Cronache
"Basta DAD, ma a scuola servono screening, vaccini e lockdown intermittenti"
Secondo i medici: "Studiare da remoto dispersione scolastica, ma studenti ed educatori vanno testati ogni 10/14 giorni e vaccinati in via prioritaria"
Le richieste dei medici per la riapertura delle scuole: screening, vaccini e lockdown intermittenti
In occasione del rientro alla didattica in presenza, seppure graduale, la community “IoVaccino”, il Comitato “La Scuola a Scuola” e alcuni eminenti pediatri, tra i quali Susanna Esposito, ordinaria di Pediatria dell’Università di Parma e consulente dell’OMS, formulano le indicazioni necessarie per garantire la sicurezza: servono uno screening nazionale della popolazione scolastica, una campagna vaccinale prioritaria per docenti ed educatori, un piano di lockdown intermittenti fino all’estate.
“Come già avevamo indicato nella primavera 2020, rimane prioritaria l'azione di testing sulle persone che frequentano le scuole. Rispetto a 9 mesi fa, oggi abbiamo strumenti veloci ed economici. Attuare uno screening nazionale costante della popolazione scolastica, da ripetere ogni 10-14 giorni su tutta la popolazione scolastica asintomatica, da effettuare con test rapidi antigenici direttamente nelle scuole, è una strategia immediatamente percorribile per rendere la frequenza scolastica sufficientemente sicura per tutta la comunità; insieme al tracciamento e alla quarantena dei contatti stretti, può diventare infatti la chiave per rendere la frequenza scolastica sufficientemente sicura per tutta la comunità”, afferma l'infettivologo Stefano Zona.
Promotore del Comitato La Scuola a Scuola e membro del comitato scientifico di IoVaccino, Zona prosegue: “Il secondo passo è quello di dare priorità nella somministrazione del vaccino anti-SARS-CoV-2 a insegnanti, educatori e personale tecnico-amministrativo, nelle prime fasi della campagna vaccinale, tra i mesi di febbraio e aprile, in modo da contribuire ulteriormente a un ritorno in aula in sicurezza”.
A queste proposte la professoressa Susanna Esposito aggiunge la necessità di un piano di medio-lungo termine di chiusure nazionali per periodi di 1-2 settimane ogni mese, da gennaio a giugno, come già indicato al governo in alcuni appelli inviati nei mesi di novembre e dicembre. Secondo la consulente dell’OMS, “scuola e salute devono essere alleate. Uscire dalla logica dell’emergenza, insostenibile a distanza di un anno dallo scoppio della pandemia, e pianificare misure efficaci e regolari è uno dei primi passi per contenere i contagi, pericolosamente in nuova crescita, dopo le chiusure parziali durante le festività natalizie. Siamo ancora all’interno della seconda ondata e non possiamo commettere ulteriori errori”.
“Dobbiamo fare di tutto per garantire la maggior sicurezza possibile nelle scuole e fare ogni sforzo per riportare in presenza gli studenti delle superiori – ribadisce Cecilia Massaccio, portavoce de La Scuola a Scuola - “La dispersione scolastica correlata a DAD e Didattica Digitale Integrata non è ormai più solo un rischio teorico ma un dato di fatto che aumenta di giorno in giorno”. Come emerge anche dalla recente indagine condotta da IPSOS per “Save the Children”: sono già almeno 34mila gli studenti a rischio di abbandono. Infatti il 28% degli studenti intervistati ha almeno un compagno di classe che ha smesso di frequentare le lezioni (tra questi, un quarto addirittura ha più di 3 i compagni che non partecipano più)".
"Tra le cause principali delle assenze dalla DDI, non vi sono solo problematiche tecniche nelle connessioni, ma anche la fatica a concentrarsi nel seguire la didattica da dietro uno schermo. A livello di risultati il 35% degli studenti ha dichiarato di sentirsi più impreparato di quando andava a scuola in presenza e il 35% che quest'anno deve recuperare più materie dell'anno precedente. “In alcune regioni – continua Massaccio - dove gli studenti delle superiori sono stati in presenza non più di un paio di settimane da marzo 2019 a oggi, la situazione è ancor più drammatica e pone ad altissimo rischio non solo il futuro accademico e professionale di molti giovani, ma la loro stessa sussistenza economica e identità sociale, specie per chi si trova in condizioni di maggior povertà sia economica sia educativa”.