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Economia
Giornata Mondiale del Risparmio: l'intervento di Giuseppe Guzzetti, pres. Acri
Giuseppe Guzzetti, presidente Acri: celebrata oggi, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, la Giornata Mondiale del Risparmio.

Giornata Mondiale del Risparmio: l'intervento di Giuseppe Guzzetti, pres. Acri

 


Si è celebrata oggi a Roma, sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica, la 93ª edizione della Giornata Mondiale del Risparmio, istituita nell’ottobre del 1924 in occasione del 1° Congresso Internazionale del Risparmio, svoltosi a Milano, e da allora organizzata annualmente da Acri, l’associazione delle Fondazioni di origine bancaria e delle Casse di Risparmio Spa. Quest’anno il tema della Giornata è “Risparmio: quali prospettive?”. Insieme al Presidente di Acri, Giuseppe Guzzetti, sono intervenuti: il Ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan, il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, il Presidente dell’Abi Antonio Patuelli. Erano presenti alcune fra le più alte cariche dello Stato, esponenti del mondo politico e istituzionale, dell’economia e della finanza, la stampa e diversi rappresentanti dei consumatori e dei sindacati, per una partecipazione complessiva di oltre seicento persone.

 


Giornata Mondiale del Risparmio: l'intervento di Giuseppe Guzzetti, pres. Acri

 


La ripresa da tanto tempo attesa è finalmente arrivata e si sta gradualmente consolidando non solo in Europa ma anche e soprattutto in Italia, che così può lasciarsi alle spalle il peggiore decennio dalla fine del secondo conflitto mondiale. Negli ultimi mesi le indicazioni positive sono divenute sempre più numerose lasciando intravedere un consuntivo favorevole per l’anno in corso e autorizzando aspettative moderatamente positive anche per il prossimo anno. Il rialzo del rating da parte di Standard and Poor’s è una conferma della ripresa e della fiducia che l’Italia sta riacquistando sul piano internazionale grazie all’azione del Governo.
La ripresa economica in atto nel Vecchio Continente ha certamente beneficiato del favorevole clima economico finanziario internazionale. Le scelte di politica monetaria della Banca Centrale Europea hanno aiutato l’intera eurozona (e quindi anche l’Italia) a uscire dalla condizione di profonda debolezza e incertezza in cui era precipitata per effetto della prima crisi internazionale del 2008-09 e qualche tempo dopo per le fortissime tensioni determinatesi nel mercato del debito sovrano. Le politiche disegnate dalla Bce hanno sopito la pericolosa volatilità manifestatasi nel circuito finanziario e hanno parallelamente incoraggiato un diffuso processo di risveglio economico. Anche i recenti provvedimenti della Bce che segnalano un ritiro graduale dal piano di quantitive easing vanno nella direzione di mantenere tuttora degli stimoli. Sarebbe, però, un errore cantare vittoria definitiva sulla crisi; occorre continuare a mantenere alta la guardia e adoperarsi per utilizzare tutte le leve possibili per una crescita maggiore e, nel contempo, per proseguire lungo la linea delle riforme strutturali. Nell’area euro l’inflazione è ancora lontana dal target del 2% indicato dalla Bce e si prevede che tale obiettivo sarà conseguito non prima del 2019. Di qui la necessità che proseguano le misure non convenzionali di politica monetaria, nel presupposto che la stabilità dei prezzi si consegue raggiungendo il suddetto target, ma con un’inflazione “buona”, che sia conseguenza della crescita dell’economia e dei redditi; diversamente, un aumento generalizzato dei prezzi colpirebbe le classi di reddito meno favorite…

 
 
