Cronache
La presunzione contro il capitale intellettuale
Il disagio e l’ignoranza.
Ovvero la presunzione contro il capitale intellettuale
Armando Verdiglione
Era venerdì, il 26 giugno 2015, quando due “curatori” irrompono nella Villa San Carlo Borromeo e, in modo violento e terroristico, buttano fuori gli ospiti, ospiti di vari paesi. Si tenne nel 1906 la precedente esposizione universale a Milano. Ora: “Expo 2015”. Due eventi erano previsti, per quella sera, altri tre il giorno dopo, altri ospiti, altre delegazioni. Quella sera, gli ospiti non hanno potuto soggiornare nella Villa, e neppure attraversare il giardino. Gli ospiti non hanno potuto cogliere, intravedere, scorgere le lucciole nel giardino.
Il villaggio. La collina. Le montagne di granito. Il mare. La nave. Il giardino: ogni mestiere. E poi, ancora una villa: Villa San Saverio, a Catania. Il giardino. E ancora: Villa San Cataldo, a Bagheria, e l’Istituto Gonzaga. Ancora il giardino. Un'altra villa a Milano: e il suo giardino. Parigi, ancora il giardino. New York: l'Hotel Plaza e, dinanzi, il giardino. Roma: con un immenso giardino. Tokio: l'Hotel New Otani, e il suo giardino. E, ancora, il 4 novembre 1984, Villa San Carlo Borromeo, a Senago: il giardino.
Ciascuna volta, il disagio è la virtù del principio della parola. Il disagio è proprio della parola, è proprio del numero, della memoria, del viaggio, della scrittura. Il disagio. Come l'anoressia, come la leggerezza, come la libertà, come l'integrità, come l'arbitrarietà, come la tentazione, come l'aria. Il disagio proprio del numero, proprio del narcisismo (della “cosa”), proprio dell'altra cosa, della parola, proprio della cosa intellettuale. Proprio della civiltà.
Nessuna città è senza disagio. Per ciò, la città si scrive, la città diviene cifra, la città si qualifica, la città si narra. Per ciò, la città entra nella saga. Senza il disagio non entrerebbe nella saga. Il disagio. Per ciò, la definizione non è ontologica. Per ciò, la definizione è impossibile: la definizione segue il procedimento per distrazione, il procedimento per sottrazione, il procedimento per astrazione.
Il disagio: nessun progetto, nessun programma senza il disagio. Il progetto è economico, cioè narrativo. Oltre la sintassi, oltre la frase, oltre la ricerca, il progetto. Il programma è narrativo. Oltre il fare, il programma. Il progetto esige la scrittura della ricerca. Il programma esige la scrittura del fare, di ciò che si fa, dell’industria della parola.
Contro il disagio e, per tanto, contro la parola, contro il numero, contro la memoria e contro la sua scrittura, contro la qualificazione della memoria, irrompe il richiamo all'ordinalità, allo standard, alla presunzione circolare che è presunzione ontologica. Contro il disagio si oppone il discorso occidentale. Contro il disagio, il canone. Qual è il luogo del discorso occidentale? Il luogo del discorso occidentale è il luogo dell'assenza del disagio. Il compito del discorso occidentale è soppiantare, supplire al disagio nel luogo della sua assenza: da qui, il rimedio, la psicofarmacologia e tutto ciò che serve a creare la sudditanza. Contro il disagio, il processo politico, dettato e seguìto dalla casta che così esercita il suo potere.
Il disagio è virtù del principio della parola. Quindi è virtù della relazione, virtù della dimensione, virtù della funzione, virtù della condizione, virtù dell'operazione. Come virtù della relazione, è virtù della speranza. Come virtù dell’operazione, è virtù della fede. Il disagio esige la questione intellettuale, esige il dispositivo intellettuale, il dispositivo della parola. Non esige la psicofarmacologia né la psicocriminologia.
Il disagio è virtù, come l'anoressia. La conoscenza e l'ignoranza sono maniere dell'anoressia. “Conosco, non conosco il numero”: parodia! L'anoressia trae con sé la parodia. “Conosco, non conosco il numero. Conosco, non conosco l'altra cosa. Conosco, non conosco la memoria, la struttura. Conosco, non conosco la scrittura dell'esperienza. Conosco, non conosco la qualità”. Conoscere o sapere: parodia.
L’inconoscenza è teorema. E l'ignoranza non ha la sua alternativa, non ha il suo contrario nella conoscenza, non si può spacciare per il colmo della conoscenza. Parlare, agire, fare in nome del nome, in nome di Dio, in nome di Sua Maestà, in nome del popolo, in nome della conoscenza o in nome dell'ignoranza è parlare, agire, fare sotto un fantasma che è il fantasma di padronanza.
Noscere, ignarus, gnarus. Gnarus: da qui narratio. Narratio ha un suo teorema: non può conoscersi la scrittura, è inconoscibile la scrittura. Ovvero, nessuno sa come riescano le cose, nessuno sa quale sarà il risultato del viaggio. Questa è la narratio, l'ignoranza della scrittura, l’ignoranza dell'esperienza, ma non soggettiva. La narratio esige l'intervento dell'operatore: la memoria, l'esperienza, la ricerca, l'impresa non si scrivono senza l'intervento dell'operatore. L'operatore è dio, l'idea, l'idea che nessuno ha. L'idea che nessuno ha: è questa la narratio. L'idea che ognuno ha esclude la narratio, esclude che l'esperienza si scriva. Senza l'idea assoluta, senza questo operatore, che è l'operatore della memoria in atto, l'esperienza non si scrive. Un operatore non mnemonico. La scrittura non è mnemonica. Né ricordo né reminiscenza né memorazione.
L'ignoranza ontologica è altra cosa. E incomincia con “Io so”: “Io so di non sapere”. Con il corollario: “Io so che tu non sai”. Ma intanto, in nome dell'ignoranza, “io presumo”! E la presunzione è l'interrogazione chiusa, la questione chiusa, è l'interrogazione che presume la risposta, è l'interrogazione come presunzione circolare, per cui la risposta è obbligata. Non sai nulla e già sai la risposta! Fai l'interrogazione in cui fondi, presumi, obblighi la risposta.
Narratio, diegesi. Cicerone traduce diegesi con narratio.
L'ignoranza ontologica è l'ignoranza che comporta l'anamnesi, la conoscenza come reminiscenza, quindi la conoscenza. È l’ignoranza che comporta l’estinzione della memoria, per cui tutto è mnemonico, tutto deve ricordare ciò che sta nell'iperuranio, ricordare l'idealità. Perché nell'iperuranio dimora l'idealità, dimora l'idea che agisce, non già l’idea che opera per la scrittura.
Per ciò, George Orwell, in 1984, scrivere i tre slogan del Ministero della verità: “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l'ignoranza è forza”.
Era altra cosa, nella sua contraddizione, l'ignoranza del Cusano: quindi, l'ignoranza della contraddizione. Niccolò da Cusa: De docta ignorantia, 1440. Niccolò da Cusa scrive anche qualcosa che non è paolino. Atti degli apostoli, 17, 22-23: “Allora Paolo, alzatosi in mezzo all’Areopago, disse: ‘Cittadini ateniesi, vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando infatti e osservando i monumenti del vostro culto, ho trovato anche un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere io ve lo enuncio in modo palese’”. Niccolò da Cusa non scrive intorno al dio ignoto, ma De Deo abscondito, 1444-45. Come Maestro Eckart, che considera che l'esistenza è rappresentazione umana, è antropomorfismo, non può essere attribuita a Dio. Niccolò da Cusa: De Deo abscondito non è Dio ignoto, è Dio abscondito, cioè senza più nascondimento. È l'ignoranza di Dio, l'ignoranza del numero come operatore.
