Cronache
Moro, P2, stragi: commissioni d’inchiesta per tutto. Non per il caso Palamara
Perché sul “Caso Moro” venne istituita una commissione parlamentare d’inchiesta?
Perché quel rapimento e quell’omicidio furono incidenti sulla struttura dello Stato. Si comprese che l’individuazione e la punizione dei colpevoli era solo una parte del problema; l’altra, ben più rilevante, era la forma e l’efficienza dei poteri dello Stato rispetto a un evento di lessico delinquenziale e di sintassi rivoluzionaria.
Perché sul caso P2 venne ugualmente istituita una Commissione parlamentare d’inchiesta?
Perché si sospettò che la struttura ufficiale del potere dello Stato fosse apparente e non reale e si volle verificare se, a fronte della democrazia costituzionale dichiarata, esistesse anche un’aristocrazia occulta capace di determinare le decisioni pubbliche più importanti.
Perché sulle tanti stragi d’Italia si volle istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta?
Perché si comprese che le stragi erano una manifestazione patologica della malattia del sistema politico italiano, di una sovranità limitata o minacciata, e di un Paese trasformato nel campo di battaglia di una guerra non dichiarata, nella quale, come in tutte le guerre, le strategie militari si sono intrecciate con quelle predatorie, o semplicemente violente, addebitabili alla degenerazione personale di alcuni.
Perché sul caso Mitrokin venne istituita una commissione parlamentare d’inchiesta?
Perché si intuì che l’apertura di una breccia nei sistemi di sicurezza dei paesi dell’Est poteva finalmente chiarire molti aspetti delle questioni precedenti e soprattutto illuminare, dal lato meno noto, la connessione, che sempre esiste, tra storia politico-parlamentare e storia finanziaria e militare.
In tutti questi casi, il movente di una forte operazione parlamentare di svelamento è stato illuminare il comportamento reale dei poteri dello Stato e verificare l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Il caso Palamara è esattamente della stessa portata degli altri. La magistratura, il più forte dei poteri dello Stato, l’unico cui la Costituzione consente di controllarsi e giudicarsi da sé.
La magistratura è uscita indenne dai tanti casi Tortora di cui sono ricche tutte le Procure d’Italia.
La magistratura è uscita indenne dalle tante inchieste fallimentari e spettacolari di cui è contrappuntata la storia giudiziaria italiana. La magistratura celebra in morte, come martiri, i magistrati operosi e schivi che in vita ha sempre e costantemente emarginato. La magistratura è uscita senza traumi dall’aver avversato Falcone e Borsellino come nessun altro ha fatto, se non Cosa Nostra. La magistratura ha sempre bloccato in vario modo il Parlamento che abbia tentato di riformarla.
Oggi, il dossier Palamara, svela per la prima volta il vero modus operandi del meno trasparente dei poteri dello Stato. Non è una questione disciplinare o giudiziaria, è una questione democratica, cioè di forma e di assetto dei poteri della Repubblica, perché si è finalmente compreso che chi indaga, arresta e giudica i cittadini, esercita queste funzioni, il più delle volte, non per merito, ma perché scelto da un partito corporativo interno, che ha le stesse regole e gli stessi vizi dei partiti ufficiali, ma ha molto più potere.
Questa necessità di indagine e di chiarezza istituzionale è sotto gli occhi di tutti, ma nessuno osa attuarla. Il motivo è semplice: l’attuale maggioranza di governo è implicata nella fase di degenerazione della magistratura che gli sms di Palamara hanno consentito di illuminare. Per questo il sistema politico si muove con un’inibizione che ne svela la paura. Il caso Palamara, per molti, deve rimanere un caso disciplinare o, al massimo, giudiziario, ma non parlamentare, non pubblico e pubblicamente dibattuto carte alla mano, non costituzionalmente rilevante ma anzi politicamente irrilevante.
A tenere il punto, a mantenere alla stanga l’ultima corporazione di potere intoccabile sopravvissuta, sono i media, non i partiti, non i parlamentari. Troppo poco per essere efficace.
Nessuna commissione parlamentare, dunque, nessuna iniziativa di svelamento del dossier, solo volgari tentativi di fare apparire Palamara come un Rasputin togato senza passato e senza compagni, un cardo tra i gigli, una storia tipica di pilatesco linciaggio all’italiana. Una pagina di vigliaccheria peggiore e più profonda del lobbismo togato di cui vorrebbe fare, come direbbe Dante, vendetta. Stesso clima di Ustica; stesso clima di Bologna; stesso clima di Brescia, stessa mistificazione della ragione del caso Moro. Appelli, commozione e immobilismo.