Economia

Bce, il nuovo Quantitative Easing? Più spazio alla condivisione dei rischi

Marcello Minenna*

Le banche centrali delle principali aree valutarie sono un po' tutte all'opera per valutare come intervenire al meglio nel prossimo autunno che rischia di essere più caldo del solito. Gli spazi di manovra non sono tanti tenuto conto che la BCE già opera in area di tassi negativi; non è quindi un caso che l'attenzione sulle scelte di politica monetaria si concentri sulla riapertura del Quantitative Easing (QE): stime di operatori di mercato ipotizzano che il ritmo degli acquisti dei titoli possa arrivare mediamente a 50 miliardi di euro al mese.

Nel QE gli acquisti di titoli di Stato (Govies) da parte dell'Eurosistema – cioè la BCE e le Banche Centrali Nazionali dell'area euro (BCN) – hanno rappresentato nel tempo tra l'80% ed il 95% del totale degli acquisti di titoli. L'acquisto dei Govies per il 90% è effettuato direttamente dalle BCN e solo per il 10% dalla BCE. 

Per finanziare gli acquisti di Govies le BCN hanno preso a prestito denaro dalla BCE: questo meccanismo apparentemente neutrale ha permesso alla BCE di non esporsi direttamente al rischio-sovrano dei titoli di Stato acquistati (sia esso di default o di ridenominazione del debito in altra valuta in caso di eurexit). 

Questa ingegneria finanziaria degli acquisti non consentiva quindi la condivisione dei rischi (risk sharing) nell'Eurosistema – se non per la quota, minima, di acquisti effettuata direttamente dalla BCE – e spingeva verso la loro nazionalizzazione (o segregazione) nei vari paesi membri (risk segregation).

Il QE prevedeva altresì che gli acquisti di titoli di ciascuno Stato membro fossero proporzionali alla quota di capitale (capital key) della BCE detenuta dalle diverse BCN. Limitatamente ai primi 3 azionisti durante gli anni di svolgimento del programma di acquisti le quote erano rispettivamente pari a: 25,6% per la Bundesbank (Germania), 20,1%, per la Banque de France (Francia) e 17,5% per la Banca d'Italia. Nel concreto, l'analisi storica degli acquisti effettivi ha mostrato moderate deviazioni dal criterio della capital key.

ACQUISTI DI TITOLI DI STATO DELLE BANCHE CENTRALI NAZIONALI DEVIAZIONI DALLA CAPITAL KEY

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In miliardi di euro (Fonte: elaborazione su dati Bce)

Questi scostamenti riflettono l'effetto-scarsità dei Govies (ed in particolare dei Bund) derivante dalla circostanza che la capital key non rappresenta un criterio proporzionato alla quantità di debito in circolazione dei vari Stati membri. Per gestire il problema ed aumentare la quantità di titoli disponibili per l'acquisto da parte delle BCN alcune regole di funzionamento del QE sono state riviste in corso d'opera; già a settembre 2015 il tetto sugli acquisti di una singola emissione di titoli di Stato fu portato dal 25% al 33%; a gennaio 2017 venne autorizzato l'acquisto di Govies con rendimento implicito anche al di sotto del livello dei tassi sui depositi presso la BCE e il limite minimo in termini di vita residua dei titoli di Stato acquistabili fu abbassato da due anni ad uno. In più, nel tempo è stata estesa la pletora delle cosiddette ‘agenzie nazionali' ammissibili, ossia dei soggetti emittenti che erano di fatto considerati equiparabili al governo centrale dei vari paesi membri ai fini della policy di acquisti del QE.

Queste misure hanno permesso di preservare complessivamente il criterio della capital key specie con riferimento alla quota di acquisti di titoli di Stato tedeschi, fermo restando che comunque l'osservanza di tale criterio non è stata poi così granitica in questi anni così come non lo è stata quella delle altre regole di controllo dei rischi definite all'epoca di avvio del programma. 