Allora, ignoranza della parola: ignoranza della diade, della relazione, del due e ignoranza della triade, ignoranza della tripartizione. Giuseppe Peano scrive in interlingua “Zero es numero”. Ignoranza del padre. Ignoranza del parricidio e del figlicidio e ignoranza della sessualità. Nessuno sa, nessuno conosce il padre, nessuno conosce il figlio. Nessuno conosce la madre.
Il mito di Edipo: ignoranza del padre e ignoranza della madre! Cioè ignoranza del parricidio e ignoranza della sessualità. È la lezione: il padre e la madre non si conoscono. È altra cosa che lasciare o abbandonare o rifugiarsi dal padre e dalla madre. Non si conoscono! Per ciò, non c’è bisogno di scambiare Tizio o Caia o Caio e Tizia per padre e madre. Non si conoscono! Il padre come nome o zero funzionale, o come nome o zero variazionale. Il figlio come significante o uno funzionale, o come significante o uno variazionale.
Ignoranza della memoria, ignoranza del padre, ignoranza del figlio e ignoranza dell’Altro. Chi conosce lo zero? Chi conosce l'uno? Chi conosce l'Altro?
Ignoranza del fare. Nessuno conosce il fare, la struttura dell'Altro. Ignoranza per quanto attiene alla narratio. Chi conosce lo spirito che interviene, cioè l'idea della voce che interviene perché il fare si scriva? Ignoranza dell'annunciazione. Ignoranza, ancora, dell'amministrazione. Cioè, della stessa scrittura dell'esperienza.
L'ignoranza professata e confessata, l'ignoranza professionale e confessionale è la malattia mentale della casta. L'ignoranza del due, negata, si tramuta in sistema senza più il due. Il sistema di Aristotele, il “sistema di cielo e di terra”, abolisce l'apertura e lo squarcio. Il sistema di cielo e di terra è il sistema che ha tolto e assorbito, incluso l'apertura e lo squarcio, la relazione e il tempo.
Allora, l'ironia, l’interrogazione – l'ironia è interrogazione –, invece d’instaurarsi come modo dell'apertura, è modo della chiusura. L'ironia come modo della chiusura, che ha l'assunto “so di non sapere”, che procede in nome dell'ignoranza, in nome del nome e, quindi, al colmo della conoscenza, questa ironia è la presunzione. La presunzione richiede il soggetto, è presunzione del soggetto, è la soggettività, propria della casta. Conoscersi, conoscere Dio, conoscere l'Altro è il modo attraverso cui la presunzione si esercita, è il modo attraverso cui ognuno – ma ognuno non è ciascuno, è soltanto la casta – fa quello che vuole, dice quello che vuole. Cioè la stessa volontà diventa appannaggio della presunzione.
La presunzione, come interrogazione chiusa, è il canone occidentale. La presunzione è l’arrogantia. La presunzione è l’istituto stesso della vendetta. E la vendetta è circolare: fonda sia la colpa sia la pena, sia il ricatto sia il riscatto. La presunzione è penale. La presunzione è l’ultimo rimedio contro il disagio. Fonda la farmacologia, la criminologia e si salda, si sutura con la “soluzione finale”.
Che cosa toglie la presunzione? Toglie il valore per farsi presunzione di valore sostanziale e mentale. Toglie il valore intellettuale. Il disagio esige il valore intellettuale, esige la cifra, esige il capitale della vita, il capitale della parola. La presunzione punta al valore sostanziale e al valore mentale.
La presunzione è quello che Kierkegaard chiamava il rapporto di sé a sé, il rapporto di sé all’Altro e il rapporto dell’Altro a sé. Cioè, la presunzione è la divina proporzione, la proporzione che si risolve nel cerchio. “Io presumo”: ovvero, “io, Uroboro”. Eraclito già scriveva: “La presunzione? Una malattia sacra!”. “La vista? Un inganno!”. La vista, la visione del mondo, un inganno! Eraclito. Un sofista.
La presunzione è il fantasma di padronanza. Contiene il postulato, ciò che non ha bisogno di dimostrarsi perché si dimostra da sé. La presunzione, quindi, è epistemica. È il discorso occidentale, il luogo comune. La presunzione è purista. La presunzione è l’altro nome del fantasma materno come fantasma di padronanza eretto a sistema. È l’idealità che attua l’utopia del cerchio. La presunzione pone sempre l’ombra dinanzi, la negatività dinanzi, l’alternativa dinanzi, l’alternativa fra positivo e negativo dinanzi, tra vita e morte dinanzi. La presunzione è algebrica o geometrica, come il fantasma materno è geometrico o algebrico: ovvero ferma il tempo per abitarlo o lo abolisce.
In nome dell’ignoranza, la negazione della parola e delle sue virtù: il disagio, la libertà, l’arbitrarietà, l’integrità, la tentazione, l’aria, l’anoressia, il caos, l’originario. In nome della presunzione vengono negati i servizi intellettuali, l’arte e l’invenzione. Viene negata la memoria, l’esperienza, la formalizzazione della memoria e dell’esperienza, la scrittura dell’esperienza. Questo il procedimento.
Il capitale della vita, il capitale della parola, non è sostanziale né mentale. Non è soggettivo. Non è capitale umano. Non è il management. Lo stesso dispositivo della parola non è il management. Il Brainworking non è affidato a un management! Questa enorme esaltazione del management che fa e disfa sulla base del principio di ragione sufficiente, senza la parola, senza il progetto, senza il programma! Non viene chiesto il progetto e il programma, ma il risultato a tre mesi! E se, poi, avviene il disastro, il manager viene premiato.
Nel processo politico, in nome dell’ignoranza, viene negata l’operazione, viene negato l’operatore, viene negata la narratio, quindi la scrittura. Per ciò, nessuna indagine intorno alle opere d’arte, alle grafiche d’arte, ai libri. Addirittura, non viene notata nemmeno la vendita di un libro! Nemmeno uno! Cancellata interamente tutta la fatturazione della casa editrice. L’unica cosa ammessa è l’attività di affittacamere, l’affitta-spazio per l’evento. L’evento si fa da solo. Arriva da solo e si fa da solo.
Il capitale è intellettuale. La “cosa” è il narcisismo della parola: la stessa cosa, l’autismo; la cosa stessa, l’automatismo. Ma l’altra cosa è la parola che diviene capitale, valore, cifra. Il capitale è la cifra, la cifra della civiltà. La civiltà ove la parola non divenga cifra è la civiltà tanatologica, la civiltà della morte. E serve le religioni della morte.
Il pretesto del processo è fiscale, ma non c’è nessun controllo, nessuna verifica. Nessun controllo intorno alle cosiddette operazioni, cioè intorno ai negozi, intorno ai servizi, alle opere, alla vendita di opere. Nessun controllo, nessuna indagine in merito ai lavori di restauro. Un pretesto fiscale. Perché un pretesto? Viene cioè falsificata una norma prima d’incominciare, già il 18 novembre 2008!
Nel processo dal 24 giugno 1985 al 28 ottobre 1992, abbiamo notato che tutto ciò che avveniva, che si diceva, da parte di chi sosteneva il fantasma dell’accusa e di chi redigeva le sentenze aveva una base, seguiva pedissequamente un copione, che erano gli articoli dei giornali che avevano preceduto il processo. È ciò che, rispetto al primo processo, si trova nel Libro nero dei nuovi inquisitori redatto da Cristina Frua De Angeli e Alice Granger (1989).
Anche il 18 novembre 2008, i marescialli seguono due articoli, del 2006 e del 2007, oltre a ciò che sta scritto su internet – perché internet, per questi aspetti, per i marescialli, è una fonte primaria, come l’immondezzaio. Viene falsificata la natura della norma – l’art. 21, comma 7, D.p.r. 633/72 – per la quale non può darsi duplicazione di una tassa. È ciò che riscontrano le sentenze della Cassazione, in particolare quella n. 10939 del 27 maggio 2015. È ciò che risponde alle direttive europee. È ciò che gli esperti italiani di Iva – come Renato Portale – scrivono.
