Culture

“Adolescenza, anima mia: quando l’amore è eterno”

Intervista a Mary B. Tolusso, autrice del romanzo "L’esercizio del distacco"

“Come molti avevo ceduto agli stupefacenti dell’epoca, vivere più a lungo, più sani, più belli, come se la vecchiaia fosse una malattia da estirpare”, è una frase del romanzo L’esercizio del distacco (Bollati Boringhieri, 2018) di Mary Barbara Tolusso. Un tema, quello di desiderare una giovinezza eterna, che nella trama di declina in due varianti. La prima è l’assolutezza dei sentimenti adolescenziali, che inevitabilmente si perdono. La seconda è squisitamente sociale e cavalca l’epoca: l’allungamento della vita, forse una delle questioni su cui oggi la ricerca scientifica investe di più. Ma L’esercizio del distacco è anche una grande storia d’amore, consumata da tre ragazzini che vivono in un collegio: Emma, David e Sofia, quest’ultima anche la voce narrante. Tramite la loro vicenda, raccontata a vent’anni di distanza, si innesca un passato che mette in luce la bellezza dei sentimenti, quando ancora la vita lo permetteva. Un’emotività contrastata, come sempre in giovane età, un conflitto reso ancora più intenso dall’ambientazione, ovvero un collegio dove gli adolescenti vengono educati alle buone maniere e al controllo degli istinti emotivi.

Come mai questa scelta? Come mai inserire tre adolescenti in un luogo dedito al controllo?

Perché in fondo è la metafora che tutti noi viviamo, certo qui resa più enfatica dalla fiction, ma tutti noi nell’adolescenza siamo educati e controllati dalla famiglia o dalla scuola. Insomma difficilmente nell’adolescenza riusciamo a fare ciò che vogliamo, anche se ciò che sentiamo è davvero intenso. Probabilmente è anche un bene, l’istintività di quell’età è rischiosa. Peccato però che, più o meno consapevolmente, il controllo a cui siamo soggetti ci educhi anche ad avere timore del rischio e senza capacità di rischiare la vita un po’ si appiattisce.

Mary b tolusso Copertina
 

Infatti i suoi protagonisti non hanno rischiato…

No infatti, si sono persi un bel pezzo di vita, anche se Emma, David e Sofia hanno seguito strade diverse, ma tutte strade che sono la diretta conseguenza di quella formazione. Per difenderli dirò che almeno uno dei tre a un certo punto capisce quanto è andato perduto, a vent’anni di distanza, semplicemente per paura. D’altra parte erano ragazzi che sarebbero stati costretti a “ridursi in società”, insomma per arruolare la realtà bisogna perdere i sogni, nella maggior parte dei casi non possiamo stare a contemplare il cielo, è necessario lavorare, mangiare e muoverci. Chi infatti dei tre preferiva il cielo, è stato vinto dalla vita.

Come definirebbe il suo romanzo? Di formazione?

Non ne ho idea. Io volevo solo raccontare una storia.

Però lei ha scritto di adolescenti e di una loro probabile educazione.

Come tantissimi altri, è indubbiamente più difficile scrivere intorno alla vecchiaia, a meno che uno non sia Hemingway, autore che tra l’altro non amo. O meglio, non amo “Il vecchio e il mare”. Va detto però che più che parlare di adolescenza, mi interessava il mutamento che subiamo, per vari motivi, fino a perdere il tipo di sensibilità e frontalità che la giovinezza di solito riserva. Una cosa che mi interessava era questa, il fatto che ci raffreddiamo in maniera eccessiva perché d’accordo, non tutto può mantenersi infuocato, ma neppure diventare indifferenti è una grande prospettiva di vita. Certo raffreddarsi è più comodo.

In che senso?

Ipotizzo in tutti i sensi. Dalle relazioni sentimentali a quelle lavorative. Recepire il mondo tramite la pancia e non tramite la ragione è sconveniente, anche se la pancia è più sincera. Non sto dicendo che sia giusto, dico che crescendo lo squilibrio mi pare eccessivo. Per tornare ai protagonisti, questo tipo di futuro “comodo” David l’aveva intuito, Emma lo accetta in modo conformista, Sofia sta a metà tra i due, comunque più colpevole di Emma perché Sofia è meno superficiale.

Nonostante questo il romanzo narra una storia d’amore piuttosto intensa…

Perché i contrasti e gli ostacoli, le reticenze, la paura, le contraddizioni sono espedienti straordinari per creare romanticismo. Ce lo insegna Austen. D’altra parte se due persone si incontrano, si piacciono e si amano che scriviamo? L’amore deve portare i segni di una guerra, almeno secondo me, ma forse anche questo è un sentimento adolescenziale, soffrire per amore intendo, poi infatti disimpariamo a farlo. Però non si parla solo di amore in questa storia.

C’è anche il tema dell’eutanasia, nella seconda parte del libro, un altro argomento che ci riporta all’attualità.

È un tema proprio in rapporto alla vita dei protagonisti. Trovo infatti interessante il fatto che viviamo in una società che da una parte auspica in modo determinato a una vita quasi eterna e dall’altra vuole avere la facoltà di decidere (anche) una morte anticipata. Più si chiede diritto a vita eterna, più si pretende di decidere anche della sua fine. È intrigante, non saprei dire perché, lo sapranno i filosofi, a me viene in mente solo che finalmente la scienza sta sostituendo Dio.

C’è un altro argomento attuale: le migrazioni, gli emigranti, la loro richiesta d’aiuto. Inoltre lei ambienta la trama a Trieste, città nota per essere un crogiolo di culture…

Anche se nella storia ho letteralmente copiato due episodi di cronaca triestina che ci dimostrano il contrario. A livello di confini, geografia e lingua certo, Trieste non può che essere un cocktail identitario, reso ancora più ossimorico dal forte nazionalismo della città. Trieste, come i sentimenti dei miei protagonisti, è faccenda contraddittoria e irrisolta, per questo mi sembrava il luogo ideale. Infine, quando uno dei tre personaggi riesce a realizzare una sua personale apertura emotiva, non a caso questo atteggiamento corrisponderà a un segnale di accoglienza anche da parte della città nei confronti dei migranti. Io la vedo così, solo se riusciamo a stare bene noi per primi, non temiamo neppure gli altri. Bisogna educarsi a stare bene, bisogna pretendere questa scelta, possibilità data dalla conoscenza, dalla cultura. Da lì bisogna partire.  

Mary Barbara Tolusso è nata a Pordenone e vive tra Trieste e Milano. Ha pubblicato alcune raccolte di poesia e i romanzi L’Imbalsamatrice (Gaffi, 2010) e L’esercizio del distacco (Bollati Boringhieri, 2018). È presente nell’antologia Velocità della visione. Poeti dopo il Duemila (Fondazione Mondadori, 2017). Ha tradotto Giacomino da Verona per il volume Visioni dell’aldilà prima di Dante (Mondadori, 2017). Ha vinto il Premio Pasolini (2014) e il Premio Fogazzaro (2012).