “passare oltre”? Il passare oltre è tipico dell’atteggiamento resiliente, non nell’accezione “di “essere indifferente” o di “far finta di nulla”, ma nel senso di includere gli aspetti negativi che sono stati in qualche modo fatti propri ed elaborati. Per cui direi che dobbiamo “passare oltre”. In questo anno e mezzo ho visto moltissimi individui e comunità farlo, dopo essere diventati resilienti.
La vera questione è politica, amministrativa, aziendale e socio-sistemica. Possiamo avere una amministrazione pubblica, uno Stato e delle aziende davvero resilienti? Veloci, in sinergie fra loro, collaborativi e supportivi, che siano in grado di aiutare i cittadini nella costruzione di nuova occupabilità, ricchezza, socialità? Oppure avremo una burocrazia, un sistema statale e aziendale sempre più oppressivo che ci lascia nell’incertezza economica e che mentre ci costringe alla fluidità senza regole, ci ammansisce con le retoriche del “ben-essere” e del “ben-stare” e magari ci dà qualche mancia da “ristoro”? Questa sarà la versa sfida. E ciò dovrebbe essere il nobile compito del Pnrr al di là dei milioni di euro da erogare. I denari naturalmente servono, ma sono solo il mezzo, non il fine