Qui, tutto ciò che non c’è bisogno di controllare e di verificare non esiste: effettività delle operazioni, servizi intellettuali, opere d’arte, lavori di restauro non esistono, perché non rientrano nella rappresentazione che è propria della presunzione. Non rientrano nel postulato, quindi non esistono. Sono cose che i marescialli, la procuratrice, le tre giudici non capiscono: e ciò che loro non conoscono, non sanno, non capiscono, non esiste. Perché ciò che loro capiscono, sanno e conoscono rientra nella presunzione.
Perché non esistono? Perché non sono effettivi i servizi? Perché non sono effettive le vendite delle opere d’arte? Perché non sono effettivi i lavori di restauro? Perché le fatture sono false! Ma perché le fatture sono false? Possiamo analizzare, indagare, verificare intorno alle fatture? Possiamo leggere le descrizioni, gli allegati? No! Tutto ciò è irrilevante. È irrilevante controllare le fatture: sono false. Perché le fatture sono false? Perché le società sono false. La requirente-replicante riassume: non interessano le cessioni, le vendite, le opere d’arte, i servizi, i lavori di restauro, interessano le società. Le società sono false. Perché sono false? Perché sono “riconducibili”. Tutto ruota intorno a questo significante. “Riconducibile” è il postulato: o è riconducibile al divino o è riconducibile al diabolico. Ciò che è riconducibile al divino è prerogativa dei marescialli, della procuratrice e delle giudici. Ciò che è riconducibile al diabolico, invece, è prerogativa del “guru”.
È questa l’operazione, l’hanno scritta così, i marescialli, dal primo giorno: sono arrivati per fare l’”Operazione guru”. Il responsabile dell’ufficio stampa della Guardia di Finanza ha diramato il comunicato: “Operazione guru”. Quindi, quale trionfo il giorno della sentenza! Il trionfo, l’apoteosi, l’euforia: era lì il maresciallo. Ha mandato subito un sms il maresciallo, e, poi, il brindisi nella caserma. “La presunzione era buona, era benefica, era salvifica. Siamo arrivati alla soluzione finale! Possiamo brindare!”.
In tutto il processo sono solo due gli accusatori: i due marescialli. Non ce ne sono altri. Due gli accusatori, i testimoni d’accusa, i quali suggeriscono al pubblico ministero, alle giudici, cose sull’esito finale, man mano, sul postulato, sulla saldatura del postulato.
Così, l’avvocato Lucio Lucia chiede all’accusatore. È accusatore, non già testimone: si chiama “teste” ma non è testimone. È assolutamente assurdo chiamarlo “testimone d’accusa”: o è testimone o è accusatore! Lui non è testimone, è accusatore. Segue il fantasma dell’accusa, e quindi il postulato dell’accusa. “Voi, che controlli avete fatto rispetto a queste opere d’arte?”. Risposta: “Controlli materiali sulle opere, non li abbiamo fatti”. L’avvocato: “E controlli sulle operazioni, sull’effettività delle operazioni di cessione?”. A cui loro attribuiscono un’importanza enorme. Erano la cosa principale! La risposta: “Noi siamo partiti da un altro punto di vista. Cioè, una volta per noi dimostrata la riconducibilità” – che si dimostra da sola, perché è un postulato – “di tutti i soggetti” – perché tutti sono soggetti. E perché, poi, soggetti? Lo spiega la requirente-replicante nel penultimo giorno, dove dice: i soggetti sono le società o le associazioni. “Una volta per noi dimostrata” – “per noi”, quindi non è il testimone, siamo “noi”. Non “noi due”, come Heinrich Institor (Kramer) e Jacob Sprenger, autori del Malleus maleficarum: “Noi, inquisitori della Germania”. No, non noi due, ma noi, Guardiani di finanza! “Una volta per noi dimostrata la riconducibilità di tutti i soggetti a un unico dominus” – cioè a che cosa? A un fantasma di padronanza. Il fantasma è il fantasma del dominus e la riconducibilità è il postulato. “Una volta che dagli accertamenti tecnici” – che però non hanno fatto: su che cosa poggiano gli accertamenti tecnici? Lo spiega: “Dalle intercettazioni”. Gli accertamenti tecnici sono le intercettazioni!
La requirente dice che le intercettazioni sono perfette, che sono validate da perizia. Ma sono piene di errori! Una parola per un’altra. Ma anche le trascrizioni del processo sono piene di errori. E poi sono brani d’intercettazioni, i brani che dovevano servire al postulato. “Una volta che dagli accertamenti tecnici, dalle intercettazioni, è emersa tutta l’operatività bancaria, non si parlava mai di opere o di operazioni commerciali reali”. Ma le intercettazioni sono del periodo critico seguito all’invasione massiccia, terroristica di trecento marescialli. La calata dei marescialli! “Non si parlava mai di opere o di operazioni commerciali reali”. Reali! “E con tutti gli altri elementi, tipo il computer di Pellegrino” – adesso verifichiamo – “che conteneva tutte le cose che ho detto” – le vediamo – “piuttosto che gli altri elementi” – “… piuttosto che gli altri elementi” – molto allusivo – “abbiamo ritenuto…”. Basta! Abbiamo ritenuto, abbiamo presunto, presumiamo, quindi basta! Le intercettazioni, deformate, distorte, commentate, servono la rappresentazione funzionale alla presunzione. “Abbiamo ritenuto che queste cessioni non sussistessero”. Ma verifichiamo tra poco che cosa dice. “Ma non perché non sussistano le opere d’arte, che non l’abbiamo messo in dubbio”. “… che non l’abbiamo messo in dubbio”: è l’italiano dei marescialli! “Quanto perché non sussistono le cessioni delle opere”. Ma perché non sussistono le cessioni? Perché le società sono riconducibili! Quindi, non esistono le società, non esistono le associazioni, perché sono riconducibili!
“E il valore”, chiede l’avvocato Lucio Lucia, “secondo voi, è eccessivo?”. Allora, l’accusatore: “Il valore, secondo la nostra modesta…”. E si ferma. Ecco, con questa modestia dice che una delle ragioni per cui le operazioni sono inesistenti è che i valori delle opere sono esagerati. Come fa lui a sapere se le opere abbiano un valore esagerato o no? “Noi non siamo tecnici e non le abbiamo fatte valutare”. Primo, non siamo tecnici. Poi non le abbiamo fatte valutare. Allora presumiamo che il valore sia eccessivo. E, quindi, se il valore è eccessivo, le opere non valgono niente. Non esistono! Il maresciallo non ha fatto nessuna verifica intorno a nulla, nemmeno intorno ai pagamenti.
Allora, un unico computer, un unico dominus. I computer erano quindici. I commercialisti e i ragionieri di base erano dieci. Ciascun computer era collegato con il server, cioè i dati stavano in ciascun computer. Ciascun computer era della società Numerario srl, che curava la contabilità delle società del gruppo. I dati stavano in ciascun computer, non erano “nel computer” di quel ragioniere e basta. Eppure, i marescialli hanno interrogato gli altri dieci commercialisti e ragionieri il 18 novembre 2008: ma non faceva comodo interpellare in udienza ciascuno di questi ragionieri.
