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Cronache
Smart working e diritto alla disconnessione: sopravvivere al "sempre online"

Quindi, esso non trova apparente ed esplicita applicazione a tutte le categorie dei lavoratori e, soprattutto, a quelli a cui, a prescindere dal fatto che l’attività lavorativa venga svolta in regime formale di smart working, sia ugualmente richiesto una reperibilità costante e continua.

Ci si attende una spinta di più ampio respiro da parte del legislatore italiano che, anche traendo argomento dalle recenti vicissitudini, sia capace di fornire una tutela vasta a tutte le categorie dei lavoratori costantemente esposti al tema della reperibilità.

Ma anche per i lavoratori che abbiano optato per l’esecuzione della propria attività lavorativa in forma agile, va precisato che le modalità con le quali il diritto alla disconnessione debba essere garantito non trovano disciplina in una norma generale: i tempi di riposo del lavoratore dipendente sono rimessi all’accordo delle parti e, segnatamente, allo stesso accordo a cui le parti del rapporto hanno demandato le modalità di esecuzione del lavoro agile.

In tempi più recenti sono stati fatti ulteriori passi in avanti dal legislatore italiano in tema di diritto alla disconnessione di tutti i lavoratori?

L’impostazione non è cambiata nemmeno di recente a seguito della conversione in legge del Decreto Legge 13 marzo 2021 n. 30. L’art. 1-ter, introdotto in sede di conversione del decreto legge, ha riconosciuto al lavoratore, che svolge l’attività in modalità agile, il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche ma sempre nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati.

Quello che è doveroso sottolineare è comunque la sensibilità del legislatore italiano nel precisare che l’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro e sui trattamenti retributivi.

Imput chiaro che si pone come argine forte a eventuali abusi commessi dal datore del lavoro nell’attuazione pratica del diritto alla disconnessione del dipendente e che non poteva essere lasciata unicamente alla contrattazione individuale proprio per quei limiti che caratterizzano la capacità dispositiva del lavoratore nell’ambito di un rapporto che, per natura, è asimmetrico.

Del resto lo stesso Garante della Privacy, in sede di audizione avanti alla 1° Commissione (lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) del Senato, in data 13 maggio 2020 aveva avuto modo di rimarcare come le nuove tecnologie debbano rappresentare un fattore di progresso e non di regressione e che il loro utilizzo deve andare nella direzione di valorizzare, anziché comprimere, le libertà affermate sul terreno gius-lavoristico, ragione per cui va assicurato “in modo più detto di quanto già previsto” il diritto alla disconnessione del lavoratore senza il quale si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così alcune delle considerevoli conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale.

Esiste una normativa unitaria a livello europeo sul diritto alla disconnessione?

Da un’indagine di Eurofound pubblicata a giugno 2020 è emerso che a causa della crisi da Covd-19 oltre un terzo dei lavoratori dell’Unione Europea ha cominciato a lavorare in smart working, rispetto al 5% che già lo faceva prima della crisi.

La stessa indagine ha messo in evidenza che un utilizzo sempre maggiore degli strumenti digitali a scopi lavorativi ha portato a una cultura del “sempre online” a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori e di condizioni di lavoro eque: il 27% dei lavoratori intervistati ha dichiarato di essere stato operativo anche al di fuori dell’orario di lavoro, di avere lavorato nel proprio tempo libero tutti i giorni o più volte alla settimana.

(segue)

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