Cronache
"Spia russa" decapitata in un video: Isis minaccia Mosca
Lo Stato Islamico ha diffuso un video che mostra l'uccisione di una presunta spia russa in Siria. Il filmato, diffuso sui social network, mostra un prigioniero che indossa maglietta e pantaloni arancioni, vestiario già visto in tantissimi video dell'Isis e che ricorda i detenuti di Guantanamo. E' il primo video del gruppo che mostra l'apparente esecuzione di un russo da quando Mosca ha iniziato i suoi raid aerei a sostegno del governo di Bashar al Assad, lo scorso 30 settembre. Parlando in russo, il detenuto confessa di essere stato reclutato dall'intelligence di Mosca per raccogliere informazioni sull'Isis e i suoi membri di origine caucasica. Un combattente che parla in russo si rivolge in seguito direttamente a Mosca, avvertendo che le sue forze saranno sconfitte e le sue truppe uccise.
Le milizie jihadiste hanno già rivendicato in passato l'esecuzione di sospette spie russe. Nel video, dal titolo 'Voi russi sarete rattristati e umiliati', il boia si riferisce direttamente al presidente russo, Vladimir Putin, che viene definito "il cane". "Non troverai mia pace a casa tua", dice, secondo quanto riferisce la Cnn, poco prima di tagliare la gola alla presunta spia. E' il primo video di un prigioniero russo decapitato e arriva dopo l'avvio della campagna di bombardamenti di Mosca in Siria contro l'Isis.
Intanto la stessa paura di attentati c'è anche a Londra dove la Camera dei comuni ha deciso che L'Inghilterra si unirà ai raid contro la Siria. La Gran Bretagna entra in azione, la Nato quasi. I cieli della Siria si aprono dai prossimi giorni anche ai bombardieri della Raf, dopo la sfida all'ultimo voto di David Cameron al leader laburista Jeremy Corbyn per ottenere dalla Camera dei Comuni quel via libera ai raid contro l'Isis che nel 2013 fu negato contro le forze di Bashar al-Assad. Da Bruxelles, a spingere l'Alleanza Atlantica ci ha pensato il segretario di Stato americano, John Kerry, invitando i 26 alleati a "fare di più" ed evocando, sia pure in termini generici, un incremento dello "sforzo militare" collettivo nei confronti dei jihadisti. Non si tratterà certo di "una guerra lampo", come ha sottolineato Paolo Gentiloni. E non si dovrà ripetere l'errore dell'Iraq, quando gli stessi Usa - ha ammesso Kerry - favorirono "il crollo di uno Stato" senza avere una strategia credibile per il dopo. Ma la sfida, pur in uno scenario affollato nel quale s'incrociano le bombe e gli interessi di molti attori - dall'Occidente alla Russia, dalla Turchia all'Iran, dai Paesi del Golfo a Israele - è lanciata. A raccoglierla, questa volta per ultima, arriva ora anche Londra. La partita di Cameron si è chiusa oggi alla Camera dei Comuni dopo lunghi mesi di esitazioni. Ed è stata affrontata con toni accesi, alimentati da qualche gaffe dal primo ministro conservatore. A spianare la strada era stata d'altronde la spaccatura interna al Labour, sfociata nella libertà di scelta che il pacifista Corbyn - pur irriducibile fino in fondo nel suo 'no' - ha dovuto concedere alla fronda interna: qualche decina di deputati 'moderati' in grado di esprimere - con figure di spicco come l'ex candidata alla leadership Yvette Cooper o lo stesso ministro degli Esteri ombra Hilary Benn - i sì decisivi. Un sì che Cameron ha invocato come una necessità. "Questi terroristi pianificano di ucciderci. Ci attaccano per quello che siamo, non per quello che facciamo", ha tuonato in aula. Il premier non ha negato che occorre una strategia "più ampia", oltre alle armi. Non solo: ha fissato paletti più stretti che in passato, assicurando che la Royal Air Force colpirà solo l'Isis ed escludendo ogni nuova avventura 'boots on the ground'. Ma ha insistito che molte delle trame terroristiche degli ultimi mesi contro il Regno (sette, secondo Downing Street) sono state "orchestrate in Siria". Un modo per dire che i raid dovrebbero aiutare a proteggere la sicurezza dei cittadini britannici. L'esatto contrario di ciò che pensano Corbyn e gli altri oppositori, secondo i quali l'ennesimo ordine di fuoco ai jet di Sua Maestà - previsto a questo punto per fine settimana - è un brutto film già visto, che "accrescerà i rischi di attacchi terroristici" anziché allontanarli. Tanto più che "i bombardamenti uccideranno ancora civili innocenti e creeranno più rifugiati". Per Corbyn, come per la larga maggioranza della base laburista e per gli scozzesi dell'Snp, i precedenti dell'Afghanistan, dell'Iraq e della Libia dovrebbero indurre alla prudenza "in nome del buonsenso, non del pacifismo". E i 70.000 miliziani "non estremisti" con cui, stando a uno dei passaggi più controversi di David Cameron, ci si potrà coordinare sul terreno in Siria non sono altro che un'illusione (cosa che d'altronde denuncia pure Julian Lewis, presidente della commissione Difesa ai Comuni e conservatore anti-interventista). Contestazioni alle quali s'affianca una polemica rovente per l'epiteto di "simpatizzanti dei terroristi" rifilato ieri sera dal premier al leader laburista e ad altri 'compagni' che in gioventù si fecero paladini del dialogo con la guerriglia nordirlandese nel pieno dei sanguinosi anni '80. Epiteto per il quale Cameron si è ostinatamente rifiutato di scusarsi. Ma alla fine non è stato lo scontro personale, e neppure l'offesa, a poter determinare il risultato. I giochi sono fatti. Cameron va alla guerra e saranno i risultati a decidere se lo scetticismo diffuso a piene mani persino da alcuni giornali di destra e le perplessità dei sudditi del Regno (favorevoli ai raid solo al 48%, passata l'emozione per gli attacchi di Parigi) non avranno avuto - anche stavolta - ragion d'essere.