Il pubblico ministero, già inizialmente, dinanzi a questo accusatore, chiede: “Chi era” – domanda fondamentale, che fa entrare in campo e in scena l’accusatore principale. Qual è questa domanda? “Da chi era, sostanzialmente, sia formalmente che di fatto, gestita questa società?”. Tutto sta qui. Tutto quello che viene dopo, tutte le interrogazioni che fa, tutte le interrogazioni sono esattamente incluse in questa. Poi, incalza: “Parliamo di queste lettere” – sono chiamate “lettere”, poi “letterine” – “di cessione”: Cedere un credito avviene attraverso un documento, uno scritto. Ma lo scritto, per loro, non è uno scritto, è una letterina: quasi quasi, è carta. Neanche è carta, perché è nel computer. È una letterina, “che lei ha trovato sempre dentro il computer”. Dentro il computer. Dentro. Cioè, che cos’è questo computer del ragionier Pellegrino? È il vaso di Pandora, dove stanno tutti i mali. Nel processo precedente era la “pentola a pressione”. E i mali, da chi possono essere stati visti, scoperti, conosciuti? La “conoscenza del male”, da chi? Dai marescialli. E dalla loro portavoce e fedele rappresentante, la procuratrice requirente-replicante.
Lei chiede al maresciallo perché sono andati lì, il 18 novembre 2008. Non può dire che è un processo politico, con questa presunzione, con questo postulato, con questo fantasma. Non può dire che sono andati lì per confermare il fantasma dell’”Operazione guru”. No: “Diciamo che è partita come una normale attività amministrativa”. E il ragioniere, di che cosa si occupava? “Il ragioniere si dedicava, più che altro, proprio alla tenuta della contabilità e alla predisposizione delle fatture”. Maneggiava il contenuto del vaso. L’accusatore, il maresciallo, menziona altri ragionieri, anche nella stessa stanza. E nelle altre stanze? E gli altri ragionieri? E gli altri commercialisti? E gli altri computer? E il server? Il maresciallo risponde ancora alla procuratrice che insiste, deve rispondere a questa domanda fondamentale che lei ha fatto prima: “Villa San Carlo Borromeo, da chi era, sostanzialmente, sia formalmente sia di fatto, gestita questa società?”. Risposta: “Formalmente è rappresentata dalla Frua De Angeli Cristina” – perché tutti quanti sono al servizio militare e, al servizio militare, prima viene il cognome, poi il nome. Io, il servizio militare, non l’ho fatto, Cristina Frua De Angeli neppure. Prima il cognome, poi il nome: “Formalmente è rappresentata dalla Frua De Angeli Cristina, di fatto amministrata e gestita dal Verdiglione Armando” – anche io, al servizio militare. Oppure, a qualche altra cosa.
Quindi l’accusatore, il maresciallo Mincarini, dice che io non avevo cariche formali nella società Villa San Carlo Borromeo. Ma come? Ero amministratore delegato! Amministratore di diritto! Non di fatto. Di diritto. E così anche per le altre quattro società. Io ero amministratore di cinque società, cinque società, che stanno sotto una fondazione, che ha quote per il 99% di queste società. E queste società fanno gruppo, nel senso tecnico di “gruppo societario”. Gli scambi tra queste società sono nel “gruppo” nel senso più tecnico di “gruppo societario”. Le altre società sono un gruppo – lo abbiamo verificato – rispetto alla direttiva europea, recepita dall’Italia. Poi, il maresciallo dice che ero io rappresentante della Fondazione. E questo è falso.
Che cosa sta nell’unico computer, che cosa sta nel vaso di Pandora? Tutte le fatture. Tutte le fatture sono i segni del male. I segni del male, quindi, le fatture sono prodotte e messe nel vaso. E il Brainworking? “Non abbiamo, sinceramente, capito cosa significhi”. E poi incomincia, nelle risposte, una gamma di falsificazioni: falsificazione della norma, falsificazione dei dati, falsificazione delle società e falsificazione di ciascun elemento. Falsificare è lecito, per gli accusatori, perché serve al postulato. Falsificare perché tutto sia riconducibile. La riconducibilità, intesa in questo senso malefico. Per esempio, rispetto all’Association “Le chiffre de la parole”? Risponde il maresciallo: “Si tratta di un’associazione che è comunque riconducibile a Armando Verdiglione, perché ci sono documenti che attestano che Verdiglione ha firmato atti per conto di questa associazione” – quindi sarebbe rappresentante legale o procuratore speciale? – “ha acquisito anche società tramite questa associazione, quindi, è un’associazione riconducibile al Verdiglione”. Quindi, quest’associazione non esiste. Quindi, tutti i servizi resi alla Villa San Carlo Borromeo o i servizi ricevuti dalla Villa San Carlo Borromeo non esistono. Perché non esistono? Perché l’associazione è riconducibile. E perché è riconducibile? Perché lui “ha firmato” come rappresentante legale. E dove? In Svizzera? In Italia? Dove? A palazzo di giustizia? Oppure in via Fabio Filzi, presso i marescialli? Dove ha firmato? Quando? È una falsità! In base a una falsità, lui abolisce e cancella interamente anni e anni di esperienza, anni e anni di collaborazione e di scambio di servizi tra gli enti, tra l’Association Le chiffre de la parole e, per esempio, la Villa San Carlo Borromeo. In nome di questa falsità! Il maresciallo dice una cosa falsa.
Poi ancora, un’altra falsità riguarda l’Association “Le chiffre de la parole” e Villa San Carlo Borromeo srl. L’Associatione è riconosciuta da documenti della Confederazione svizzera e è costituita e diretta da cittadini svizzeri. Il maresciallo dice: “Per lo più il pagamento consisteva o in compensazioni reciproche tra emittente e utilizzatore” – ed è improprio il significante “compensazione” – “oppure attraverso il meccanismo di cessione dei crediti”. Questo è falso. Non c’è stato mai nessun pagamento tramite cessioni di credito, non è mai stato ceduto un credito. Ma lo dice lui stesso. Lo stesso maresciallo in un altro punto risponde: la cessione di credito è avvenuta soltanto nei confronti di Nomen S.A. “È avvenuta nel caso di altri enti svizzeri?”. “No”, risponde lui. E qui invece dice che è avvenuta attraverso la cessione di crediti.
“Presumibilmente”. “Si presume”. “Abbiamo ritenuto”. “Abbiamo pensato”. Ma ecco un’altra falsità. “Per quanto riguarda i computer del Pellegrino” – qui il noi è sparito, qui è proprio “io, Uroboro”, “io presumo”, “io interrogo” – “ritengo che avesse solo lui la materiale disponibilità”. Quindi un solo ragioniere, una sola mano che eseguiva sotto dettatura diabolica.
Altra falsità a proposito delle “mappe”. “Viene tutto pianificato con netto anticipo anche di un anno”, e poi aggiunge: “la mappa per me è illeggibile”. Quindi, il maresciallo non verifica che cosa sia scritto nella mappa e neppure la coerenza con gli eventi descritti dalla mappa. No. Perché è illeggibile. Ma sa già che è una pianificazione. È contraddetto in questo dal maresciallo Scopacasa, secondo accusatore, che dice che la mappa era un promemoria per le scadenze “che avevano man mano”. Allora, se era un promemoria, non fa parte di una pianificazione diabolica, è un calendario per gli adempimenti. Meglio averli annotati o no? Il calendario non è una pianificazione. Ma il maresciallo non controlla assolutamente nessuna rispondenza né bancaria né commerciale di nulla.
“La ricerca quotidiana di mezzi finanziari veniva attuata attraverso una tecnica” – ricorre il fascino del diavolo! Eccita molto il diavolo! Lo stesso inquisitore è molto affascinato dal diavolo! Per ciò s’interessa della strega. È molto affascinato perché, quasi quasi, gli sta rubando il mestiere – “la ricerca quotidiana di mezzi finanziari viene attuata attraverso una tecnica, direi, sopraffina – scusate il giudizio”.