Peraltro la capital key non è l'unico fattore che spiega le differenze nei rischi di portafoglio dei Govies detenuti dai vari componenti dell'Eurosistema. Le regole d'ingaggio del QE prevedevano genericamente che le banche centrali deputate agli acquisti operassero al meglio la selezione dei titoli da comprare, ad esempio con riferimento alle varie scadenze disponibili, per non alterare la valutazione compiuta dai mercati e, quindi, la struttura a termine dei tassi di interesse e la volatilità dei prezzi/rendimenti dei Govies. Tuttavia, le varie BCN hanno in qualche modo personalizzato il proprio processo selettivo, finendo quindi con l'esporsi in maniera differenziata al rischio di duration, ossia al rischio di una variazione avversa dei tassi d'interesse. Come risultato, la vita media residua (Weighted Average Maturity o WAM) dei titoli di Stato presenti nel portafoglio delle BCN è differente, si è evoluta nel tempo e non riflette quella del debito complessivo del relativo paese membro. 

Queste dinamiche eterogenee riflettono la diversa disponibilità e redditività dei Govies sulle varie scadenze e la comune tendenza a una riduzione della vita residua dei titoli comprati riflette esigenze di controllo dei rischi, dato che maggiore è la durata dei Govies detenuti maggiore è il rischio sopportato.

ACQUISTI DI TITOLI DI STATO DELLE BANCHE CENTRALI NAZIONALI
 

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Vita media residua (Fonte: Bce)

Weighted Average Maturity e capital key – alla luce delle dinamiche osservate – possono costituire elementi di flessibilità nella reingegnerizzazione del Quantitative Easing; una reingegnerizzazione che metta al centro l'analisi dei rischi dell'Eurozona e che quindi segua la legge di conservazione della massa di Lavoisier (“nulla si crea, nulla si distrugge ma tutto si trasforma”). A tal fine vanno considerati alcuni aspetti critici: 1. la scarsità di Bund acquistabili nell'ambito dell'attuale assetto di regole del QE; 2. la circostanza che i tassi negativi stanno contribuendo a deteriorare la solidità del sistema-Germania e da qui dell'intera Eurozona; 3. la contraddizione in termini rappresentata dall'esistenza di uno strutturale differenziale di rendimento (spread) tra titoli emessi da Stati appartenenti alla stessa area valutaria; 4. l'esigenza, per un ordinato funzionamento del sistema finanziario, di un quantitativo di titoli di Stato privi di rischio (safe-assets) di gran lunga superiore all'ammontare di Bund in circolazione. 

Il rafforzamento della nostra area valutaria richiede dunque interventi in grado di condividere i rischi nell'Eurosistema ed in questa prospettiva sono ipotizzabili tre reingegnerizzazioni. La prima richiederebbe l'abbandono graduale della capital key in favore di un algoritmo che privilegi gli acquisti da parte delle banche centrali dell'Eurosistema in proporzione al livello dello spread ed al rapporto tra debito pubblico e PIL; in base ai dati attuali, gli acquisti del nuovo QE sarebbero composti per il 50% da BTP, per il 25% da titoli di Stato spagnoli (Bonos), per il 10% da titoli di Stato francesi (OAT) e per il restante 15% da titoli emessi dagli altri Stati membri.

La seconda reingegnerizzazione consisterebbe nell'attribuzione alle BCN di opportuni margini di manovra – sempre determinati in base al livello dello spread ed al rapporto tra debito pubblico e PIL – per incrementare la vita media residua dei Govies detenuti in portafoglio. Maggiore è la WAM e maggiore è infatti l'effetto “congelamento” dei rischi nel bilancio della banca centrale acquirente. Ovviamente una simile operatività dovrebbe trovare un qualche coordinamento nelle politiche di rifinanziamento dei debiti pubblici da parte dei paesi membri per evitare scarsità di titoli su specifiche scadenze. Questo margine di manovra differenziato dovrebbe consentire alla Banca d'Italia di riposizionare gli acquisti verso BTP con scadenza superiore ai 15 anni ed arrivare così, prima degli altri paesi membri, a superare i 10 anni di vita media residua dei titoli di Stato in portafoglio. Ovviamente la stessa BCE potrebbe supportare la strategia di allungamento della durata media dei debiti governativi, rendendo idonei per l'acquisto i titoli ultra-long (nel primo QE la BCE si è fermata a 30 anni).

