Cronache
Zona rossa, Conte: "Ho chiarito tutto". La pm: "Grande collaborazione"
Il procuratore aggiunto di Bergamo Maria Cristina Rota a colloquio con il premier Conte e i ministri Luciana Lamorgese e Roberto Speranza. "Clima disteso"
Zona rossa, pm Bergamo a Palazzo Chigi per ascoltare Conte
"Abbiamo sentito come persone informate dei fatti il presidente del consiglio, il ministro della salute e il ministro dell'interno. Le audizioni si sono svolte in un clima di massima distensione e collaborazione istituzionali. ora ce ne andiamo grati di queste dichiarazioni a completare il nostro lavoro", così la pm di Bergamo Maria Cristina Rota lasciando Palazzo Chigi, ha dichiarato ai cronisti. "Lei aveva detto che la zona rossaera responsabilita' del governo?", chiedono i giornalisti alla procuratrice di Bergamo che risponde "No. Avevo dichiarato che dalle dichiarazioni che avevamo in atto c'era quella in quel momento. Oggi non ho altro da aggiungere". Il premier subito dopo ha affermato: "Ho voluto chiarire tutti i passaggi nei minimi dettagli".
Il procuratore aggiunto di Bergamo Maria Cristina Rota era arrivata intorno alle 10.00 a Palazzo Chigi insieme al pool investigativo che ha ascoltato il premier Giuseppe Conte. L'audizione col presidente del Consiglio è durata circa 3 ore. Sono stati ascoltati anche il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese e il ministro della Salute Roberto Speranza, sempre nell'ambito dell'inchiesta sulla mancata istituzione della zona rossa a Nembro e Alzano Lombardo. I membri del Governo sono stati sentiti come persone informate sui fatti.
Zona rossa, l'accusa contro ignoti è di epidemia colposa
E’ partita all’inizio di aprile sulla base di ricostruzioni giornalistiche e dell’esposto dell’ex inviato di ‘Striscia la notizia’, Stefano Salvi, l’inchiesta della Procura di Bergamo approdata a Palazzo Chigi per sentire il presidente del Consiglio Giuseppe Conte sulla mancata istituzione della ‘zona rossa’. Epidemia colposa a carico di ignoti: questa la ‘traccia’ iniziale, per ora rimasta invariata, seguita dalla squadra di tre magistrati (un quarto si è sfilato ufficialmente perché deve smaltire le ferie, alcuni parlano di “divergenze) guidati dal procuratore aggiunto Maria Cristina Rota che, subito dopo l’avvio del fascicolo, aveva definito l’iniziativa come “un atto dovuto”. Erano i giorni in cui già la pagina Facebook del comitato ‘Noi denunceremo’ esplodeva di rabbia e dolore coi racconti dei parenti delle persone morte per coronavirus poi confluiti nelle 50 denunce presentate nella stessa Procura nei giorni scorsi.
Il filo conduttore, come si legge in uno degli esposti, è quello dell’”inerzia assoluta che ha provocato un incendio di proporzioni devastanti in Valle Seriana” da parte di governo e Regione Lombardia rispetto alla decisione di chiudere Nembro e Alzano, i due comuni dove il virus già imperversava. Come a Codogno e in altri paesi, dove però i confini erano già stati sigillati, mentre la provincia di Bergamo, la più aggredita dal contagio, chiuderà col resto del Paese l'8 marzo. Legato al tema della mancata zona rossa c’è quello della riapertura seguita a una prima chiusura, tutto si consuma il 23 febbraio, dell’ospedale di Alzano, dove già si erano registrati i primi pazienti positivi. Per questo uno dei primi atti dell’indagine sono state le perquisizioni dei Nas nella struttura sanitaria.
L’inchiesta si è impennata sulla questione della zona rossa perché i pubblici ministeri hanno convocato l’assessore al Welfare Giulio Gallera e il presidente della Regione Attilio Fontana uno dopo l’altro, come persone informate sui fatti. Entrambi hanno spiegato che la decisione spettava al governo, citando l’invio dell’esercito come prova inequivocabile. “Nessuna pressione da parte di Confindustria per lasciare aperto”, ha assicurato Fontana nella sua audizione del 29 maggio, accompagnata, all'uscita dalla Procura, dai cori ‘assassino, assassino’ da parte di un gruppo di cittadini convinti che la responsabilità sia stata sua.
Poche ore dopo, incalzata dai giornalisti, il procuratore Rota si è lasciata andare a una dichiarazioni inconsueta, a microfoni aperti, sullo stato delle indagini: “Spettava al governo chiudere”. Parole che sembravano ‘scagionare’ in anticipo Fontana ma che, a quanto appreso dall’AGI, confidandosi con chi le sta vicino Rota ha detto essere state fraintese perché le conclusioni dell’indagine sono ancora tutte da scrivere. E, per farlo, almeno sul tema della zona rossa, la pm è scesa a Roma per una tre giorni che coinvolge anche il governo.
Dopo l’ascolto di Silvio Brusaferro, il presidente dell’Iss che suggerì all'esecutivo di istituire la zona rossa all’inizio di marzo perché l’indice di contagio in Valle Seriana era già molto alto, tocca al presidente Conte e ai suoi ministri Roberto Speranza, in quanto responsabile della Sanità, e Luciana Lamorgese, da cui dipendeva l’invio dell’esercito, dare la loro versione. Poi arriverà il momento più delicato per i magistrati, chiamati a decidere se i comportamenti di Regione e governo rientrassero nell’ambito di scelte politiche, per quanto eventualmente sbagliate, oppure nella sfera della giustizia penale. Il reato di epidemia colposa, secondo la giurisprudenza, è molto difficile da dimostrare. Una sentenza del 2017 della Cassazione su un caso di gastroenterite provocata dalla mancata chiusura di un acquedotto ha stabilito che “per sussistere deve prevedere una condotta commissiva e non omissiva”. In sostanza, non basterebbe non avere impedito al virus di diffondersi per immaginare una colpevolezza.