E così dunque: l’entourage, il cerchio di collaboratori. Cerchio divino, cerchio diabolico. Al sabato quali cose avvengono? “Sedicenti convegni”. Il maresciallo giudica che sono sedicenti, che non sono convegni. Infatti, che cosa sono per lui questi convegni? Ha capito tutto lui! Lui che non capisce, ha capito tutto: “Il Verdiglione, oppure il suo entourage” – il cerchio, è affascinato dal cerchio – “invitano le persone, il sabato mattina, generalmente presso la Villa, chiedendo di portare con sé danaro”. Al sabato mattina, questi convegni, “sedicenti convegni”.
Nonostante le mie dichiarazioni del 31 marzo, quelle del 19 maggio di Cristina Frua De Angeli, di Enrica Ferri, di Mariella Borraccino, di Fabiola Giancotti, la requisitoria riporta non quello che sta nel dibattimento ma quello che sta in ciò che precede il dibattimento, cioè nel postulato.
A proposito della vendita effettiva delle opere, il maresciallo Mincarini ammette la vendita effettiva a una domanda precisa della presidentessa. Ma il valore è inferiore! Ma questa vendita poi ha una cessione di credito! E come? Un’associazione come non socio vende delle opere a Villa San Carlo Borromeo e cede il suo credito a un ente che poi in definitiva sarà la Fondazione. Quindi queste opere vanno nel patrimonio di Villa San Carlo Borromeo. E dice: Sì, ma lo fa con questo “meccanismo” della cessione! È un “meccanismo” lecito! Utilizza il significante “meccanismo” per dare un’accezione negativa. Ma è lecito, si fa così anziché fare il conferimento. Avrebbe dovuto fare il conferimento? Così sarebbero andati nel patrimonio della società. Ma sono andate nel patrimonio le opere! Con il conferimento sarebbero andate nel patrimonio a garanzia dei creditori? A maggior ragione, sopra tutto con la vendita vanno nel patrimonio. A maggior ragione con la vendita, piuttosto che con il conferimento, che può avere sempre aspetti discutibili.
Però la ragione principale per cui le cessioni non sono valide, nonostante la vendita sia effettiva, è riposta nel fatto che stanno nel computer del ragionier Pellegrino. Ciò che sta lì non è valido perché appartiene alle società, a società che non esistono, e non esistono perché sono riconducibili. Non già: si riconducono, ma: sono riconducibili. Tutto il compito dei marescialli dove starebbe, se le società si riconducono. Se si riconducono, basta. No! Sono riconducibili. Poi verifichiamo che cosa intendono con “riconducibili”.
“Noi non ci siamo recati materialmente presso la villa a riscontrare opera per opera”. E poi “ogni soggetto giuridico va considerato a sé stante”. Ancora, “Fondamentalmente la presenza di questa mole gigantesca di documentazione all’interno di un personal computer del ragionier Pellegrino” – siccome sta lì, conferma la presunzione – “ci ha fatto pensare” – i marescialli pensano, il cogito dei marescialli è “io presumo”, non è “io penso”, pensano perché presumono – “ci ha fatto pensare che tutta la gestione della fatturazione fosse accentrata presso la persona del Verdiglione”.
Alla domanda della presidentessa, il maresciallo ammette che la cessione delle grafiche d’arte non avveniva nello stesso giorno. Non ha controllato se le grafiche fossero le stesse, ma dice che la vendita è in successione. Ciò nonostante, nella requisitoria e nell’intervento delle due patrone delle due banche parti civili, viene detto che la vendita delle grafiche avviene sempre lo stesso giorno. Cioè la cancellazione del processo e del dibattimento segue l’indirizzo stabilito dal postulato. Le patrone delle due banche fanno la caricatura del pubblico ministero, che, a sua volta, fa la caricatura dei marescialli.
Ancora rispetto al ragionier Pellegrino, il pubblico ministero chiede: “È sempre il signor Pellegrino che emetteva fatture da quel computer?”. Il maresciallo: “Presumo di sì”. Poi dice: “Le fatture nel computer del signor Pellegrino ci sono tutte”.
E qui aggiunge una falsità: “Non abbiamo riscontrato una seppur minima operatività in capo agli altri soggetti giuridici”. Come non hanno riscontrato? Vuole dire per fatture rispetto a terzi? Quindi nemmeno per la casa editrice! “Anche la Frua De Angeli Holding non ritengo abbia un’attività”. Quindi nessuna verifica, nessun controllo, nemmeno per la casa editrice.
Ancora per il Brainworking: “È un’attività, penso” – penso, ovvero presumo – “di supporto psicologico”. Siccome dice: io non so, non capisco, quindi allora presumo, allora penso – “Penso di supporto psicologico”. Questo il cogito dei marescialli.
Il presidente chiede: “Si trattava di opere effettivamente vendute, diciamo così, visto che sono pervenute alla Villa San Carlo Borromeo, ma di valore molto inferiore?”. Il maresciallo: “Sì”. Quindi sono vendute! Ma di valore molto inferiore? E chi lo giudica? Lo presume il maresciallo.
Ancora un’altra cosa. E questa è una falsità, che si prospetta come una fesseria, propria della presunzione. “Facevano fatica a pagare gli assegni!”. Quindi se davamo un assegno a un fornitore e facevamo fatica a pagarlo in quel periodo (è il periodo delle intercettazioni telefoniche, da aprile a luglio del 2009), non era un’operazione commerciale! Ma come! Se pago un assegno a favore di un dipendente o di un fornitore o di una società da cui ho ricevuto un servizio, e faccio fatica a pagarlo, non è un’operazione commerciale?
Il maresciallo dice che non è mai andato alla Villa, non ha fatto indagine sulle grafiche, nemmeno sulla loro esistenza. “Controlli materiali sulle opere non li abbiamo fatti”. E per i lavori dichiara di avere visto fotografie di come era la Villa prima e di come era dopo (sono quelle consegnate il 19 settembre 2011), ma non fa indagini. È sorpreso, poi, che le banche continuino a dare fiducia, nonostante l’operatività quotidiana. Perché i bancari non fanno come noi marescialli? Ammette che non è una frode “carosello” e se non è una frode carosello non può applicare, nel modo in cui l’ha applicato, l’articolo 21 comma 7, D.p.r. 633/72. La frode carosello si ha quando io emetto una fattura per una società, questa società detrae l’Iva e io non registro la fattura. Non è questo il caso. Qui le fatture sono contabilizzate. E i marescialli lo ammettono. E infatti, alla domanda dell’avvocato Lucio Lucia il maresciallo risponde: “Non è una frode carosello”. L’avvocato Lucia dice: “Questo volevo sapere”. E qui interviene la presidentessa: “Ma non l’abbiamo mai detto!”. Ah! Non l’abbiamo mai detto! Quindi la presidentessa accetta la falsificazione della norma tributaria per potere sostenere la presunzione. Quindi anche la presidentessa ha il suo cogito: “io presumo”. Il cogito della casta.
Queste sono le prodezze dell’accusatore fondamentale. Il caposquadra. Il capopattuglia. Poi c’è il collega, esperto di computer. Perché l’esperto del computer è il collega, che ha un bel nome, Scopacasa, e che continua a dire che i mutui erogati dalle banche sono di 78 milioni. E non prende nota che alcuni mutui sono stati estinti. Se sono stati estinti, sono stati pagati e, quindi, l’esposizione è di 53 milioni più gli interessi, cioè 58 milioni, non 78 milioni.
