Economia

Cashback di Stato costoso e favorisce i ricchi

L'opinione di Vincenzo Caccioppoli

E’ partito l’8 Dicembre  con qualche incertezza, legata alla difficoltà per gli utenti ad iscriversi alla app IO della pubblica amministrazione, il tanto pubblicizzato cashback di Stato, sia come strumento per rilanciare i consumi, ma sopratutto per aumentare il numero delle transazioni in moneta digitale, in ottica anti evasione. Ad indicare dal numero degli iscritti al programma sicuramente non si può non definirlo un successo. Sono più di 4 milioni i cittadini italiani, infatti, che hanno aderito a questo progetto pilota di Cashback di stato sugli acquisti natalizi. Considerando la atavica antipatia degli italiani verso i pagamenti digitali si tratta di numeri di tutto rispetto. Quello che evidentemente deve aver convinto gran parte dei cittadini che hanno aderito è la possibilità di avere indietro il 10% di quanto speso.

Il cashback nasce, infatti, come Cashback reward program nel mondo delle carte di credito. Possiamo collocare la nascita dei primi sistemi compiuti di cashback negli anni ‘90, ma, come tutti i concetti di marketing, anche l’idea della fidelizzazione del cliente tramite forme di riaccredito della spesa è molto più antica. ed è un sistema che ti permette di riavere indietro una piccola percentuale di quanto speso, per fidelizzare la clientela ad un circuito o ad una piattaforma. Negli anni 2000 il cashback si è progressivamente sviluppato come servizio autonomo dalle carte di credito, e hanno cominciato ad emergere circuiti di negozi o distributori offline correlati tra loro - e principalmente fondati su base locale - che offrivano reti di partner convenzionati o ‘carte fedeltà’ ai clienti. Nel quinquennio 2005-2010, poi, sono nati ed esplosi in tutto il mondo - di pari passo con l’espansione del commercio online - veri e propri siti dedicati al Cashback..

Ecco allora che lo Stato ha pensato di adottare questo stratagemma per prendere i classici due piccioni con una fava, e cioè incentivare i consumi e combattere l’uso dei contanti, da sempre considerato il migliore alleato della evasione fiscale. Ma forse il risultato, a sentire almeno la Cgia di Mestre, rischia di essere molto meno soddisfacente del previsto, perché rischia di essere un aggravio di spesa per lo Stato e favorire sopratutto le fasce di reddito più elevato. 

“Nei prossimi 2 anni le risorse necessarie per finanziare il cashback ammonteranno a 4,7 miliardi di euro. Una spesa smisurata che tutti gli italiani saranno chiamati a pagare per incentivare l’utilizzo della moneta elettronica, concorrendo così alla riduzione dei pagamenti in nero effettuati con il contante. Nella pratica, però, sarà un provvedimento che favorirà soprattutto coloro che possiedono una levata capacità di spesa. Persone che, secondo le statistiche, vivono nelle grandi aree urbane del Nord, dispongono di una condizione professionale e un livello di istruzione medio-alto. Insomma, una misura a vantaggio dei ricchi, ma pagata con i soldi di tutti. Un modo veramente molto singolare di combattere l’evasione fiscale” sono le conclusioni degli esperti di Mestre, nel loro rapporto sul cashback di Stato pubblicato la scorsa settimana.

E’ vero, sottolineano dalla CGIA, che dal 2021 la restituzione dei soldi sul conto corrente avverrà fino alla soglia del 10 per cento della spesa sostenuta con almeno 50 operazioni effettuate entro un tetto di 1.500 euro ogni sei mesi (quindi 300 euro al massimo di ristoro per ogni anno). Ma sempre dal prossimo 1 gennaio e senza alcun importo minimo di spesa, i primi 100 mila partecipanti che in ogni semestre che in ogni semestre totalizzeranno il maggior numero di transazioni valide, riceveranno addirittura un super cashback di 1.500 euro.

A conferma che il cashback andrà a vantaggio dei più abbienti, invece, l’Ufficio studi della CGIA si è avvalso dei dati messi a disposizione dall’Istat per l’anno 2019. Le differenze emerse a livello territoriale sono evidentissime: se a Nordovest la spesa media è stata di 2.810 euro al mese, nel Sud ha toccato i 2.067 euro (un gap di 743 euro pari ad una variazione del 26 per cento). Nello specifico, se compariamo la spesa della regione più elevata con quella che ha speso meno, risulta che nella provincia autonoma di Bolzano è stata di 3.517 euro, in Puglia di soli 1.996 euro.

E’ altrettanto evidente il divario di spesa per i consumi presente in Italia anche in base alla condizione professionale della persona di riferimento. Se, infatti, il capofamiglia è un imprenditore o un libero professionista, la spesa media è pari a 3.918 euro, scende a 2.354 euro se è un pensionato e addirittura a 2.321 euro se è un operaio. Altrettanto significativo infine è il differenziale di spesa esistente tra le famiglie in base alla dimensione del comune di residenza. Mentre nei grandi centri metropolitani si spende mediamente 2.909 euro al mese, nelle periferie delle grandi città e nei comuni con più di 50.000 abitanti si scende a 2.581 euro e nei piccoli comuni fino a 50.000 abitanti, infine, la spesa scende a 2.443 euro. Insomma, i capi famiglia più istruiti, con professioni di alto livello che risiedono nelle grandi aree metropolitane, principalmente del Nord, delineano l’identikit dei nuclei famigliari che saranno maggiormente premiati dal cashback.

Inoltre c’è anche da considerare la tematica legata alla questione legata al costo delle commissioni delle transazioni elettroniche, che avrebbero un impatto significativo per i piccoli negozianti, sopratutto per quanto riguarda le spese di piccolo importo, potendo in certi casi determinare anche aumenti di prezzi delle merci. Come dice perciò anche Luigi Maisto, presidente e fondatore di Coinshare, piattaforma di cashback in blockchain con oltre 400.000 utenti “ Non so quali siano le reali intenzioni del governo, ma sicuramente il cashback è un sistema che funziona proprio per il suo meccanismo di fidelizzazione e di premialità. Se si fanno però le cose troppe complicate, come per esempio il discorso della cosiddetta riffa ( 1500 euro di bonus ai primi 100000 che raggiungono le 150 transazioni)  rischia di essere una misura poco efficace e mal digerita dai consumatori”, questa misura del governo forse avrebbe bisogno di qualche utile messa a punto.