Economia
Family Business Study: imprese familiari, meno del 30% oltre terza generazione
Nelle imprese familiari italiane i membri della famiglia rappresentano il “lato giovane” del Consiglio di Amministrazione (il più giovane ha 28 anni contro i 38 delle imprese non familiari), in pochi hanno esperienza internazionale e di CEO (solo il 25% contro il 47% della Spagna), digitale (solo l’1%) e contabile (solo il 2%). Le imprese familiari si dimostrano però più resistenti nelle fasi di recessione e più attente ai ricavi e agli investimenti a lungo termine.
Sono alcune evidenze emerse dal Family Business Study 2019 condotto da Russell Reynolds Associates, società internazionale di consulenza manageriale ed executive search. Lo studio mette a confronto i Consigli di Amministrazione delle imprese familiari con quelli delle imprese non familiari, in Italia e in altri 3 Paesi europei: Francia, Germania e Spagna. Per ogni Paese sono state analizzate 40 società quotate, 20 familiari e 20 non familiari. Sono considerate imprese familiari quelle in cui i membri della famiglia risultano essere azionisti di riferimento, o coinvolti nel management e almeno alla seconda generazione.
LO STUDIO
Secondo lo studio, le imprese familiari italiane risultano caratterizzate da una forte “familiarità”. Mantenendo invariato il numero dei membri del CdA rispetto alle imprese non familiari, il 28% dei membri del consiglio risulta infatti essere appartenente alla famiglia. Un dato in linea con quello di Francia e Spagna (26%); solo in Germania cala la presenza di membri della famiglia nel consiglio di amministrazione. Ne consegue che in Italia la famiglia tende ad esercitare un alto livello di controllo sull’azienda, mantenendo le dimensioni del Consiglio contenute.
Rispetto agli altri Paesi considerati dallo studio, le imprese familiari italiane risultano deficitarie sul piano della internazionalizzazione del proprio CdA: solo il 7% dei consiglieri è straniero, contro il 13% è nelle imprese non familiari. Il divario con gli altri paesi è netto: 30% in Francia, 18% in Germania e 17% in Spagna, a testimonianza di una maggior apertura internazionale delle imprese familiari di questi paesi.
Prendendo in esame i board delle imprese familiari, si denota una maggior digitalizzazione media dei consiglieri negli altri Paesi rispetto all’1% dell’Italia (Francia 11%), insieme a una maggiore presenza di membri del Consiglio con precedenti esperienze di CEO (Italia 36%, Spagna 43%, Francia 47%), e una maggiore esperienza di contabilità e finanza (Italia 7%, 16% Germania, 20% Francia).
Come emerso dai dati spagnoli (90%), anche in Italia (86%) il ruolo di presidente dell’impresa familiare sembra essere appannaggio quasi esclusivo della compagine familiare: solo in pochi casi tale carica risulta assegnata ad un membro del CdA esterno alla famiglia proprietaria. Più frequentemente ciò accade in Francia (52%) e in Germania (16%). In Italia in questo ruolo si registra una netta, quasi totale prevalenza degli uomini sulle donne: solo il 5% dei presidenti è donna (contro il 20% della Spagna) e il 52% proviene dal Consiglio di Amministrazione, nel quale è stato mediamente impegnato per molti anni (15 anni, rispetto ai 4 delle imprese non familiari).
Tuttavia, il 48% dei presidenti del board delle imprese familiari risulta provenire dall’esterno, sia esso un membro della famiglia che non faceva parte in precedenza del board o una figura del tutto estranea alla famiglia. Per il 33% delle imprese familiari italiane il presidente è anche CEO, un dato significativo se si considera il 5% delle imprese nazionali non familiari. Infine, il ruolo di presidente si caratterizza per una lunga durata, segno di grande continuità di questa carica entro le aziende a conduzione familiare: 14 anni, rispetto ai 3,5 anni medi delle imprese non familiari.
In merito ai piani di successione, dai dati forniti dalle aziende italiane emerge una maggiore propensione da parte delle imprese familiari ad adottare una visione di lungo termine. Il “DNA familiare” sembra spingere questo tipo di imprese a progettare maggiormente la successione degli amministratori delegati (44%) rispetto a quelle non familiari (33%) e a preservare maggiormente l’“intimità” del Consiglio di Amministrazione svolgendo solo internamente le valutazioni sull’operato del Consiglio stesso.
Rappresentando i 2/3 delle imprese nazionali, le imprese a conduzione familiare contribuiscono per il 60% alla produzione del PIL e garantiscono il 70% dei posti di lavoro a livello nazionale.
“Le imprese familiari svolgono un ruolo fondamentale nel contesto del sistema produttivo nazionale ma risultano esposte ad alcune importanti sfide” commenta Beatrice Ballini, Managing Director di Russell Reynolds. “Meno del 30% delle imprese familiari sopravvive infatti alla terza generazione, per lo più a causa di una preparazione insufficiente da parte delle generazioni subentranti. La selezione dei leader aziendali risulta complessa, piena di sfide emotive, economiche e di governance e il processo di trasmissione dei valori familiari deve saper includere costantemente nuovi elementi interni ed esterni alla famiglia che consenta di affrontare un’arena competitiva sempre più rapida e complessa.”
Russell Reynolds Associates fornisce servizi di consulenza manageriale alle imprese a livello globale. Offre il proprio know-how nell’ambito dell’executive search, del management development, della corporate governance e dei consigli di amministrazione, sia alle multinazionali che alle imprese familiari. In particolare negli ultimi anni è molto attiva nei processi di trasformazione digitale, di succession planning e di sviluppo dei temi di diversity & inclusion. Russell Reynolds Associates è una partnership globale con 46 uffici nel mondo: in Italia è presente da oltre trent’anni ed oggi il Managing Partner è Nicola Gavazzi.