Il maresciallo Scopacasa indica il mutuo garantito da ipoteca come un “profitto” della società, quindi che sarebbe un profitto ingiusto. Infatti dice: “Questo è il profitto, diciamo”. Questo “diciamo” che viene ogni tanto intercalato vale come “pensiamo”, “riteniamo”, “presumiamo”. “Questo è il profitto”, presumiamo, “che anche nel rinvio a giudizio come importo era quello quantificato”. Quindi, lui ha partecipato al rinvio a giudizio. Infatti, il rinvio a giudizio ha copiato le informative della Guardia di finanza. Dice: abbiamo fatto dieci informative. Importante quella di fine gennaio 2010. E poi quella di aprile 2011. Quindi ha quantificato e scambia il mutuo con il profitto. Poi dice che ci sono 250 conti bancari, di persone varie, di associazioni, di enti, “conti correnti controllati tutti da Armando Verdiglione”. Scambia un “revisore”, che si chiama Franco Lion, con un “contabile”. E questo maresciallo dice che hanno trovato documenti “nel computer tanto del Pellegrino quanto dei suoi stretti collaboratori”. Quindi gli altri nove ragionieri commercialisti sarebbero collaboratori di questo ragioniere. Insomma 10 uguale 1. 10 non è una cifra, è uguale a uno. Però, subito dopo, aggiunge: “Gli unici computer dove c’era dentro tutta questa contabilità erano sostanzialmente quelli di Pellegrino”. “Sostanzialmente”. Come? E gli altri quindici computer? Se ciascun computer accedeva al server? Quindi i dati erano accessibili da ciascun computer. È un programma che veniva seguito da tutti. “Gli unici computer dove c’era dentro tutta questa contabilità erano sostanzialmente quelli di Pellegrino”. Qui dice che erano due. Poi, altrove, diventano uno. In effetti, erano due. Un portatile che portava a casa, non collegato con il server, e uno era quello dell’azienda. “Anche presso le abitazioni” – il ragioniere aveva una casetta a Busto Arsizio, che diventa “le abitazioni” del Pellegrino – “abbiamo trovato anche della documentazione riconducibile alle società, tra virgolette, del gruppo Verdiglione”, hanno trovato documentazione contabile e “un po’ di documentazione extracontabile”. Magari era tutta extracontabile. Se era nel computer personale, magari erano suoi studi, sue esercitazioni. Noi non avevamo nessun controllo sul computer portatile personale. Poteva scrivere anche alla fidanzata, i suoi dati della spesa, o di altri clienti suoi.
Poi, Scopacasa afferma che hanno trovato in questi uffici “tantissime matrici di assegni”. Aggiunge che lui, personalmente, in tanti anni di accessi non aveva mai visto una situazione così. “Tantissime matrici!”. I marescialli vedono pacchi, scaffali pieni di queste matrici e non le portano via. Le hanno lasciate lì. Altro che controllare! Nelle matrici si danno le indicazioni precise: il destinatario, la data, poi si può andare in banca a verificare la natura dell’assegno. “Pacchi e pacchi di documentazione bancaria, prevalentemente tutta divisa per persona fisica, persone e soprattutto associazioni”. Quindi guardavano le associazioni e le società. Precisa, poi, che si tratta di associazioni-fondazioni, e parla di matrici di assegni e aggiunge: “Sicuramente un’operatività abnorme” – abnorme! Quindi c’è l’antropologia di Cesare Lombroso, che va applicata al soggetto – “superiore, diciamo” – diciamo, cioè presumiamo – “superiore ai canoni che io fino a quel momento avevo visto”, per cui “spasmodica attività di giri di fondi”. E perché non indagano su questi fondi che girano, perché non fanno una verifica, un controllo? Dicono che non ci sono pagamenti. Verifichino! Dicono “giri di fondi” e allora cancellano anche i pagamenti.
E subito la procuratrice incalza. Il maresciallo aveva detto “spasmodica”, quindi una cosa psicologica. La procuratrice aggiunge “questa movimentazione vorticosa”. E il maresciallo: “Quelli che materialmente e quotidianamente dedicavano buona parte della giornata all’attività spasmodica di reperimento fondi, di spostamento da un fondo all’altro di importi affinché non si determinassero gli scoperti…”.
Che cosa orribile! Volevano coprire gli scoperti! Purché non ci fossero scoperti! E così lo scopo di questa operatività è definito da questo maresciallo nella “copertura di scoperti”. E perché secondo il maresciallo bisogna coprire gli scoperti? Sta qui il postulato: per ingannare le banche sul “volume degli affari, artatamente gonfiato”. Perché se dice che è per coprire gli scoperti, allora deve fare un’indagine, deve verificare. Quindi non può dire che non ci sono fondi che passano da un conto all’altro. Dice “artatamente gonfiato”: e questo risponde al postulato.
Per quanto riguarda le mappe, Scopacasa dice: “l’elevato numero delle operazioni in scadenza non poteva essere fatto a memoria”. Qui interviene qualche involontaria onestà.
Poi dice a proposito dei soggetti riconducibili a Verdiglione: “Stiamo parlando di persone rientranti, sia emittenti che beneficiari” – rispetto agli assegni – “nella sfera del duo Verdiglione-Frua”. Il duo. Il due è intollerabile. Meglio farne una sfera.
La presidentessa chiede: “Materialmente” – “materialmente” richiama la mano – “le mappe venivano redatte dalla Borraccino e dalla Amati?”. Maresciallo: “Sì”. Presidente: “Sotto indicazione di Verdiglione”. Come mai il maresciallo si scorda di dire questa parte della lezione? Allora la presidentessa interviene: “Sotto indicazione di Verdiglione”. Ma Scopacasa delude la presidentessa. Non sa dire chi delle due redigesse le mappe.
Scopacasa scambia la perizia di Franco Lion sul business plain con una perizia sull'immobile. E così la patrona di Banca Etruria non cita le perizie di AtisReal e del Politecnico di Milano sul valore – perizia del Politecnico confermata in aula dal consulente professor Sergio Mattia – ma cita quelle che non sono perizie sull'immobile: Franco Lion che fa la perizia sul business plain e Sergio Fumagalli che non redige nessuna perizia. L’architetto Fumagalli faceva il consuntivo, verificava le fatture con i lavori, ma a scopi amministrativi. Queste non sono mai state prodotte in nessun ambito.
Ma anche questo secondo maresciallo, Scopacasa, sente il bisogno d’introdurre un'altra falsità: “Nella documentazione fornita al ministero abbiamo visto che bastava l'asseverazione da parte dell'architetto”. Non è assolutamente così. Il collaudo fatto dal ministero non dice questo. La dettagliatissima “relazione di visita” che precede il collaudo non dice questo. Il maresciallo cita le fatture, benché le fatture non siano state prodotte al ministero. Al ministero non sono state portate fatture. E che cosa avviene? Quello che fa l'architetto è la congruità fra le fatture e i lavori. Lui deve verificare le fatture e i lavori, non va a guardare quali siano le ditte. Le fatture e i lavori. E poi la congruità. I marescialli non indagano la congruità fra le fatture e i lavori, ma la congruità fra i valori dei lavori indicati dall'architetto e i valori indicati dal ministero, che sono gli stessi.
Il pubblico ministero è interessato a sapere se le fatture fossero state utilizzate dal ministero. Questo sarebbe stato importante, fondamentale, ma anche qui questo maresciallo più di una volta delude. Delude prima la presidentessa, poi la procuratrice. La procuratrice: “Queste fatture sono state utilizzate come perizie asseverate da Fumagalli?”. Scopacasa: “No. Nella perizia asseverata sono stati asseverati i lavori per sedici milioni”. Ah! Quindi, non già le fatture. Anche qui un lapsus: gli sfugge una cosa onesta: “Nella perizia asseverata sono stati asseverati i lavori per sedici milioni”! I lavori, non le fatture! Scopacasa riferisce anche del vaglio critico fra la sovrintendenza e la direzione regionale del ministero. Lui la dà come una cosa negativa, e invece no. Il ministero ha diversi livelli: la direzione tecnica, i geometri, gli architetti e poi il sovrintendente che deve valutare. Poi, viene fatto il collaudo. E poi, questo collaudo viene verificato ulteriormente dal direttore regionale del ministero. Quindi, prima di dare un contributo come rimborso spese spaziale per i lavori conservativi, puramene conservativi, non per quelli che riguardano la funzionalità del bene, c'è un vaglio insindacabile delle varie strutture del ministero.
