Economia
Decreto salva-banche: no agli aiuti di Stato
Di Ernesto Vergani
C'è molto disordine intorno alla questione dei quattro istituti di credito - Banca Etruria, Banca Marche, Carife e CariChieti - salvati con decreto del 22 novembre dal governo presieduto da Matteo Renzi. Il tutto complicato dagli aspetti drammatici e umani del suicidio del pensionato Luigino D'Angelo, che ha perso 110mila euro di risparmi. Situazione resa ulteriormente complicata da polemiche estemporanee (il papà del ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, Pier Luigi, è stato per sei mesi vicepresidente di Banca Etruria, e ovvio non può essere questa la ragione del salvataggio). Per giunta Banca d'Italia e Associazione bancaria italiana (Abi) se la prendono con l'Unione europea. Si spera non con le regole, che come tali vanno rispettate. Come nei casi dell'identificazione e della presa delle impronte dei migranti e del contenimento del batterio Xylella, che sta uccidendo gli ulivi pugliesi. E giustamente partiranno le procedure d'infrazione dell'Unione europea su queste due vicende. E c'è da chiedersi dell'assunzione di responsabilità, della filiera di responsabilità che partono dai ministeri competenti (Interno e Politiche Agricole).
Tutto ciò fa dimenticare il fatto principale. Come principio, è contrario al libero mercato salvare le banche. A maggior ragione se sbagliano o peggio imbrogliano: il liberismo si basa sulla libera concorrenza, sul merito e sul rispetto delle regole. Il fatto secondario è che dipendenti e anche correntisti delle banche salvate hanno, sicuramente teoricamente, delle responsabilità. Se tutte le banche danno interessi dell'uno massimo 2% con prodotti ordinari, nessuno si è chiesto del perché di interessi al 7%? Nessun dipendente ha denunciato ciò? Forse qualche risparmiatore/investitore ha taciuto perché interessi così alti facevano comodo?