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Culture
Gianni Mura non stona. Il libro

di Raffaello Carabini

In pubblico ha cantato una volta sola, a un concerto dell’amico Ricky Gianco. “Feci “La rosa bianca” di José Martí, perché è poco rischiosa. La puoi quasi recitare. Alla fine, applausi di prammatica.” Ma aggiunge, con il suo viso butterato, impassibile e pietroso, senza mai sorridere: “una signora venne ad abbracciarmi: “Mi ha dato una gioia immensa. Ora so che a Milano c’è qualcuno più stonato di me”.”

E avrebbe voluto fare il cantautore, il noto giornalista-scrittore Gianni Mura, esperto di sport e di cucina, politologo e musicologo. L'approccio alla carta stampata è stato quasi un ripiego, dovuto appunto all'incapacità cronica di raggiungere con la voce la nota giusta. Perciò nessun titolo avrebbe potuto essere più appropriato di Confesso che ho stonato – che però era già stato usato da Stefano D'Orazio dei Pooh per la sua autobiografia del 2002 – per una sorta di confessione del proprio rapporto con la musica, che apre la nuova collana “Note d’autore”, che vuole allineare per Skira Editore una serie di stimolanti volumetti (un centinaio di pagine, 13 euro) a tema musicale, agili e di divertente lettura, pieni di aneddoti e di spunti brillanti.

Mura espone le sue passioni, da Endrigo a Jannacci, dalla Piaf a Tenco, passando per l’elogio della fisarmonica e il jazz amato da Bearzot, con il suo stile rapido e immediato, senza fronzoli, che colpisce e rende la lettura anche delle situazioni meno gradevoli lieve e avvincente. E insieme piena di spunti di discussione, a partire dal capitolo finale che rimanda al Nobel assegnato a Bob Dylan: le canzoni sono o no poesia? La sua risposta è sì, sulla scia di Lucio Dalla, che diceva "se non avessi incontrato Roversi, adesso farei l'idraulico", riferendosi al poeta bolognese che scrisse le liriche di tre LP del compianto cantautore.

E di ricordi e fatti passati nel dimenticatoio, come la vergognosa accoglienza che ebbe a Milano per il primo concerto di cinque – gli altri vennero annullati – la più grande cantante di jazz di sempre, Billie Holiday. Al Teatro Smeraldo, dopo alcuni mugugni, al quinto brano il pubblico, del tutto ignaro di chi fosse e digiuno di inglese, stava per fischiarla, quando l’impresario con tempismo perfetto la trascinò in camerino dicendo alla platea che era stata colta da un malore.

Pagine che si continuano a leggere fino alla fine, perché sono scritte benissimo, sono zeppe di episodi e di idee, rispettano pienamente il claim della collana: “non si fa storia, qui, non si fa giornalismo. Si scrive di un amore: la musica, qualunque essa sia.”

gianni mura copertina
 
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