Economia

Fondazione Banco Napoli, il dovere di un'azione: la tutela degli azionisti

Eduardo Cagnazzi

Richiesto al ministro dell'Economia e delle Finanze un confronto per l'attuazione del disegno legislativo. L'indennizzo potrebbe arrivare a un miliardo di euro

Fu un terremoto per il Mezzogiorno. Un crack inaspettato, quello che ha portato gradualmente dal 1995 al 2018 la fine del più vecchio istituto creditizio del Paese, il Banco di Napoli, nato nel 1539 come Monte di Pietà (anche se qualcuno retrodata l’inizio delle attività al 1463 dopo il rinvenimento di documenti riguardanti la cassa di deposito della Casa Santa dell’Annunziata)  per volontà di benefattori appartenenti alle famiglie nobili di Napoli, agli ordini religiosi, dei medici e degli avvocati che con grande generosità avevano devoluto importanti somme di denaro per sottrarre le categorie più bisognose all’usura. Una fine inaspettata anche per diverse migliaia di azionisti del Banco che si sono trovati con un pugno di mosche in mano senza alcun indennizzo. Un indennizzo che potrebbe arrivare fino al miliardo di euro, secondo una stima calcolata sulla base di una relazione della Corte dei conti che consentirebbe alla Fondazione Banco di Napoli di recuperare una parte delle risorse legate alla liquidazione del vecchio istituto di credito. I vertici della Fondazione, presieduta da Rossella Paliotto, imprenditrice (al centro nella foto), hanno citato in giudizio il ministero dell’Economia e delle finanze  promuovendo ciò che, nel corso di un incontro oggi con la stampa, la stessa Paliotto ha definito “il dovere di un’azione” per riaffermare le radici e la memoria storica.

“Nella citazione -afferma Paliotto- chiediamo che sia il tribunale a quantificare l’indennizzo”. Toccherà, ora, al Tribunale di Napoli dirimere una questione iniziata nel 1996. “La Fondazione  chiede il rendiconto allo Stato, in base all’impegno preso con la legge 588 del 96 e l’articolo 2 del decreto legge 497/96”. La Sga, oggi Amco, nel 1996 prese in carico i crediti del Banco di Napoli, valutati secondo le indicazioni della Banca d’Italia con criteri che la Commissione europea ha definito “particolarmente prudenti”. Fino al 2016 ha recuperato il 94% dei crediti deteriorati. A quella svalutazione, la Fondazione, socia di maggioranza del Banco di Napoli con il 69,4% del Banco, partecipa con 3mila miliardi delle vecchie lire, gli altri azionisti con in importo pari a 1500 miliardi e il Ministero del Tesoro 2000 miliardi. La richiesta di indennizzo si allarga anche a tutti quei piccoli risparmiatori che avevano comprato pacchetti di azioni, soci di minoranza che hanno perso tutto. La scelta di rivolgersi al Tribunale è stata maturata a seguito di una mancata risposta da parte del Mef a una richiesta di indennizzo, inviata lo scorso 27 aprile. “L’indennizzo ci serve per sostenere le finalità della fondazione, soprattutto le attività a sostegno del sociale, del bisogno, della cultura, dell’arte dell’istruzione”, ha sostenuto Paliotto. “Oltre a doverci sostenere e a valorizzare tutto il patrimonio custodito nel nostro archivio, a partire dal 1463. E’ una vicenda che rappresenta tanti pezzi di storia di una significativa parte del Paese. E poter contribuire a riscrivere questa storia è importante”.

Ma qual è l’obiettivo della Fondazione? “Valorizzare i libri mastro in nostro possesso che sono tra i più antichi al mondo, promuovere settori ai quali la Fondazione distribuisce contributi per il loro sviluppo, come l’innovazione, le arti, la cultura e, soprattutto, sostenere il disagio sociale. Interventi che abbiamo continuato a sostenere anche durante la pandemia”, ha sostenuto l’imprenditrice che ha concluso augurandosi dalla politica “la capacità di dare risposte certe e veloci”.