Economia
Fed, Bce e BoE rinviano la stretta. Banche centrali in soccorso della crescita
La prima a muoversi è stata la Federal Reserve bloccando i rialzi dei tassi sino a giugno. Poi è toccato alla Bank of England, alla Bce e alla Banca del popolo
L’economia globale rallenta gradualmente e anche se a giudizio di case d’investimento come Oddo Bhf probabilmente non cadrà in recessione come una lettura sommaria dei recenti dati commerciali potrebbe suggerire, il rischio dell’ulteriore crescita di spinte populiste è altrettanto evidente e questo sta contribuendo a modificare gli obiettivi e le strategie delle autorità monetarie mondiali.
Che il clima sia cambiato e le principali banche centrali abbiano interrotto i propri sforzi di “quantitative tightening” è ormai evidente e costituisce secondo Andrew Keirle, gestore obbligazionario di T. Rowe Price, “una brusca inversione rispetto all’anno scorso, durante il quale le banche centrali avevano fatto significativi passi avanti nel ridurre i propri bilanci e vi erano stati numerosi rialzi dei tassi di interesse”. Il primo a dire stop a nuovi rialzi è stato Jerome Powell: il capo della Federal Reserve a fine gennaio ha spiegato che l’attuale livello dei tassi d’interesse Usa è “appropriato per lo stato dell’economia” americana.
Powell ha anche aggiunto che la necessità di ulteriori rialzi dei tassi (dopo i 4 rialzi del 2018) si è “indebolita” e che la Fed attenderà chiari segnali di una crescita dell’inflazione prima di muoversi. Segno, per gli analisti, che almeno fino a maggio-giugno il costo del denaro in America non cambierà. Sembrava un cedimento alle pressioni esercitate da Donald Trump sulla banca centrale americana, ma poi la svolta della Fed ha fatto breccia e anche la Bce per bocca del suo presidente, Mario Draghi, ha fatto sapere che non si prevedono rialzi sull’euro almeno fino a fine anno, spostando in avanti di almeno sei mesi le attese per il primo ritocco all’insù di tassi che restano a zero.
Non solo: per cercare di sostenere una ripresa che sta rallentando più di quanto ci si attendesse nel vecchio continente (tanto che la Bce ha tagliato da +1,7% a +1,1% le previsioni sul Pil 2019 dell’Eurozona e da +1,7% a +1,6% per il 2020), pur con probabilità di una nuova recessione che restano “molto basse”, Draghi ha confermato che il reinvestimento dei titoli acquistati sul mercato dalla Bce nel corso del suo programma di quantitative easing proseguirà a lungo e ben oltre il rialzo dei tassi, annunciando infine un nuovo round di finanziamenti a basso costo per le banche europee che sosterranno la ripresa tramite Tltro biennali (anziché quadriennali come finora) che verranno lanciate “a rubinetto” ogni trimestre a partire dal prossimo settembre.
Se Stati Uniti ed Eurozona stoppano per il momento ogni possibile rialzo dei tassi ed anzi, in Europa, tornano ad ampliare l’offerta di liquidità sul mercato e mentre la Bank of England ha già messo in pausa i suoi rialzi preoccupata per l’ipotesi che la Gran Bretagna non raggiunga un accordo con la Ue sulla Brexit e per ciò che questo potrebbe comportare, dall’altra parte del mondo la Reserve Bank of Australia ha già discusso la possibilità di un taglio dei tassi e presto potrebbe metterlo in atto. Soprattutto, in Cina le autorità si sono già attivate per evitare che la crescita del Pil rallenti eccessivamente, a causa del braccio di ferro commerciale con gli Stati Uniti e del rallentamento della domanda mondiale.
La Banca del popolo cinese ha così ridotto di un punto percentuale il coefficiente di riserva obbligatoria delle banche, portandolo al 19,5% per le grandi banche e al 16% per le banche più piccole, anche in questo caso puntando su un aumento di riserve liquide che potrebbero arrivare ad un controvalore complessivo di 194 miliardi di dollari. Una mossa che qualcuno ha bollato come azzardata, visto che il livello di indebitamento totale interno della Cina è già arrivato al 252% del Pil, pari a circa 34 mila miliardi di dollari di prestiti erogati per l’84% al settore privato (quando nel 2008, alla vigilia della crisi mondiale, il rapporto era pari al 148%).
Basteranno le misure monetarie subito messe in campo per evitare che il rallentamento si trasformi in qualcosa di più serio e peggiore? Secondo Lombard Odier IM almeno per quanto riguarda l’Europa molto dipenderà dal successore di Draghi, figura che “sarà fondamentale per definire la politica monetaria della Bce”.
E’ empiamente riconosciuto, hanno sottolineato gli esperti, che l’arsenale politico a disposizione della banca centrale “è limitato, soprattutto se dovessimo addentrarci una fase di forte recessione”. Rivedendo le previsione politiche ampiamente al ribasso, la Bce ha peraltro già gettato le basi per ulteriore periodo di quantitative easing, qualora il futuro presidente dovesse adottare una politica simile a quella dell’ex numero uno di Bankitalia e sempre che i mercati, che dopo 10 anni di “toro” sono particolarmente sensibili sia al rischio di un improvviso esplodere dell’inflazione sia ai timori di una nuova recessione mondiale, siano d’accordo.