Entrambi gli interventi rappresentano forme differenziate e implicite di risk-sharing dato che la BCE, garantendo il finanziamento dell'operatività delle BCN, acconsentirebbe all'assunzione di maggiori livelli di rischiosità per alcuni paesi rispetto ai livelli attuali.

L'ultima soluzione di reingegnerizzazione del QE sarebbe invece un risk-sharing swap, vale a dire uno scambio nelle posizioni relative della BCE e delle varie BCN per consentire alla prima di subentrare alle seconde nei nuovi acquisti netti che dovrebbero partire a breve come pure nel rifinanziamento dei Govies in scadenza; una simile operatività si verificò già ad aprile 2016 quando la quota degli acquisti effettuati direttamente dalla BCE passò dall'8% al 10%. Il graduale subentro della BCE come acquirente diretto dei titoli di Stato dell'Eurozona equivarrebbe all'abbandono definitivo dell'impostazione originaria basata sulla risk-segregation, esponendo quindi l'intero Eurosistema al rischio-sovrano presente nei titoli di ciascuno Stato membro, e non più solo la banca centrale nazionale di quel dato Stato. Peraltro, una simile condivisione dei rischi avrebbe anche il pregio di normalizzare nel tempo il saldo positivo monstre di quasi 1000 miliardi di euro della Bundesbank nel sistema Target2 ed i connessi deficit equi-ripartiti di Banca d'Italia e Banco de España.

I mercati apprezzerebbero la nuova impostazione attraverso un'operatività tesa ad azzerare i differenziali di rendimento tra i titoli di Stato dei vari paesi membri come avvenne negli anni immediatamente antecedenti la partenza dell'Euro. All'epoca, infatti, gli operatori finanziari, supponendo che l'euro avrebbe rispettato il paradigma tradizionale della condivisione dei rischi e avrebbe quindi avuto un'unica struttura a termine dei tassi d'interesse, iniziarono a comprare i titoli di Stato a rendimento più elevato ed a vendere quelli meno redditizi per lucrarne il differenziale accelerando la convergenza delle curve dei tassi dei vari paesi membri.

Sarebbe un po' come tornare all'anno di partenza dell'euro e superare gradualmente i limiti di scelte di policy – prese in seguito alla crisi finanziaria globale – che hanno privilegiato gli interessi nazionali a quelli di maggiore resilienza dell'Eurozona. D'altronde, all'indomani del fallimento di Lehman Brothers, lo stesso Presidente della BCE Jean-Claude Trichet dava per acquisito che una valuta potesse avere solo una struttura a termine dei tassi di interesse.

Se la ridefinizione del QE dovesse riguardare semplicemente l'aumento dal 33% al 50% della quota di una specifica emissione di titoli di Stato acquistabili dalle banche centrali dell'Eurosistema, difficilmente si otterrebbero risultati tali da rimuovere le sopra-descritte anomalie della nostra area valutaria, guadagnando al più un po' di tempo da spendere in un contesto economico-finanziario che appare in rapido deterioramento.

Di recente Olli Rehn, governatore della banca centrale finlandese e membro del board della BCE ha dichiarato che: “quando lavori con i mercati finanziari, spesso è meglio fare overshooting che undershooting, [e quindi] è importante presentare un pacchetto politico significativo e di grande impatto a settembre piuttosto che tentennare”. Ci auguriamo di essere stupiti.

*Economista, articolo apparso sul Sole 24 Ore di domenica 1 settembre