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Cronache
"Nostra incantevole Italia" di Corrias, i luoghi che hanno cambiato la storia
Pino Corrias

“Questo libro è la mappa del mio viaggio nell’incantevole italia di ieri e di oggi... una geografia che prova a mettere ordine nel disordine della nostra storia.”

portella della ginestra e la strage mafiosa * il vajont * il teatro ariston di sanremo * piazza fontana *ostia e l’omicidio di pasolini * viale mazzini * vermicino e il piccolo alfredo * via fani e il sequestro di moro * il lingotto della fiat * il pio albergo trivulzio e l’inizio di tangentopoli * capaci e la morte di falcone * arcore e berlusconi * pontida e bossi * cogne * l’aquila * casa prodi e l’avvio dell’ulivo * lampedusa * sant’ilario e la villa di grillo * il lungotevere di dagospia *cinecittà * il quirinale

Ci sono luoghi rimasti nella nostra memoria collettiva che hanno marchiato la storia di questo paese e quella di ciascuno di noi. Eventi a cavallo di più generazioni che, in una combinazione di tragedia e commedia, misteri e svelamenti, restituiscono il senso di quello che eravamo, che siamo, che saremo. Settant’anni di storia italiana da ritrovare e raccontare, coniugando cronaca e politica, per svelare aspetti ancora sconosciuti o troppo volutamente ignorati. La villa di Arcore, quella di Gelli e quella di Grillo raccontate da loro stessi, Ostia e l’ultima cena di Pasolini nella ricostruzione di Ninetto Davoli, Capaci e la cattura di Riina ricostruiti dal capitano Ultimo, i morti di Lampedusa nella testimonianza dei pescatori... Tutto si tiene, ciascuna storia ha un suo luogo e ha a che fare con il sangue, le miserie e i sentimenti della nostra vita, dalla mafia del bandito Giuliano (la strage di Portella della Ginestra) a quella di Provenzano (la strage di Capaci), i depistaggi di piazza Fontana, insieme ai drammi di Cogne, di Vermicino, del Vajont, dell’Aquila, ai rimpianti del Lingotto e del lavoro che fu, e all’eterno rito del teatro Ariston di Sanremo. Pino Corrias ha il gusto giornalistico, la passione civile e la qualità della scrittura per o_ rire un’inedita “geografia” del carattere e dell’identità degli italiani, facendoci da guida in un inquietante labirinto di storie e personaggi sempre carichi di nuove risonanze, e sul cui senso non possiamo smettere di interrogarci, nella speranza un giorno di rimettere l’Italia con la testa in su.

Pino Corrias, scrittore, giornalista, sceneggiatore, vive e lavora a Roma. Tra i suoi libri più recenti: il romanzo Dormiremo da vecchi (Chiarelettere 2015, tradotto in Francia, Stati Uniti, Spagna e molti altri paesi) e i racconti Disordini sentimentali (Mondadori 2016). Si è sempre occupato di politica, costume, spettacolo, da quando sono diventati una cosa sola. Ha scritto Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano (Feltrinelli 2011); Colpo grosso (con Massimo Gramellini e Curzio Maltese, Baldini e Castoldi 1995); l’atto unico teatrale Il contabile e le murene (Feltrinelli 2012); il reportage Vicini da morire (Mondadori 2007). Per Raifiction ha prodotto, tra gli altri fi lm, La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana.

ESTRATTO DAL LIBRO "NOSTRA INCANTEVOLE ITALIA", di PINO CORRIAS, per gentile concessione di Charelettere

La mappa dei luoghi Le carte geografiche contengono il mondo. Quando siamo in viaggio, calcolano le distanze. Ci raccontano dove siamo. Cosa ci lasciamo alle spalle e cosa troveremo al prossimo orizzonte. Questo libro e la mappa del mio viaggio nell’incantevole Italia di ieri e di oggi. E fatto di luoghi dove il tempo si e addensato, dilatandosi in un racconto da tramandare con i testimoni di quel tempo, di quel luogo. E, insieme con loro, dirne l’intreccio che ne scaturi e le conseguenze che ancora ci riguardano. E una geografia che prova a mettere ordine nel disordine della nostra storia. […]


Nostra incantevole Italia e il resoconto di un viaggio durato molti anni, alla fine del quale ho provato a rimettere ordine a storie che in tanti si sono esercitati a complicare anche quando erano semplici. Perché viviamo in uno strano paese scandito dal trasformismo delle classi dirigenti, dove tutte le verità sono sempre provvisorie. […]

