Culture
Al cinema il fascino di "Maleficent"... Foto e recensione





















di Stefania Pizzi
Tim Burton e Angelina Jolie rispettivamente produttore e produttrice esecutiva, oltre che protagonista. Robert Stromberg, scenografo (premio Oscar) di Avatar, Alice in Wonderland e Il grande e potente Oz, qui regista all'esordio. Così si presenta, quasi in contemporanea sugli schermi americani e italiani, questo fantasy, live-action, che smonta e rappresenta in modo inaspettato la famosa favola Disney 'La bella addormentata nel bosco', sugli schermi nel lontano 1959, tratta da Perrault.
Maleficent non è una rilettura del classico appena citato; chi vi si accosta paragonandolo al magnifico e unico cartone commette un errore, anzi con tutta probabilità si siede sulla poltrona sbagliata. Stromberg, con dote e attenzione tutte rivolte ad effetti speciali numerosi, attraenti, ma mai nauseanti o sovraccarichi, mostra una fiaba popolata di simpatici esseri animali/naturali, abitanti di un bosco, la brughiera, all'inizio sereno e colorato che si contrappone al vicino e nemico mondo degli umani, carico di tensioni e intenzioni distruttive nei confronti degli abitanti limitrofi. La scelta di raccontare e mostrare il profilo a tutto tondo di Malefica, qui Fata Madrina in principio buona, anziché quello di Aurora, appunto 'la bella addormentata', è un escamotage narrativo che riesce grazie al magnetismo unico e ferreo di Angelina Jolie, donna alata affascinante col piglio e il coraggio di mille uomini, la grazia e la fragilità di una donna tradita e di una madre mancata.
Chi desidera leggere Maleficent con la lente di un Femminile travolgente e prevalente compie un'operazione possibile, ma non del tutto equilibrata: gli uomini rappresentati come malvagi e pervasi di sentimenti di vendetta (vedi Re Stefano), oppure inutili e smielati (vedi il principe Filippo) certo rafforzano tale chiave interpretativa. Ma intorno alle ali magiche della stupenda, nelle sue carnosi labbra, e patinata/hollywoodiana Malefica/Jolie si muovono anche tre sciocche e inette fatine, incapaci di allevare la piccola Aurora, che è essa stessa più bella e addormentata che scaltra e intelligente. Doti, queste, concentrate in una donna tutta imponente - anche negli zigomi sporgenti - che attraversa purezza, dolore, vendetta, malvagità e tenerezza in 97 minuti che scorrono avvincenti e per nulla noiosi.
Dopo un 2012 all'insegna di due Biancaneve versione fantasy e dark (Biancaneve dell'indiano Tarsem Singh con una ironica Regina Julia Roberts, e BIANCANEVE E IL CACCIATORE di Rupert Sanders con la malvagia Charlize Theron), e un 2013 chiuso da BLANCANIEVES dello spagnolo Pablo Berger, folgorante nel suo muto/bianco e nero (non è però un fantasy), continua la ripresa dei classici Disney con un risultato ampiamente apprezzabile e gradevole.
Il risveglio finale grazie al bacio 'del primo amore' è una trovata tutt'altro che romantica: ha il merito di virare il lieto fine... non svelo, ovviamente, in quale direzione!