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Economia
Enel, Saras, Leonardo e Fincantieri: mina Norges Bank sul capitale

La crisi economica epocale scatenata in tutto il mondo dalla pandemia di Covid-19 pesa anche sulla Norvegia che ha previsto una spesa straordinaria di 420 miliardi di corone norvegesi (oltre 38 miliardi di euro) per aiuti all’economia, in previsione di un collasso delle sue entrate legate al settore petrolifero del 62% a 98 miliardi di corone (meno di 9 miliardi di euro). Lo stato del Nord Europa nella nota di aggiornamento del budget 2020 ha così previsto di effettuare un riscatto record da 382 miliardi di corone norvegesi (quasi 35 miliardi di euro) dal suo fondo sovrano, oltre quattro volte il precedente riscatto record, che risaliva al 2016.

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Una cifra che supererà ampiamente il flusso di cassa derivante da dividendi e pagamenti di interessi che il fondo gestito da Norges Bank dovrebbe registrare quest’anno, atteso attorno a 258 miliardi di corone (23,5 miliardi di euro). La differenza, quasi 124 miliardi di corone (11,3 miliardi di euro), dovrà dunque venire da dismissioni di partecipazioni e bond detenute da Norges Bank. Il fondo norvegese, da quasi un trilione di euro, possiede in media l’1,5% di tutte le aziende quotate al mondo ed ha già iniziato a fare pulizia, applicando i principi ESG (ambientali, sociali e di governance, ndr) che si era dato già lo scorso anno.

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Sono così state annunciate le avvenute cessioni delle partecipazioni nelle inglesi Glencore (pari all’1,2% del capitale a fine 2019, ossia circa 260 milioni di euro) e Anglo American (2,4% a fine 2019, circa 535 milioni di euro), nella tedesca Rwe (0,6%, poco meno di 100 milioni di euro), nella sudafricana Sasol e nell’australiana Agl Energy. Già decisa anche l’esclusione di Canadian Natural Resources, Cenovus Energy, Suncor Energy e Imperial Oil ed Eletrobras, che però debbono essere ancora completate. In tutto secondo Bloomberg, il fondo ha così iniziato a fare cassa per almeno 3 miliardi di euro, il che lascia comunque ancora da trovare altri 8 miliardi circa.

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Per quanto riguarda l’Italia, in particolare, Enel (di cui al 17 marzo scorso il fondo norvegese era socio al 2,257%, quota che vale circa 1,6 miliardi di euro) è già finita sotto osservazione, insieme alla britannica Bhp Group, all’americana Vistra Energy e alla tedesca Uniper. Ma Enel non è l’unico investimento in Italia di Norges Bank, che alla fine dello scorso anno aveva in Italia 146 investimenti azionari (per circa 8,8 miliardi di euro in tutto) e 20 investimenti in bond (in questo caso per altri 5 miliardi di euro).

Tra le società partecipate, appartengono al comparto energetico e delle utilities, i più esposti a possibili vendite di titoli sul mercato, nomi come A2A (di cui Norges a fine 2019 aveva l’1,01%), Acea (0,95%), Ascopiave (0,84%) Eni (1,5%), Erg (1,54%), Hera (1,31%), Iren (1,51%), Italgas (in cui Norges è da poco scesa allo 0,97%), Saipem (2,03%), Saras (3,11%), Snam (1,24%), Tenaris (1%).

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Non dovrebbe avere problemi per quanto riguarda i principi ESG Falk Renewables (1,14%), mentre potrebbero in futuro averne Leonardo (2,25%) e Fincantieri (1,6%) se Norges deciderà di uscire anche dal capitale di imprese che lavorino a commesse militari. Una situazione sicuramente “in divenire” che potrebbe anche riguardare, come detto, i bond tricolori.

Che non sono, si badi, soltanto titoli di Stato (Norges ne aveva in portafoglio alla fine dello scorso anno per oltre 3,86 miliardi di euro), ma anche obbligazioni corporate tra cui emissioni di Enel Finance (341 milioni investiti), Enel Spa (altri 71 milioni), Eni Spa (105 milioni), Hera Spa (3 milioni) e Terna Spa (28 milioni). 

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