E ancora Scopacasa parla di una cosa che invece la difesa avrebbe dovuto avere a disposizione, quando interviene un processo. Quando le indagini si concludono, i documenti devono essere messi a disposizione anche degli avvocati della difesa. “Parte della documentazione bancaria è ancora presso i nostri uffici”. E non riceve nessuna obiezione! Quando c'è la chiusura delle indagini, i documenti per cui si è arrivati a quella chiusura devono essere messi a disposizione della difesa.
Poi, Scopacasa introduce ancora una falsità. “Con la Banca Popolare di Novara ho detto alcuni finanziamenti sono stati garantiti da ipoteca ed erano i mutui e altri invece c’è un finanziamento non garantito”. E questa è una cosa su cui si basa la sentenza. E invece nessun finanziamento della Banca Popolare di Novara è garantito da ipoteca. Ce n'era uno che era garantito da titoli privati per cinquecentomila euro. Nulla era garantito da ipoteca. E invece la condanna per la Banca Popolare di Novara è avvenuta rispetto al mutuo presunto garantito da ipoteca.
Scopacasa dichiara di non avere acquisito le “procedure interne” degli istituti di credito eroganti mutui e di non avere fatto nessun accertamento in merito a tali procedure. E quindi come può dire che la banca è stata indotta in errore? “No. Non abbiamo disposto noi perizie”.
Poi scaglia “le sue adepte”. Ma, siccome interviene subito l'avvocato della difesa, corregge: “le sue sottoposte o comunque soggetti a lui riconducibili”.
E poi nota, rispetto all'operatività, una cosa strana: in occasione delle scadenze dei mutui, interveniva l'esigenza di trovare liquidità per coprirli. Questa era un'operatività sospetta: cercavano fondi per coprire le rate dei mutui, quando si avvicinava la scadenza! “Quando arrivava il periodo del pagamento delle rate dei mutui, perché bene o male i mutui di anno in anno incrementavano” – i mutui non incrementano, incrementano gli interessi, ma i mutui no – “lui” – quante volte nell'Operazione guru avevano parlato di “lui”: ma “lui” cos'ha fatto, “lui” dov'è, è riconducibile a “lui”? Dove sta “lui”? Non bisogna controllare le fatture, verificarle, indagare sui servizi e sui lavori, sulle opere, no, è meglio controllare “lui” – “lui chiedeva un ulteriore sforzo sia per il reperimento da parte di dazioni personali, perché lui faceva leva anche sulla grande capacità di annientare la volontà di alcuni suoi…”. Questi è un accusatore, portato come testimone! Un testimone che dice che “lui ha la capacità di annientare la volontà di alcuni suoi”. Qui viene interrotto dall'avvocato di difesa. Ma la presidentessa, invece, vuole ammorbidire le cose, renderle più accettabili. E dice: “Chiedeva ai suoi, chiamiamoli” – ecco, chiamiamoli, diciamo – “sottoposti, collaboratori”. Così ha salvato tutto. Non c'era più da annientare, erano sottoposti. Ma allora sta confermando, se erano sottoposti, sotto-posti, soggetti. Scopacasa: “Soprattutto durante le scadenze avevano una maggiore necessità della produzione di liquidità”.
Poi dice che trova l'elenco dei conti bancari nei computer di Pellegrino. Assolutamente no. Nel computer di Pellegrino stavano le fatture, stava la contabilità, non stavano i conti bancari. Stavano in un altro computer. Scopacasa dichiara che non si è recato presso l'istituto di credito per acquisire documenti, per esempio perizie, ma la documentazione è stata recapitata dagli istituti di credito a seguito dell'ordine di esibizione della documentazione. Hanno mandato delle cose, loro hanno preso. Questi due sono gli accusatori.
Un altro ragioniere, G. F., è un testimone che la procuratrice ha portato come testimone d'accusa. E l'interrogatorio di questo testimone è un capolavoro. Perché cercano assolutamente che confermi il postulato e lì non riescono a inchiodarlo, a costringerlo a confermare. Intanto il ragioniere G. F. dice: “C'erano un sacco di persone che erano assunte nelle varie società e che facevano la contabilità”. Poi aggiunge: “Per mesi mi sono dedicato a sistemare contabilmente i dati di queste società perché, riportando da un sistema informatico all'altro, c'erano delle sfasature”. Noi utilizzavamo prima il programma di contabilità Zucchetti, poi siamo passati al programma Passepartout Mexal. Questo ha comportato una sfasatura dei dati. Passare da un programma all'altro è una cosa complessa. Domanda del pubblico ministero: “Ed erano tutte società di Verdiglione?”. Quindi tutte società di Verdiglione, non più gestite da, ma “di”. Per ciascuno dei testimoni le domande diventano serratissime in questa direzione, per cui poi capiamo altre cose che il Pubblico ministero fa. Poi questo testimone che sarebbe di accusa, ma non è di accusa, dice: “Ho visto anche una perizia fatta da un istituto bancario sull'immobile di Villa San Carlo Borromeo e su altri beni e che il valore dato dalla banca era di gran lunga superiore ai mutui”. Il pubblico ministero: “In via Gabba c'erano gli uffici delle società del Verdiglione?”. Ancora “del Verdiglione”.
Le testimonianze intorno all'esperienza, ai congressi, ai lavori, ai libri, all'attività internazionale, al secondo rinascimento, all'arte sono straordinarie.
La testimonianza di Marco Maiocchi è intelligente, razionale e lucida. È precisissima, puntualissima su ciascun aspetto, sull’essenziale: i congressi, il restauro della Villa, la casa editrice, le opere d’arte. A essa viene opposto l’interesse demonologico per il personaggio e per il suo “entourage”, nella negazione dell’arte, della cultura, del restauro, del bello, dell’impresa intellettuale, dell’internazionalismo.
Augusto Ponzio racconta di avere scritto due libri intorno a Armando Verdiglione, uno pubblicato con una casa editrice vicina a Laterza e uno con Spirali. Augusto Ponzio ha potuto vedere la trasformazione della Villa in tanti anni e gli ospiti di questa Villa in cui ci sono stati congressi, non solo internazionali, mondiali, che venivano da ogni parte del mondo.
Importantissima la testimonianza di Ferdinando Ambrosino. Parla delle mostre fatte a Parigi, ad Antibes, a New York, al Palazzo Reale di Napoli, della grandissima mostra alla Villa San Carlo Borromeo, della mostra in Cina e di altre mostre. Racconta che veniva anche ai congressi, e quali erano gli ospiti che incontrava. Dice perché tutto questo – gli scrittori che parlavano della sua opera, le mostre, i libri – valorizzava le sue opere. Dice che dava le sue opere al museo, cioè al movimento. La stessa cosa fa Salvatore D'addario, un altro artista del secondo rinascimento.
Sono testimoni che danno un contributo semplicemente con la loro testimonianza intorno alla portata intellettuale del Movimento cifrematico. Ma i loro interventi vengono travisati, deformati dal Pubblico ministero che non cita nulla, ma trae una significazione demonologica, che non risponde alla testimonianza.
