Economia
Bce: PopSondrio, Iccrea e Cassa Centrale, tirata d'orecchie sulla governance
Il Credem si conferma il migliore della classe, qualche problema resta a livello di governance e modello di business. Sotto i riflettori restano PopSondrio e...
Il Credito Emiliano (+1,42% a Piazza Affari a 5,01 euro, ma con scambi inferiori ai 100 mila pezzi) si conferma il primo della classe, almeno per quanto riguarda la qualità del credito e dunque le minori esigenze di buffer di capitale per riuscire a resistere a situazioni di stress come quelle previste dallo scenario avverso negli stress test della Vigilanza, che nel complesso hanno coinvolto 109 istituti di credito europei, sulla base dei numeri a fine 2019. Il requisito medio delle banche sottoposte al test in termini di Cet1 è risultato pari al 10,6%, quello di secondo pilastro (“pillar 2”, appunto) in media al 2,1%.
Entrambi i requisiti appaiono invariati rispetto al 2018 e nel complesso anche le risultanze del test sono positive, con solo sei istituti “rimandati” per un livello di Cet1 ritenuto insufficiente (tra cui in particolare Dexia, per la quale sembra profilarsi una “chiusura ordinata”). Nessuna di queste è italiane ed anzi nella graduatoria dei “pillar 2” il Credem è risultato tra i migliori in assoluto con un buffer dell’1%, terzo in Europa a parimerito con Haspa, Finanzholding e Banque et Caisse d’Epargne de l’Etat, subito dietro a Sfil Sa e Crh Caisse de Refinancement de l’Habitat, entrambe con uno 0,75%.
Tra le italiane il gruppo emiliano guidato da Nazzareno Gregori ha preceduto Mediobanca (buffer pari all’1,25%), Intesa Sanpaolo (1,5%), Unicredit (1,75%), Bper Banca (2%), Ubi Banca, Banco Bpm e Cassa Centrale Banca (tutte al 2,25%), Iccrea (al 2,50%), Mps e Banca popolare di Sondrio (entrambe al 3%). Commentando il quadro emerso dagli istituti italiani sottoposti al test Andrea Enria, numero uno della vigilanza Bce, si è detto “sostanzialmente soddisfatto del livello complessivo di adeguatezza patrimoniale”, notando come “la maggior parte degli enti significativi detiene livelli di capitale Cet1 superiori ai requisiti e agli orientamenti patrimoniali complessivi”.
Parole che testimoniano come ormai il derisking sia un traguardo sostanzialmente raggiunto sia a livello europeo sia italiano. Restano tuttavia un paio di punti su cui la Bce ha richiamato l’attenzione dei banchieri. Anzitutto la profittabilità resta mediamente al di sotto del costo del capitale, assieme alla necessità di garantire sostenibilità ai modelli di business (ossia non fare affidamento su ricavi straordinari come quelli legati alla dismissione di asset, ndr), cosa che ostacola la capacità delle banche “di generare capitale in modo organico e di emettere nuovo capitale di rischio”, ha aggiunto Enria.
Peraltro, proprio la politica di tassi ultra-ridotti varata da Mario Draghi per evitare il blocco dei mercati del credito all’indomani della crisi economico finanziaria mondiale e della conseguente crisi del debito sovrano ha contribuito a ridurre fortemente la redditività comprimendo il margine d’interesse netto. Se a ciò si aggiunge, come fatto notare da Yves Mersch, ex governatore della banca centrale del Lussemburgo membro del comitato esecutivo della Bce (dal 15 dicembre 2012, il suo mandato scadrà dunque a fine anno), che tassi a livelli troppo bassi troppo a lungo rischiano di alimentare la formazione di bolle di asset, specie nel mercato immobiliare, il rischio che in futuro gli istituti debbano fronteggiare nuove crisi per una eccessiva assunzione di rischi in tali mercati non può essere sottovalutato.
Un rischio che, anche in questo caso, le banche italiane sembrano correre in misura inferiore rispetto ad alcune concorrenti europee. Dove semmai le italiane peccano è in tema di governance. La Bce ha notato un generale deterioramento della governance interna negli ultimi anni tanto che Enria ha parlato di episodi di “gestione inefficace da parte degli organi di amministrazione e di lacune nei controlli interni”, oltre che di “rischi di condotta” in aree che rivelano, per di più, un “notevole deterioramento”. Questo richiederà secondo la Bce la valutazione della “sostenibilità dei modelli imprenditoriali” adottati e una maggiore efficacia degli organi di amministrazione interni alle banche.
Con le crisi di Mps, Banca Carige e Banca popolare Bari (oltre che delle ex popolari venete e delle “banche risolte”) ormai note, la “tirata d’orecchie” sembrerebbe poter essere indirizzata, visti i requisiti Pillar 2, a Banca popolare Sondrio in primis, ma non solo: anche Iccrea e Cassa Centrale Banca, quest’ultima come noto tra i soggetti chiamati a intervenire nel salvataggio di Banca Carige, potrebbero dover continuare nella revisione dei propri modelli imprenditoriali e di governance.
Il tema non è del resto nuovo, visto che Banca d’Italia è andata “in pressing” sui due gruppi bancari almeno da un anno a questa parte, con qualche primo risultato. Cassa Centrale Banca (Ccb) giusto un anno or sono nominava il primo amministratore delegato della sua storia, Mario Sartori, mentre Iccrea Banca (dal cui capitale entro il 2022 uscirà completamente proprio Ccb, attraverso il riacquisto per tranche di quote di capitale da parte di Bcc del Gruppo Iccrea) ha provveduto a nominare, nel giugno scorso, un nuovo direttore generale, Mauro Pastore, affiancandogli dal gennaio di quest’anno due nuovi vice direttori generali, Pietro Galbiati (responsabile dell’Area attività creditizie e partecipate) e Francesco Romito (responsabile dell’Area indirizzo Bcc, relazioni istituzionali e legale) e nominando Giovanni Boccuzzi vice direttore generale vicario.