Economia
Caso Profumo: il Tribunale condanna, la politica assolve. Il M5S resta isolato
Sul caso Profumo, i Cinquestelle restano da soli e con il cerino in mano in Parlamento. Dopo che nel tardo pomeriggio di ieri il Tribunale di Milano ha condannato in primo grado a sei anni di reclusione e a pagare 2,5 milioni di multa, con pene accessorie di 5 anni di interdizione dai pubblici uffici e 2 anni di interdizione dagli uffici direttivi di imprese per falso in bilancio e aggiotaggio l’ex presidente di Mps Alessandro Profumo ora a capo di Leonardo, i pentastellati ortodossi Alessandro Di Battista e l’ex ministra del Sud Barbara Lezzi sono subito partiti all’attacco, chiedendo le dimissioni del numero uno dell’ex Finmeccanica per “opportunità politica, oltre che rispetto dei valori del M5S”. Posizione che ha trascinato il partito fondato da Beppe Grillo, anche se nel coro grillino sono mancate le voci “alte", quelle dei big del Movimento.
Come quella dell’ex capo politico Luigi Di Maio che, di solito da ministro degli Esteri, interviene comunque su tutti i temi politici e di Governo e che ad aprile di quest’anno all’epoca del rinnovo dei consigli di amministrazioni delle grandi partecipate pubbliche quotate in Borsa proprio sulle nomine del colosso della difesa di piazza Monte Grappa è stato il grande kingmaker.
Stamane, mentre a Piazza Affari il titolo Leonardo è partito debole accelerando al ribasso dopo gli attacchi del M5S, dall’account Twitter ufficiale del Movimento, i pentastellati hanno fatto partire un cinguettio in cui hanno sentenziato che “alla luce della condanna ricevuta, ci aspettiamo che Alessandro Profumo, nell'interesse dell'azienda, rimetta il mandato di amministratore delegato di Leonardo”. Tutto questo mentre ieri in serata dalla sede del gruppo invece avevano espresso “piena fiducia” all’ex banchiere, precisando che “non sussistono cause di decadenza dalla carica”.
A metà giornata, mentre il titolo in Borsa di Leonardo è arrivato a perdere fino al 3%, i deputati M5S della commissione Finanze della Camera hanno rincarato la dose con una nota: “La condanna di Alessandro Profumo riferita al suo trascorso in Mps, anche se di primo grado, pone una questione di opportunità. Profumo dovrebbe dimettersi quanto prima dalla sua carica di amministratore delegato in una società pubblica e strategica quale è Leonardo”. No way.
E in Parlamento, quali sono state le altre reazioni? Le altre forze politiche, specialmente gli alleati di Governo come Dem e renziani, si sono uniti nella richiesta di dimissioni? Assolutamente no, i Cinquestelle sono rimasti soli. Isolati, senza dunque generare conseguenze ad hoc per il manager. Affaritaliani.it ha sentito un po’ tutti i partiti, registrando sul caso Profumo un fuggi-fuggi davvero imbarazzante.
Dal Pd, dopo un primo momento di disagio nella segreteria politica di Nicola Zingaretti in cui il responsabile Dem dell’Economia Emanuele Felice ha ammesso che è un caso “da valutare come partito” rimandando il commento alla comunicazione del Nazareno, il viceministro dell’Economia Antonio Misiani è stato categorico. “Alessandro Profumo non deve dimettersi. Non c’è una condanna definitiva e non ci sono nemmeno le motivazioni della sentenza di primo grado. Tra l’altro, la Procura ne aveva chiesto l’assoluzione", ha spiegato ad Affari.
"L’Italia si è data delle norme molto rigorose per regolare queste eventualità, stiamo a quelle per favore. Non c’è ragione perché si dimetta dalla carica di amministratore delegato”, ha aggiunto. E mentre i compagni di Governo M5S hanno annunciato un’interrogazione scritta per contrastare le cosiddette “porte girevoli" tra politica e mondo finanziario dopo l’arrivo di Pier Carlo Padoan in UniCredit, il numero due del Tesoro ha buttato altra benzina sul fuoco sul tavolo della maggioranza.
“Trovo francamente assurda la polemica su Padoan e la presidenza di UniCredit. Si dimetterà da parlamentare, è una libera scelta nel pieno rispetto delle regole. È molto positivo per l’Italia che una personalità con le qualità di Padoan salga al vertice di una delle più importanti banche del Paese: ha servito egregiamente l’Italia come ministro dell’Economia, conosce molto bene il nostro sistema produttivo e finanziario, sarà un riferimento molto importante per il Paese in un grande gruppo che da tempo ha una forte proiezione internazionale”, ha spiegato.
Sempre nella maggioranza, i renziani che delle nomine hanno fatto una reason why della propria partecipazione al Governo, sul tema dimissioni di Profumo invece hanno preferito glissare. “No, nessun commento, grazie”, ha affermato il presidente della Commissione Finanze della Camera Luigi Marattin. E ha taciuto pure il capo delegazione di Italia Viva al Governo Teresa Bellanova, facendo rispondere alla capo segreteria: “La ministra è occupata, ho io il suo telefono. Casomai la faccio chiamare dalla portavoce”. Telefonata di ritorno? Macchè.
Sorprendentemente, anche dai banchi dell’opposizione si sono allineati al fatto che il Ceo di Leonardo debba restare al proprio posto. “Sono garantista: non ho mai invocato le dimissioni di nessuno per una condanna di primo grado, quindi Alessandro Profumo deve rimanere alla guida del gruppo della difesa”, ha affermato il leghista ex presidente della Commissione Bilancio della Camera Claudio Borghi. Che, ricorrendo a una metafora, sul Montepaschi ha aggiunto: “Il lavoro che hanno fatto Profumo e Viola è stato quello di nascondere le macchie di sangue dopo un omicidio, ma mi risulta che quelli che hanno ucciso davvero la banca, e cioè Giuseppe Mussari e soci, stiano ancora andando a cavallo in quel di Siena”.
Da Forza Italia i big Maria Stella Gelmini, capogruppo alla Camera e il responsabile economico del partito Renato Brunetta hanno declinato gentilmente l’invito a commentare.
“Dobbiamo ancora studiare il caso”, hanno spiegato gli azzurri. E contattati per registrarne la posizione, da Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni hanno taciuto, in maniera opportunistica. Come ha taciuto anche l’onnipresente sui social Carlo Calenda, in rampa di lancio per il Campidoglio.
Nel frattempo, gli investitori a Piazza Affari, visto che dall'emiciclo romano non è arrivato il carico da 90° della politica con la richiesta unanime di dimissioni del Ceo, hanno fiutato aria di assoluzione partitica per il manager e di scampato pericolo e sono tornati a gettonare il titolo Leonardo.
@andreadeugeni