Cronache

Stan Lee padre dei radical - chic mondiali?

Giuseppe Vatinno

"Obama sta all'Uomo Ragno come Trump a Superman"?

 

Stan Lee (in realtà Stanley Martin Lieber, figlio di ebrei rumeni), scomparso da poco, è stato un grande, grandissimo fumettista sceneggiatore che insieme ai disegnatori Steve Ditko e Jack Kirby rivoluzionò il mondo dei fumetti.

Mi ricordo quando per la prima volta volli farmi comprare da bambino L’Uomo Ragno in edicola.

Fui precipitato in un gioco di sfumature cromatiche meravigliose, in un tempo in cui la Tv era ancora in bianco e nero e lo sarebbe rimasta per molto per l’impuntatura di un uomo politico, Ugo La Malfa che decise che il popolo italiano doveva soffrire la mancanza del colore. Penitenziagite, “Fate penitenza”, gridavano gli eretici dolciniani ne Il Nome della Rosa.

E così l’unico colore che si poteva trovare era nei fumetti.

Il numero che lessi riguardava la prima battaglia tra Spider Man e l’Avvoltoio, un supercriminale volante dal costume verde che era uno dei nemici giurati di Peter Parker.

Poi sono venuti in Italia, gli altri super-eroi, Devil, Fantastici Quattro, Hulk, Pantera Nera e tanti altri.

Premesso dunque che sono molto legato ai supereroi Marvel devo fare una considerazione.

In questi giorni, dopo la scomparsa di Stan Lee c’è tutto un proliferare di più o meno dotti e stucchevoli articoli sui “Supereroi con Superproblemi”.

L’ultimo è di lunedì sul Corriere della Sera e porta la firma di Alessandro D’Avenia, che è uno scrittore che non riesce a liberarsi ad una interpretazione sociologica, appunto domenicale, del fenomeno Marvel.

Infatti se le avventure dei coloratissimi Supereroi Marvel attraggono ancora oggi l’attenzione di grandi e piccoli, le interpretazioni “umanizzanti” del loro fenomeno sono superficiali.

Infatti, a mio avviso, se c’è un limite alla loro caratterizzazione psicologica, è proprio l’eccessiva attenzione a farli passare come “gente comune”, che fa la vita di tutti, fa la spesa, porta gli abiti in lavanderia, litiga con i genitori e via via “normalizzando”.

Invece, prima dell’Uomo Ragno c’erano Superman, Batman, Lanterna Verde, Flash che di problemi non ne avevano nella loro vita comune.

Non possiamo sapere se l’operazione “umanizzazione” della Marvel fu scientemente voluta con il proposito di cogliere lo Zeitgest sessantottino.

E così, dal punto di vista marketing, la Marvel colse due risultati: attirò il tradizionale popolo dei fan dei Supereroi, ma anche quello degli “sfigati cosmici”, raddoppiando i clienti e mettendo in difficoltà la Dc Comics, che invece proponeva Supereroi vecchio stampo che erano portatori di valori tradizionali ed erano ricchi e imbattibili.

Solo negli anni ’80 la DC Comics dovette cedere ad una relativa “problematizzazione” dei suoi super-eroi proprio per contrastare lo strapotere Marvel.

Ed allora si potrebbe pensare che certa tendenza radical - chic e globalizzante si sia mostrata fin dagli anni ’60 del XX secolo anche nel campo fumettistico, con la sostituzione del mito di Superman con quello dell’Uomo Ragno con una attenzione costante alle minoranze che poi, col tempo, sono diventate minoranze aggressive rispetto alle maggioranze silenziose.

Potremmo dire che Obama sta all’Uomo Ragno come Trump a Superman, ma il discorso si farebbe complesso e quindi godiamoci quindi sia l’universo Marvel che quello Dc.