Culture

Pio XII e la Chiesa "trionfante". Così l'ha guidata nel secolo breve

Gaetano di Thiène Scatigna Minghetti

Martedì 9 ottobre ricorrono i sessant'anni dalla morte di Papa Pio XII

2 marzo 1876 – 9 ottobre 1958. Tra queste due date, quella della venuta al mondo e l’altra della dipartita, sono rappresi la vicenda umana e l’itinerario sacerdotale del Pontefice della Chiesa Romana, Pio XII, nel secolo Eugenio, Maria, Giuseppe, Giovanni Pacelli, 260° papa nella serie dei Sommi Sacerdoti che si sono succeduti sulla Cattedra di Pietro nella storia straordinaria del Cattolicesimo romano. Così come essa si è dipanata in oltre duemila anni dalla sua origine, allorché il Salvatore Risorto, intese consegnare, come simbolo icastico delle facoltà che il Signore aveva voluto affidare all’Apostolo Pietro nel designarlo come guida e capo della Sua Chiesa nel mondo. 

            Ora, ricorrono ormai sessant’anni dacché, nel palazzo pontificio di Castel Gandolfo, Sua Santità rese il proprio spirito all’Eterno Padre dopo aver guidato, con mano ferma e suprema capacità di governo, la Navicella di Pietro, tra i marosi travolgenti del cosiddetto “secolo breve”, che aveva visto misurarsi questo jeratico pontefice – dai tratti tormentati di un asceta medievale – con personaggi, nel bene e nel male, straordinari e terribili, che hanno, per così dire, marchiato in maniera indelebile la storia dell’Italia, dell’Europa e dell’intero mondo. Con i quali Pio duodecimo si è, di volta in volta, confrontato e pure scontrato, molto spesso anche a rischio della propria incolumità e dell’esistenza stessa della  Chiesa e del Cattolicesimo come religione di salvezza eterna, filosofia di vita e sorgente sommitale del pensiero speculativo sia occidentale sia mondiale che ha impregnato di sé la quotidianità concreta e spirituale di coloro che, volenti o nolenti, con essa e le sue epifanie sono venuti in contatto.

            Angosciante è il ripensare al progetto di cattura del Papa, nel 1944, per trascinarlo prigioniero in Germania, su ordine del Fürer, che vedeva nella figura del Pontefice l’ostacolo duro, insormontabile alla totale affermazione del nazismo come ideologia totalizzante della persona umana e della sua libertà nelle implicazioni in cui essa si manifesta nella vita politica, sociale, religiosa, che presenta nel proprio DNA molteplici sfaccettature che la rendono, per ciò stesso, attraente ed emozionante.

            Personaggi, costoro, anzi, dittatori, che rispondono ai nomi di Mussolini (1883 – 1945), Hitler (1889 – 1945), Stalin (1879 – 1953) che avevano “monopolizzato” l’Europa ed intendevano, in particolare gli ultimi due, letteralmente nullificare la Chiesa che rappresentava un ostacolo costante con la propria dottrina alla preservazione della intangibilità della persona umana e alla libertà, tout-court, ad essa connaturata.

            Ecco spiegata la ragione per cui Pio XII s’impegnò strenuamente in vista delle elezioni politiche del 18 aprile del 1948 perché le forze anticomuniste non risultassero soccombenti in quell’ineludibile discrimine che segnò indelebilmente il futuro della Penisola e della cultura dell’Occidente che da essa trae la linfa e l’inintermesso slancio vitale.

            “L’Italia vota compatta – si legge nel libro di inedite memorie di Luigi Gedda, braccio operativo di Papa Pacelli, durante l’infuocata campagna elettorale, con il titolo di 18 aprile 1948.

            … la sera del 19 aprile il risultato è chiaro… La diga anticomunista ha tenuto. Un anno dopo, nel luglio del 1949 (il giorno 13, n. d. s.) il Sant’Uffizio decreta, da un punto di vista esclusivamente religioso, la scomunica del P.C.I…” (p. XV). Questo fatto scatenerà la rabbia sorda degli ebrei, nella quasi totalità di fede politica marxista, che ancora, attualmente, accusano il Sommo Pontefice per il presunto “silenzio” osservato sulle persecuzioni razziali poste in essere, con sistematica scientificità, dalla Germania hitleriana-nazista. Senza che vi si possa riflettere con intelligenza e mente scevra di ogni pregiudizio e con il cuore mòndo totalmente da passioni obnubilanti il raziocinio meditativo e di riflessione.