Altre cose sono notevoli. Un altro testimone è Anna Maria Fontanabella. Il pubblico ministero chiede: “E quindi con Verdiglione che accordi avete preso?”. Fontanabella: “Erano incontri intellettuali”. Pubblico ministero: “Allora, le spiego una cosa. Il termine intellettuale a noi non dice nulla. Bisogna che noi lo ancoriamo a un dato concreto di fatto, perché stiamo facendo un processo penale. D'accordo?”. Fontanabella: “Sì”. E riprende il pubblico ministero: “Quindi, le parole ci servono, ma fino a un certo punto”. Fontanabella: “Erano incontri intellettuali nel senso di incontri in cui io chiedevo anche delle specificità rispetto alla teoria”. Pubblico ministero: “Benissimo, quindi erano incontri personali?”. Personali, interpersonali, intersoggettivi, magari di supporto psicologico! Fontanabella: “Portavo degli scritti, e poi discutevamo questi scritti anche in base alla sua teoria”. La teoria, incontri intellettuali, gli scritti! “Veniamo a qualcosa di concreto! I convegni, dava un contributo ai convegni?”. Quanti convegni? “Due all'anno”. Quanto dava? “Un contributo volontario”. Interviene la presidentessa che deve supplire a qualche mancanza del pubblico ministero. “La domanda del pubblico ministero è se ricorda il nome di qualcuna di queste persone che ricevevano i soldi” – ai convegni! – “e che collaborava con Verdiglione”. Cioè lei, duecento euro a convegno, a chi li dava? Risponde: “C'erano varie persone, non era sempre la stessa persona”. Ma a chi li dava? I nomi, i nomi, i nomi! Perché i nomi? Per la cerchia, il cerchio, la sfera, l'entourage, l'associazione demoniaca, quindi criminosa. Pubblico ministero: “Chi è che gestiva queste società, sempre Verdiglione?”.
Ma non basta. La procuratrice non ha curiosità culturali: vuole avere una conferma su Cristina Frua De Angeli. “Di che cosa si occupava?”. Fontanabella: “Anche lei, io la conosco per questioni intellettuali, perché lei ha scritto un libro Chi è questa bella principessa?, cose del genere, per cui anche per quel motivo lì”. Interviene la presidentessa – non basta la procuratrice. “Facciamo molta fatica a capire quello che dice”. La testimone sta dicendo che incontra per questioni intellettuali l'autrice di un libro. “Facciamo molta fatica a capire quello che dice”. “Noi” non capiamo. Ciò che “noi” non capiamo è da cancellare.
Un altro dei testimoni è Giovanni Cavicchi, il quale dichiara che era interessato alla cultura che trovava nel Movimento. Riferisce di sua moglie che era protagonista, a Ferrara, delle attività culturali e anche dell'attività della casa editrice, racconta che ha incontrato molti autori della casa editrice, venuti a Ferrara in occasione della pubblicazione dei loro libri. Cavicchi poi, verificando l’interesse che loro avevano anche per cento euro, dice che nella vita: “Non è tutto mercimonio e danaro”. Allora il pubblico ministero a Cavicchi: parliamo di cose serie, lei è stato due volte alla Villa, “il proprietario della Villa, lei, chi pensava che fosse?”. Il pubblico ministero ha ottenuto il sequestro delle due ville dal Gip ai primi di giugno del 2011, con il postulato che le Ville fossero nella mia piena disponibilità, fossero di mia proprietà, e il dissequestro è avvenuto perché il tribunale del riesame ha detto che non erano di mia proprietà. Giovanni Cavicchi risponde: “Il proprietario della Villa ho sempre saputo che era la Fondazione”. Pubblico ministero: “Cioè?”. Cavicchi: “La Fondazione Armando Verdiglione”. Pubblico ministero: “Ricorda da chi era costituita questa fondazione? Di chi era questa fondazione?”. È la stessa domanda che fa a Carlo Cortinovis, perito fiscale. Cortinovis le ha risposto che no, la Fondazione è persona giuridica, non ha eredi né proprietari. E, questo, Cortinovis glielo ha detto prima. Ciò nonostante, questi interventi, il Pubblico ministero li fa dopo.
Segue la deposizione di un altro consulente, Sergio Mattia, professore di estimo al Politecnico di Milano. Egli conferma la sua valutazione del bene: sono valori importanti, per centinaia di milioni, ancora oggi. Come professore di estimo, non valuta in base ai bilanci, ma in base ai dati di mercato. Però qui interviene la presidentessa: “Senta, professore! Lei non ha verificato la titolarità di queste ville?”. Come il pubblico ministero: “Chi è il proprietario della Villa? Chi è il proprietario della Fondazione?”. Il pubblico ministero chiede a Mattia: “Che attività svolgeva all'epoca Verdiglione?”. A un consulente che interviene sul valore di un immobile viene chiesto che attività svolgesse Verdiglione. E questa è una perizia sul valore dell'immobile? Il valore dell'immobile dipende dall'attività che svolgeva Verdiglione in quel periodo?
Marek Halter dà una testimonianza che è un documento. È un intellettuale noto in tutto il mondo e dice della sua esperienza con la Fondazione, con la casa editrice. Parla del congresso di New York organizzato da me (30 aprile-2 maggio 1981) e di quell'appello a New York per la liberazione di Sacharov. Molti dissidenti in quel congresso, come nei congressi di Parigi, Milano, Tokio, come in ciascun congresso. E qui gli chiedono: “Ma lei ha pagato per fare i libri?”. “No”. “Veniva pagato, lei personalmente?”. Halter spiega che il contratto era tra editore e editore e quindi veniva dato un anticipo. Gli chiedono: “E quanto era questo pagamento?”. Risponde che ha fatto diversi libri e che non può ricordare per ogni libro gli accordi che ha fatto l'editore francese con l'editore italiano. Poi l'avvocato della difesa gli chiede, a proposito della casa editrice: “È soddisfatto della collaborazione con Verdiglione?”. Presidentessa: “Avvocato, rileva poco ai fini del processo”. La soddisfazione non è ammessa.
Interviene Uwe Peters, che è stato vicepresidente dell'Associazione psichiatrica mondiale, stava per essere eletto presidente, e comunque è stato a lungo presidente dell'Associazione psichiatrica tedesca. Peters racconta che era venuto a New York come uditore nel congresso appunto tenuto dal 30 aprile al 2 maggio 1981, e come si è trovato poi alla Villa San Carlo Borromeo. E anche qui l'avvocato della difesa chiede: “È rimasto soddisfatto del servizio prestato dalla casa editrice o ha riscontrato qualcosa di anomalo?”. Ma interviene la presidentessa: “No, avvocato, non rileva ai fini del processo”. “Beh, qualcosa di anomalo, la domanda è pertinente”, dice l'avvocato. Presidentessa: “Cioè se pagava o meno è un conto, ma se è soddisfatto del servizio della casa editrice...”. Avvocato Bruni: “E però anche se ha riscontrato qualche anomalia. Ha conosciuto diverse case editrici, è un professore, credo che sappia più o meno come avvenga la pubblicazione, se ha riscontrato...”. Presidentessa: “Sì, ma non è rilevante ai fini del decidere. La domanda non è ammessa”. La presidentessa!
E ancora. Quando parla Fabiola Giancotti con le sue dichiarazioni, interviene la presidentessa: “Più che discutere di tutta l'attività teorica dell'associazione”, non è l'associazione, è Intersitus, una società, “al tribunale interesserebbe sapere come sono state pagate le fatture”. Ma glielo ha spiegato Cortinovis e poi glielo spiega Fabiola Giancotti subito dopo.
Vi segnalo una pièce di portata storica e politica: l'interrogatorio del consulente tecnico, del perito di parte, Carlo Cortinovis. Una pièce formidabile. Ciascuna questione del postulato è smantellata, mentre le cinque interroganti cercano a tutti i costi, in ogni modo, d’inchiodarlo. Ma lui, con l'esame preciso delle cose, risponde.
Ciascuna di queste testimonianze potrebbe essere pubblicata. Sono meravigliose.