Economia

Ex centrale Garigliano, con la Sogin anche il nucleare diventa "riciclabile"

Marco Zonetti

Come destinare a nuova vita i materiali recuperati dagli impianti nucleari grazie all'eccellenza tutta italiana di un'azienda di Stato

Una centrale nucleare dismessa che diviene fucina di materiali riciclabili "sani" e non radioattivi, pronti a essere destinati a nuova vita. Il trionfo dell'economia circolare, insomma, una procedura di riciclaggio che evita sprechi e che permette di monetizzare lo smantellamento di un impianto fermo (e che di conseguenza sembrava ormai "a fondo perduto") a favore della collettività.

Questo sta avvenendo alla Centrale Elettronucleare di Sessa Aurunca a Garigliano (Ce), disattivata nel 1982 a seguito del terremoto avvenuto due anni prima che piagò (e piegò) gran parte della Campania. Sotto l'egida della Sogin, azienda partecipata di Stato che si occupa di decommissioning (smantellamento) di impianti nucleari, la centrale viene fin dal 2012, per usare un'espressione icastica, "rivoltata come un calzino" dai tecnici incaricati di recuperare tutto il materiale recuperabile e riciclabile (dopo approfondita e scrupolosa bonifica e decontaminazione) massimizzando il riciclo e riducendo al massimo i rifiuti impossibilitati a essere reimmessi nel "sistema" economico. 

L'operazione complessa effettuata da Sogin, come raccontano orgogliosamente in conferenza stampa proprio a Garigliano l'amministratore delegato Luca Desiata e il capo sito Alfonso Esposito, permette di recuperare per esempio - dopo certosini controlli incrociati - elementi di ferro, plastica e rame facenti parte del rotore o dell'alternatore della turbina per poi trasportarli in altri impianti di riciclo, riducendo così al massimo gli sprechi.

Nella sua chiara e approfondita dissertazione Luca Desiata fa riferimento alla Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti, circostanza alla base della conferenza e visita guidata organizzate alle centrale. "L'attività del nucleare" dichiara l'Ad, "è nell’immaginario collettivo frequentemente associata alla mera produzione di rifiuti radioattivi. Il caso della turbina del Garigliano, invece, dimostra come una parte cospicua dei materiali smantellati vengano recuperati e poi riciclati". Un esempio di economia circolare che la Sogin sta implementando strutturalmente e e sistematicamente ovunque l'azienda effettui opera di decommissioning.

La Sogin, ci tiene a sottolineare l'ad Desiata, non è un'azienda a fini di lucro, bensì una società partecipata del Mef, ma al tempo stesso una piccola multinazionale che opera anche in Russia (ove si occupa di rilevare e mappare tutti gli elementi radioattivi affondati dall'ex Unione Sovietica nel Circolo Polare Artico), in Slovacchia (per collaborare allo smantellamento del più vecchio impianto in loco) e nell'Est asiatico con contratti di consulenza alla Corea del Sud, alla Cina e a Taiwan.

Il tutto seguendo la mission dell'azienda, ovvero "proteggere il presente per garantire il futuro", linea di condotta che tuttavia non si limita a "smantellare" gli impianti come la Centrale di Garigliano, ma prima di tutto ciò s'impegna a mantenerli in sicurezza, a decontaminarli, a verificare che non vi sia dispersione ambientale con controlli estremamente puntuali e oculati, e infine a gestire i rifiuti radioattivi, ovvero quella minima parte che - dopo tutte le procedure di recupero - non può essere restituita a "nuova vita".

E dove vanno questi materiali tossici, queste scorie ad alta radioattività? Al momento all'estero, stoccati in Francia e in Gran Bretagna, con un certo costo - come rileva l'ad Desiata, a detta del quale lo stoccaggio di tali materiali oltre i confini dell'Italia sono denaro gettato al vento. Secondo la normativa dell'Unione Europea ogni paese è tenuto a custodire le proprie scorie nucleari sul proprio territorio, e in Italia vi è effettivamente una legge che prevede la realizzazione di un deposito nazionale, poiché gli impianti a tutt'oggi presenti nel nostro Paese sono idonei a stoccaggi soltanto temporanei e non definitivi. Per questo la Sogin ha stilato una mappa di siti atti a ospitare una futura discarica (mappa coperta da segreto, al momento), al vaglio del Ministero dell'Ambiente e dello Sviluppo Economico.

"Se mi dicono tieni i rifiuti all'estero" commenta l'ad di Sogin, "io li tengo. Ma bisogna essere consapevoli che questo ha un costoIl deposito nazionale, dal canto suo, è una infrastruttura sicura, e sono soldi che restano sul territorio italiano".

E a parte queste considerazioni, c'è comunque da gioire, apprendendo che i tecnici della Sogin, a Garigliano, sono riusciti al momento attraverso procedure chimiche (per gli elementi di piccole dimensioni) e tecniche (per quelli più grandi) a recuperare ben 400 tonnellate di materiali che, una volta analizzati e ricontrollati, andranno per ben il 96% nelle fonderie per il recupero totale, lasciando soltanto il 4% al destino della discarica in quanto non riciclabili. Lo smantellamento dell'impianto, secondo una stima, terminerà nel 2016, costando 380 milioni di euro ma rimettendo in circolo a favore della collettività ben 270mila tonnellate di materiali. 

Il tutto, concludendo, in una strategia volta a riforestare Garigliano (per ridurre le emissioni di CO2 entro il 2030 come vuole la normativa UE), a creare pannelli fotovoltaici per risparmiare energia elettrica e a favorire la mobilità sostenibile dei dipendenti, oltre a ridurre la plastica. Attuando così, a "margine" dello smantellamento dell'impianto e del recupero dei materiali riciclabili, anche un miglioramento complessivo della performance ambientale. Al fine, per l'appunto, di "proteggere il presente per garantire il futuro".