            Si deve per tanto registrare, a questo punto, come i pogrom, gli spietati massacri e le persecuzioni degli ebrei nei territori russi, nulla hanno insegnato a questa gente che, nel proprio livoroso odio contro il più grande Pontefice del ventesimo secolo, sproloquiano di leyenda negra pacelliana, mutuando questa infelice espressione da un coacervo di dicerie velenose e perfide calunnie che avevano coinvolto, a suo tempo, il sovrano di Spagna, Filippo II d’Asburgo (1527 – 1598) che, per l’intera sua esistenza, e anche molto dopo la sua scomparsa, è stato costantemente perseguitato dalle diffamazioni e dagli attacchi più sciocchi e prodotto dei deliri cervellotici di persone in preda alla schizofrenia e alla dissociazione mentale.  Un intelletto razionalmente sano non può scagliarsi in modo così violento contro il capo della Chiesa che, detto apertis verbis, non aveva nessun obbligo morale, di preservare anche fisicamente gli ebrei, appartenenti ad una setta di estranei al cattolicesimo, da lui fatti salvare, comunque, a migliaia per il tramite delle Congregazioni religiose cattoliche.

            Ciò che il Papa ha fatto in quei tragici frangenti possiede il crisma dell’eroismo e del sovrumano. Al contrario, gli fulminano  addosso, ancora oggi, calunnie e anatemi, invettive e polemiche. 

            Ancora! Questa gente, nel dicembre del 2009, allorché il Pontefice Benedetto XVI  Ratzinger (2005 – 2013), adesso Papa emerito, firmò il decreto che ne riconosceva le “virtù eroiche”, primo gradino per salire agli onori degli altari, ecco che insorse e si scagliò contro questo atto di libera espressione di vita della Chiesa. Ancora una volta, i capi delle comunità ebraiche italiane sono intervenuti per stigmatizzare l’atto “sovrano”, firmato dal Papa, come se costui dovesse rendere conto, a questa gente, delle decisioni interne di vita ecclesiale. La sfacciata improntitudine che connota la facies di queste autentiche interferenze deve, una volta per tutte, terminare perché Pio decimosecondo è stato un eccellente uomo di Chiesa, dall’ingegno multiforme, dalla cultura articolata e complessa che hanno forgiato un Pontefice grandissimo, il più importante nella storia contemporanea del cattolicesimo romano. Con la sua scomparsa si è letteralmente chiusa un’epoca, quella della Chiesa “tridentinizzata”, che viene rimpianta anche per gli eccessi interpretativi e gli abusi occorsi dopo la conclusione del Concilio Vaticano II che ne ha gravemente minato il monolitismo, laicizzandola, e l’ha resa debole e preda dello “spirito” del mondo. 

            Con questo Pontefice venne altresì consolidata – come si esprime Giovanni Maria Vian nel saggio su La donazione di Costantino, del 2004 – “un’ideologia della santità papale, nuova e destinata nella seconda metà del Novecento a uno spettacolare rilancio voluto da Pio XII – che tra il 1951 e il 1956 beatificò e canonizzò Pio X e beatificò Innocenzo XI (p. 192). Era, essa, la “Chiesa trionfante” che sostanziava di sé gli uomini e il mondo. Con buona pace dei “fratelli maggiori” e delle loro proteste sterili e vane.

            Ai tempi del pontificato di Pio XII era in voga, tra le organizzazioni ecclesiastiche, come l’Azione Cattolica, una canzone in cui alcuni passi del testo lanciavano nel vento le note coinvolgenti della fedeltà e dell’attaccamento simpatetico al successore di Pietro “… sempre col Papa fino alla morte, che bella sorte per noi sarà!”. 

            È opportuno, oggi, tornare a intonarlo, questo canto, per ricordare appieno l’azione e il paterno magistero di questo immenso protagonista della storia del mondo nel secolo ventesimo. Nunc et semper!