Culture
“Mandami tanta vita”, la recensione
di Alessandra Peluso

«Fidarsi della prima impressione può portare fuori strada». (p. 11). Esordisce con queste parole l'autore Paolo Di Paolo, ma non è così nel leggere “Mandami tanta vita”; anzi la prima impressione ha incoraggiato l'idea verificata e consolidata nel corso della lettura.
È sorprendente la scrittura, lo stile, l'architettura costruita da Di Paolo. Singolare e a tratti disorientante la trama complessa, ardita e affascinante la poesia che ricorre in ogni parola, in ogni istanza dimenticandosi del tempo e della spazio.
C'è la categoria del tempo sì - leggera e insostenibilmente pesante - che fugge, si preferisce non percepirla per dare senso elevato al trascendentale, all'assoluto, alla grandezza di un amore che l'autore esprime in modo sublime.
Confonde e poi orienta il romanzo, come una bussola. Fa assaggiare momenti poetici, culturali, di spessore che durano istanti e si intrecciano con maestria nella storia di Moraldo che vive la sua giovane vita, o almeno tenta godendo degli imprevisti. Alla poesia si accosta imponente e pretestuosa la filosofia che lo stesso Moraldo ama da Kant, a Hegel, Nietzsche e Vico. È un romanzo filosofico meglio appartenente ad un esistenzialismo che però lo stesso Camus e Sartre disprezzavano semplicemente perché non accettavano etichette da filosofi eclettici e poliedrici quali erano.
Così penso che “Mandami tanta vita” sia pressoché limitante etichettarlo, certa però che il linguaggio adottato non si può non considerarlo come filosofico, esistenziale, proprio di una mente profonda, acuta e per nulla banale quella di Paolo Di Paolo.
La storia dello strano personaggio quale è Moraldo - letterato, amante della filosofia appunto - affascina, attrae, pagina dopo pagina incuriosisce come è la vita descritta da Piero, un giovane editore ed in parallelo o meglio ad unisono prosegue la narrazione.
La storia si svolge tra Torino e Parigi negli anni '30 per entrambi che sembrano inseguirsi, fino a che l'imprevisto dissipa i pezzi di un puzzle - in apparenza incastrati nel modo giusto - l'arrivo di Carlotta.
È la donna che disorienta, sconvolge, è l'amore che spaventa, intimorisce, appassiona, addolora. Descritta come appartenente solo a se stessa, come gli alberi. «Dev'essere una che fa strani sogni, e poi se li porta appresso tutto il giorno». (p. 136). Pensa Moraldo. Ma è la vita e nel vortice degli eventi Di Paolo ricerca l'origine, la nobile fine o inizio di un'esistenza.
È bellissimo “Mandami tanta vita”: non è una credenza, né un'abitudine come direbbe Hume ma è un giudizio sintetico a priori per dirla con Kant, o più semplicemente è un giudizio dettato da una conoscenza verificata dall'inizio sino all'ultima parola del romanzo.
Lascia il lettore anelante e desideroso di vita e di conoscenza. Affascinano i personaggi e le loro manie, confondono il lettore fino a fargli credere che si tratti di una storia realmente vissuta, o forse lo è. Sorprende la conclusione, spariglia le certezze per farne sorgere di nuove. Non possono coesistere gli idealismi che allontanano dalla realtà, “sottraggono le persone che abbiamo idealizzato fino a farne i nostri feticci”.
Paolo Di Paolo segue il genio storico-filosofico creando un romanzo - senza eccessi d'enfasi - di qualità che lo rende protagonista e non spettatore di una storia tessuta con fatica e determinazione, appare come l'“io penso” di kantiana memoria, abilmente unifica con coscienza e autocoscienza esplicando gli eventi. È attività unificatrice e sintetizzante di una narrazione che comprende il reale e l'ideale, la conoscenza e l'inconoscibile (fenomeno e noumeno). Ammalia questa forza dell'autore che si avverte in “Mandami tanta vita”. Così come insegna a sopportare la fatica, il sacrificio, la morte, tollerando gli eventi reali - razionalizzando il ciclo di corsi e ricorsi - in quanto di fatto appartengono alla vita alla quale nessuno può opporsi.