Economia
Bim,fra sofferenze e patrimoni in fuga: la lenta eutanasia della banca d'elite
Quasi una tempesta perfetta da cui è stato difficile sottrarsi. Un avvitamento del business per diversi passi falsi delle gestioni passate che solo un miracolo (pressoché impossibile conoscendo le dinamiche del mercato del credito-risparmio gestito) può salvare e che per il momento passa attraverso un nuovo aumento di capitale per sostenere un piano industriale quantomai ambizioso.
E’ la storia di Bim, Banca Intermobiliare, la banca blasonata della Torino bene, fondata dai Segre, commercialisti di fiducia dei De Benedetti e che annoverava tra i soci il fior fiore della borghesia imprenditoriale sabauda.
La vicenda di Bim, passata di mano in mano fino ad arrivare al controllo dei fondi Trinity e Attestor Capital e ricostruita da Fabio Pavesi sul Fatto Quotidiano, mette insieme distorsioni tipiche del mercato bancario italiano come l’affidamento alla banca dei patrimoni da parte dei ricchi imprenditori del Nord-Ovest in cambio di, scrive il Fatto, crediti facili, con dinamiche di gestione bancaria che hanno caratterizzato il settore del credito negli anni post-crisi.
Nodi che con la crisi economica sono venuti al pettine perché la contrazione delle attività nell’economia reale ha portato molti clienti a non poter ripagare i propri debiti e anche a ritirare le fortune di famiglia in un istituto che nasce come gruppo di gestione di grandi patrimoni e del risparmio di fascia alta.
Da qui, il doppio colpo ferale per il business di Bim: erosione delle masse gestite che dunque ha azzoppato negli anni l’andamento dei ricavi commissionali (mentre gli altri attori bancari sono cresciuti in questo settore mettendo in atto una concorrenza agguerrita) e progressive svalutazioni e pulizie di bilancio, write-off che è stato il leit-motive gestionale del sistema bancario italiano post-crisi e che non ha potuto certo risparmiare un istituto nel frattempo passato dal controllo della famiglia Segre a quello di Veneto Banca, un socio che in quanto a problemi (anche di reputazione e di fiducia) non ha certo aiutato.
Il Fatto ricorda come negli anni buoni, Bim produceva poco più di 130 milioni di ricavi annui (oggi ne fa meno di 50) e gestiva masse dei clienti per oltre 12 miliardi, ammontare che fruttava buone commissioni (ora a fatica ora riesce a gestire meno di 5 miliardi). Con la contrazione degli attivi del core business le commissioni nette, così, sono passate da oltre 80 milioni ai 35 del 2018, con continue chiusure in perdita del bilancio dal 2012.
Mentre la situazione si avvitava, negli ultimi anni le uscite dei bankers che si sono portati via anche i patrimoni (il gestore instaura stretti legami di fiducia con chi gli affida i propri soldi) hanno contribuito a deprimere il business e ora i fondi hanno disegnato per il gruppo, che è anche quotato, una strategia che prevede il taglio di un terzo dei dipendenti e di un terzo degli sportelli. Una way-out per alleggerire i costi, anche questa, comune a molti attori del credito tricolore. Ma se ti privi di chi dovrebbe raccogliere nuovi patrimoni, nota Pavesi, come raddoppierai le masse in gestione?