Appesa a testa in giù Siamo il paese del doppio Stato, delle doppie verita, della doppia velocità di crescita tra il Nord e il Sud, ammalato di quattro mafie. Siamo il paese delle commissioni di inchiesta. Ne abbiamo avute ottantasei in una settantina di anni, la prima, nel 1948, sulla miseria degli italiani, l’ultima, nel 2017, sulla ricchezza fraudolenta delle banche, affidata niente di meno che a Pier Ferdinando Casini, l’ex portaborse di Forlani, ex socio di Mastella, ex galoppino di Berlusconi, ultimamente alleato di Renzi. Siamo una incantevole Italia appesa a testa in giu, con 2300 miliardi di debito pubblico, il 130 per cento del nostro Prodotto interno lordo. Dipendiamo dallo spread e facciamo finta di dimenticarcene anche se pesa come una catastrofe sempre imminente. Evadiamo 111 miliardi di tasse ogni anno, senza riuscire a porvi rimedio, come sa fare qualunque altro paese, appena superato il confine di Chiasso. Tre milioni e mezzo di persone lavorano in nero. L’economia sommersa vale 208 miliardi. Quella legale e ammalata di clientelismo, familismo, confraternite, cordate, tutte forme non sanguinarie della cultura mafiosa che coltiviamo dal basso. Perfezionando una trappola che mette in fuga migliaia di giovani laureati, ricercatori, imprenditori, artisti che cercano fortuna altrove, a Londra, Berlino, New York, lontano dalle falangi di raccomandati, figli, nipoti, portaborse delle infinite nomenklature che intasano tutte le tubature della Repubblica. Strilliamo contro gli immigrati, ma sappiamo come sfruttarli a fondo, nelle fabbriche del Nord, nelle campagne del Sud, persino nei centri di prima accoglienza, dove rubiamo loro gli spiccioli dell’assistenza, e dentro le casse dell’Inps, dove versano più di quello che otterranno.

Vorremmo ributtarli in mare, salvo quelli che ci servono per la cura della casa, dei nostri figli, dei nostri anziani. Abbiamo la classe politica tra le più corrotte d’Europa, la più ignorante, ma che è lo specchio fedele di un paese che muore di furbizia e conformismo. Dove si venera a chiacchiere la famiglia, ma non si consente alle giovani coppie di avere un lavoro decente e di fare figli.

Eppure. Eppure andrebbe sempre ricordato da dove siamo partiti, cosa eravamo settant’anni fa, residui di un paese fascista, razzista, analfabeta, distrutto dalla guerra costata mezzo milione di morti, e nutrito dai massacri compiuti dai nostri italiani brava gente in Albania, Grecia, Jugoslavia, Eritrea, Libia, dove abbiamo stuprato, impiccato, torturato. Per poi essere sconfitti dagli angloamericani, puniti, sottomessi. E poi salvati grazie al riscatto finale della Resistenza, e agli equilibri della Guerra fredda. Che ci hanno consentito di entrare nel nuovo consorzio di nazioni europee uscite anche loro distrutte dalla guerra, dalle dittature, dalla Shoah, dall’orrore. Tutti paesi in ginocchio, non solo noi e la Germania, gli sconfitti, ma anche l’Inghilterra e la Francia, i vincitori.

Coi quali abbiamo imboccato l’unica via di rinascita possibile, quella dell’Europa unita. Imperfetta, burocratica, lenta, ma che ci ha garantito uno sviluppo economico e culturale mai visto prima. La copertura della moneta unica, il mercato senza frontiere. Oltre a settant’anni di pace che ha voluto dire intelligenza non sprecata a ucciderci. Ha voluto dire democrazia, tolleranza, giustizia, emancipazione femminile, diritti delle minoranze, benessere sociale.

Vantaggi che ci sembrano cosi naturali, dentro al nostro paesaggio di vita quotidiana, da non vederne più la lucentezza. Ipnotizzati dalla miserabile mistica delle piccole patrie, della piccola ricchezza conquistata lavorando dentro la complessità del mondo, dal quale crediamo di difenderci con la semplificazione dei muri. Senza neanche sospettare che i muri imprigionano più di quanto proteggano.

C’è un palazzo in cima al nostro bagnasciuga che e il simbolo di tutti i palazzi: il Quirinale con le sue milleduecento stanze, apoteosi del potere e dei pennacchi, che ho scelto come ultima tappa del viaggio. Immaginando quanto sarebbe bello chiuderlo per riaprirlo. Traslocando il presidente in un luogo più adatto alla sobrietà di una Repubblica, piuttosto che lasciarlo tra le ombre nere che furono dei papi, dei re, di quel potere distante, minaccioso e ottuso. Restituirlo agli italiani, in forma di spazio pubblico, sgomberarlo dai simboli che lo soffocano e finalmente riempirlo di ossigeno, riempirlo di vita, annunciare un cambio di stagione. Cominciare da lì a rimettere la nostra incantevole Italia a testa in su.

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