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"Le parole necessarie" e "Fuori dal soggetto". Le recensioni

"Le parole necessarie" di Giuseppe Pontiggia e "Fuori dal soggetto" di Emmanuel Lévinas

di Alessandra Peluso

Un confronto appetibile: parola e soggetto, scrittore e filosofo. Due saggi che si intersecano veicolando pensieri. Attraverso la parola e l'espressione del soggetto, due personalità influenti del Novecento sono pubblicate da Marietti Editore.

"Secondo Giuseppe Pontiggia scrivere è progetto e sorpresa; progetto in quanto indica avanzamento in una costruzione architettonica di cose che si vogliono esprimere e un'attenzione premurosa per esse e per le parole che dicono"; così scrive Daniela Marcheschi nell'Introduzione al saggio di Pontiggia, dimostrando l'amore per le parole, l'importanza della creazione, del linguaggio. 

Costui scriveva quotidianamente, lavorava con cura sui termini. La parola che oggi, sebbene si viva in una società dell'informazione e della comunicazione, non sembra abbia perseguito dei miglioramenti rispetto alla nascita della retorica in Sicilia, in ciò che è stata nei secoli passati la Magna Grecia. Attualmente, al contrario, si assiste a un deterioramento della parola, a un abuso di essa, spesso privandola di un significato che è proprio dell'umano. E allora, la lezione dello scrittore e critico letterario Giuseppe Pontiggia è opportuna; sembra perciò, doveroso leggere questo prezioso libretto dal titolo "Le parole necessarie. Tecniche della scrittura e utopia della lettura". Senza utopia e con attenzione al linguaggio si manifesta anche il filosofo Emmanuel Lèvinas, il quale segue con appunti e incontri insigni rappresentanti della cultura filosofica, teologica e letteraria del Novecento come Buber, Jankélévitch, Marleau-Ponty e altri, tradotti da Francesco Paolo Ciglia e raccolti da Marietti Edizioni in "Fuori dal soggetto".  

le parole necessarie
 

Se la dialettica e la differenza sono paradigmi comuni alla complessità teorizzata da Morin, la parola è parte integrante della complessità che genera diversità e tesse dialoghi come avviene in Buber dove la filosofia del dialogo permette l'incontro anche con Dio. Non solo, attraverso la parola c'è l'incontro tra ebraismo e cristianesimo e si scopre il tempo dell'umano con Bergson o la morale senza eudemonismo di Jankélévitch; questi gli appunti di viaggio, forse, di Lévinas e gli affascinanti significati che lui attribuisce alla parola. Segue anche la problematica riguardante i diritti umani.

Stupisce "l'identità di monade attribuita all'io, l'io che è soggetto della coscienza trascendentale entro cui si costituisce il mondo, è a sua volta fuori dal soggetto: sé senza riflessione, unicità che si identifica come risveglio incessante" (p. 167).  Come altrettanto la relazione soggetto e oggetto in una dualità asintotica all'interno di una complessità che è la vita, una parte di essa, l'espressione dell'individuo nell'esperire la parola, il linguaggio per conoscersi, conoscere, interpretare, comunicare, vivere. È nel linguaggio quotidiano che ci accostiamo all'altro uomo. È nella 'differenziazione sociale' che per socializzare occorre la parola. Ed è di questa necessità, pertanto, goduta nella retorica del detto, che si argomenta nei due testi "Le parole necessarie" di Giuseppe Pontiggia e "Fuori dal soggetto", di Emmanuel Lévinas: "L'essenza del mondo della vita e del linguaggio di tutti i giorni non si definisce con il grado di elevatezza raggiunto dall'inevitabile retorica di ogni parlare; essi possono essere descritti mediante la prossimità del prossimo, totalmente altro in questa prossimità, che, al di là degli scarti della retorica, permette la nascita di una trascendenza che va da un uomo a un altro uomo e a cui si riferiscono le metafore capaci di significare l'infinito" (p. 151). Ecco infatti, che le metafore appaiono essenziali a descrivere il detto e il non detto, a narrare l'indicibile. E nella narrazione dell'Io che si esplica l'esistenza e a sua volta la parola, quale "ritmo essenziale dello spirito", indispensabile a creare idee, progetti, a dar vita a libri, a generare cultura, a salvarci dall'abisso dell'odierno presente.