Economia

Arvedi, forni green e caro-energia: alla siderurgia servono "nervi d'acciaio"

di Marco Scotti

La nuova mappa dell'acciaio italiano dopo il closing della cessione di Ast ad Arvedi (con l’incognita del Pnrr)

“Essendo l’Italia uno dei più grandi produttori di acciaio, secondo solo alla Germania a in Europa – aggiunge il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza - , questo intervento mira quindi anche alla progressiva decarbonizzazione del processo produttivo dell'acciaio attraverso il crescente utilizzo dell'idrogeno, tenendo conto delle specificità dell'industria siderurgica italiana. La transizione verso l’idrogeno sarà graduale e distribuita nel tempo con l’obiettivo di sviluppare competenze e nuove tecnologie in modo competitivo”.

Tenendosi alla larga dai dibattiti sulla necessità di bonifica e di abbattimento delle emissioni per cui l’altoforno dell’ex-Ilva è ancora spento, bisogna anche ricordare le differenze tra un altoforno e uno elettrico. Il secondo ha emissioni dieci volte inferiori a quelle del primo.

Le differenze tra un altoforno e uno elettrico

L’altoforno è alimentato a minerale di ferro, il secondo invece ricicla rottami, cioè acciaio recuperato da demolizioni o scarti di lavorazione soprattutto dell’industria meccanica. Dunque, non dovrebbe esserci partita, se non fosse per un dettaglio: che l’acciaio primario può essere quasi esclusivamente tramite altoforno. Non si tratta di una differenza di poco conto. Se, dunque, si vuole proseguire sulla strada della decarbonizzazione e della riduzione delle emissioni – iniziativa in realtà non più procrastinabile – è necessario trovare meccanismi di compensazione a supporto dell’industria siderurgica.

Anche perché l’aumento dei prezzi delle materie prime e l’esplosione dei costi delle bollette rischiano di rendere ancora più complicato il momento. Nei giorni scorsi il presidente di Federacciai Alessandro Banzato ha criticato aspramente il sistema dei certificati verdi, definendolo un “mercato drogato, perché negli anni la parte finanziaria è cresciuta in maniera sproporzionata. È necessario riagganciarlo ai valori reali, se non vogliamo che le risorse siano interamente assorbire da questi certificati e non ce ne sia per investire nella riduzione delle emissioni”.

Insomma, al di là dei movimenti di M&A, per dare vigore e supporto concreto alla siderurgia servono… nervi d’acciaio.

LEGGI ANCHE:
- Terni, le Acciaierie passano ad Arvedi. Nasce un colosso da 7,5 miliardi di ricavi
- "Pnrr? Regioni escluse dalla spesa", intervista al capogabinetto di Emiliano
Zegna fa l'americano: ricavi Usa boom. Vendite su di quasi un terzo a 1,3 miliardi