Economia
Banche, quel vizietto delle fondazioni: torna la voglia di potere e cedole
Cresce nelle fondazioni la voglia di tornare a “contare” in seno alle banche. Le lezioni del passato non sembrano essere servite a molto
Il motivo del contendere non è accademico: le fondazioni, che nel 2016 hanno erogato oltre un miliardo di euro per le proprie attività, vogliono infatti mantenere la propria influenza su temi quali l’approvazione del bilancio e del dividendo, al momento riservato al Consiglio di sorveglianza (Cds) ma che col passaggio al “monistico” ricadrebbero nelle competenze del Cda, dove non tutte le fondazioni sono al momento rappresentate (proprio Fondazione Cassa di Cuneo è priva di consiglieri). Quello del dividendo è un tema “sensibile” per ogni azienda e non sono stati pochi i casi anche in un recente passato di azionisti di controllo, anche di grandi imprese quotate, che hanno preferito distribuire generosi dividendi a se stessi, anche quando gli affari non andavano bene.
A maggior regione il rischio che un socio-fondazione, che per statuto redistribuisce reddito sul territorio dove opera dovendo contare come fonte di finanziamento proprio sui flussi reddituali garantiti dalle proprie partecipazioni, possa anteporre i propri interessi al “bene societario” è concreto. Non solo: il presidente dell’Acri, Giuseppe Guzzetti (uno che di politica ne mastica da quando a 19 anni si iscrisse nella Democrazia Cristiana, diventando poi presidente della regione Lombardia dal 1979 al 1987 e senatore dal 1987 al 1994) ha pubblicamente attaccato il tentativo che sta facendo “la politica a Siena” di “mettere ancora una volta le mani sulla Fondazione”, sottolineando come in quel caso “la presenza di rappresentanti della politica locale è troppo elevata”, così come è inopportuno secondo Guzzetti cercare “di far firmare ai rappresentanti negli organi sociali una sorta di impegno di fedeltà verso l’amministrazione locale”.
L’avvicinarsi delle elezioni politiche e la tentazione di combattere sino all’ultimo voto sul territorio da parte delle maggiori forze politiche italiane non aiuta, così come non aiuta la tendenza di tutta la politica mondiale a cercare di limitare gli spazi di autonomia guadagnati negli anni dalle stesse banche centrali, ora che dopo anni di liquidità erogata a costo zero o sotto zero Federal Reserve, Bce, Bank of England e più in là anche la Bank of Japan e la People Bank of China inizieranno a drenare la liquidità, inducendo anche le banche commerciali a stringere nuovamente i cordoni della borsa, o quanto meno ad applicare criteri più rigorosi per la concessione di nuovi prestiti e per l’ammortamento dei crediti deteriorati.
Luca Spoldi