Food delivery: il settore vale 2 miliardi l’anno e dà lavoro a 10mila ragazzi
I colossi sono JustEat, Deliveroo e Foodora, ma sta crescendo una miriade di startup come Uber Eats, Moovenda o Alfonsino che puntano a differenziare i servizi
In un settore che da sempre è una delle colonne portanti dell’economia italiana, quell’alimentare, i servizi di consegna a domicilio (“food delivery”) guadagnano terreno avendo finora potuto coniugare l’innovazione della digital delivery, modelli organizzativi in grado di abbattere il costo del lavoro e grande flessibilità nell’andare incontro alle esigenze dalla clientela.
Ma chi sono i protagonisti del settore in Italia e quali le prospettive del settore? Una ricerca di Jeme-Bocconi segnalava come a fine 2015 il settore stesse crescendo a tassi attorno al 50% annuo (in linea con un tasso del 51% medio annuo registrato nel quinquennio 2010-2015 dal settore a livello mondiale), avendo ormai raggiunto 7 milioni di utenti (saliti attorno ai 4,5 milioni nei soli primi sei mesi del 2018), anche se solo il 15% delle ristorazioni prevedevano un servizio di consegna a domicilio. Per inciso, simili tassi sono ormai un ricordo, visto che per il prossimo quinquennio si prevede che il settore cresca del 3,5% l’anno, in media, avviandosi verso una fase di consolidamento.
Nel complesso il mercato della “food delivery” varrebbe ormai in Italia almeno 2 miliardi di euro l’anno (nel mondo siamo arrivati a 83 miliardi), ma alcune fonti sommando anche le transazioni dei locali “take away” parlano di 4 miliardi di euro l’anno di giro d’affari. La danese JustEat, nata nel 2001 e che in Italia ha acquisito negli anni Clikeat.it (nel 2011), Cliccaemangia e DeliveRex (nel 2015), HelloFood Italia e PizzaBo (nel 2016), è stata l’apripista, seguita dalla britannica Deliveroo (nata nel 2013) e dalla tedesca Foodora (lanciata l’anno successivo), che hanno poi superato la stessa JustEat in una piazza particolarmente “calda” come Milano.
Accanto a questi tre colossi, sono poi sorte una miriade di startup (Sprig, Sgnam/MyMenu, Foodinho, Diet to Go, Alfonsino, Foodexd) che hanno tentato strade complementari o alternative per personalizzare i propri servizi, ad esempio puntando su trend ecologisti e salutisti, su orari di consegna più estesi, o sul trasporto di cibi preparati a casa e non da ristoranti o pizzerie (la pizza resta, in tutto il mondo e non solo in Italia, il piatto più trasportato, con rare eccezioni come le patatine fritta in Brasile o gli hamburgher in Francia).
Il settore cambia tuttavia rapidamente, così una ricerca aggiornata al 2017 di Comunicatica (indirettamente tra gli azionisti di Moovenda e PrestoFood) ha segnalato come Deliveroo lo scorso anno abbia effettuato consegne per oltre 20 milioni di euro, JustEat non ha fornito dati così come Foodora, Uber Eats e Glovo, che comunque vengono ritenute di diritto tra i “big” del mercato attuale, mentre Moovenda e Foodracers hanno dichiarato ordini per oltre 2,5 milioni di euro, Bacchette e Forchette (in procinto di essere assorbita da Sgam/Mymenu) è arrivata a 2 milioni di euro e PrestoFood ha superato il milione di euro, la “neonata” Alfonsino ha raggiunto i 600 mila euro nei primi 18 mesi di lavoro.
Quanto vale una singola transazione? Anche qui i numeri sono noti solo per alcuni operatori: Moovenda ha dichiarato 108 mila consegne lo scorso anno in Italia, Foodracers 98 mila, PrestoFood 54 mila, Alfonsino 22 mila. Il valore medio di una consegna varia dunque dai circa 18,5 euro di PrestoFood ai circa 23 euro di Moovenda, ai circa 25,5 euro di Foodracers, fino agli oltre 27 euro di Alfonsino.
Quanto all’aspetto occupazionale, va sottolineato come non esista un modello unico, ma almeno due tipologie a cui si è fatto finora ricorso: da un lato vi sono piattaforme che dispongono di una propria rete di “racers” o “riders” (i fattorini che consegnano gli ordini), come Foodora, Deliveroo (circa 2 mila racers), Uber Eats o Moovenda (150 circa), piuttosto che Alfonsino (startup casertana che a fine 2017 contava su circa 80 riders per coprire 25 comuni, ma che punta a espandersi in 60 “small cities” italiane).
Dall’altro vi è chi come Just Eat, ma anche Glovo (che consegna qualsiasi cosa, alimentare o meno, sia trasportabile in motorino o bicicletta e non superi 9 kg di peso), funziona da intermediario dando visibilità a ristoranti, fast food e appassionati di cucina, delegando loro la consegna degli ordini senza offrire il servizio con una propria rete di fattorini.
Non esiste una statistica ufficiale, ma si stima che la food delivery impegni circa l’1% del milione circa di persone che in Italia lavora nella “gig economy” (l’economia dei “lavoretti” che tipicamente si facevano e si fanno quando si è studenti, in attesa del primo vero impiego), ossia attorno alle 10 mila unità, numero da prendere con le pinze variando a seguito di espansione dei servizi di una o più società su aree non ancora coperte da altri intermediari o di abbandono di una o più piazze da parte di una delle società già attive.
Commenti