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La ripresa italiana non è solo il frutto di favorevoli circostanze esterne. In questi anni difficili il nostro Paese ha finalmente aggredito alcune storiche criticità. Mi limiterò ad accennarne tre. La prima è quella della giustizia civile. Per molti anni la certezza del diritto, condizione non secondaria per il corretto funzionamento di un sistema economico, è stata fortemente indebolita dalla lentezza del sistema giudiziario. Gli interventi normativi compiuti in questi anni per normalizzare l’andamento del contenzioso hanno avuto un indubbio successo: i tempi medi evidenziano un trend di diminuzione e il numero dei procedimenti pendenti è oggi di un terzo inferiore (due milioni di procedimenti in meno!) rispetto al punto massimo (5,7 milioni) toccato nel 2009, un progresso che ha riguardato anche la cosiddetta “giacenza patologica”. Il secondo esempio è la riforma del diritto fallimentare entrata in vigore in questi giorni. Il disegno di legge delega approvato in via definitiva dal Senato per riformare le discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza è, infatti, un intervento davvero “rivoluzionario”, perché pone la salvaguardia dell’impresa e delle sue relazioni di mercato al centro delle procedure per regolare le fasi di difficoltà dell’impresa. Finalmente la crisi e l’insolvenza sono riconosciute come momenti non patologici nel ciclo di vita di un’impresa, possibilmente da prevenire, ma non da determinare un pregiudizio definitivo e ineliminabile sul futuro dell’impresa stessa... Il terzo ha come oggetto i pagamenti della pubblica amministrazione. Alcuni anni fa i ritardi nei pagamenti dovuti da enti statali erano davvero inaccettabili e producevano pesanti ricadute anche sul circuito dei pagamenti tra privati, acuendo così una congiuntura economica e finanziaria già straordinariamente difficile. In questo caso il cuore dell’intervento è la piattaforma informatica realizzata dal Mef, piattaforma che oggi monitora l’esito di quasi 30 milioni di fatture per un importo di 150 miliardi di euro. Il ritardo rispetto alle medie europee non è stato interamente colmato, ma i progressi realizzati sono sostanziali e percepibili dalla quotidiana esperienza ancor prima che dalla lettura delle statistiche… Adesso che la macchina economico-produttiva si è rimessa in moto dobbiamo ridimensionare l’attenzione che rivolgiamo alle problematiche di breve periodo e mettere meglio a fuoco come plasmare il futuro del nostro Paese… Per cogliere appieno le possibilità di questa fase è necessario che, senza aprire varchi al lassismo nel campo della finanza pubblica o abbandonare la linea delle riforme di struttura, il rigore di Bruxelles lasci spazio a contestuali scelte di sostegno della domanda aggregata.

 

 
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La debolezza negli investimenti è uno dei più gravi lasciti della negativa congiuntura che ha caratterizzato il recente passato. Negli ultimi tempi si è registrato un loro risveglio, dovuto anche alla migliorata dinamica congiunturale. Ma sono ancora pochi gli indizi che segnalano un flusso di investimenti ad elevato contenuto di innovazione, quelli cioè che costituiscono il principale ingrediente per un salto qualitativo del processo di crescita. Il piano di politica industriale varato un anno fa e focalizzato su una più ampia diffusione dell’innovazione digitale (il cosiddetto Industria 4.0) sta cominciando a dare i primi risultati. Bisognerà, però, attendere per verificare se questo piano riuscirà a determinare risultati davvero significativi. Comunque, diffonde fiducia il constatare che il risveglio degli investimenti sta gradualmente guadagnando vigore. Resta, invece poco favorevole l’andamento degli investimenti pubblici. Il loro inaridimento è stato spesso imputato alle difficoltà determinate dall’elevato debito pubblico e dall’insufficiente riqualificazione della spesa pubblica corrente. Certo molto si può ancora fare in questo senso, ma è noto che il cosiddetto avanzo primario (cioè il disavanzo pubblico al netto della spesa per interessi) è positivo da molti anni. Un piano organico per la riduzione del debito, che grava enormemente sulla nostra economia e rappresenta anche la palla al piede per il rilancio dello sviluppo, è tuttavia necessario. Da un lato, bisogna fare leva sulla crescita che, però, dovrebbe essere maggiore di quella prevista perché dia un contributo efficace, magari insieme all’auspicabile risalita dell’inflazione verso il target del 2 per cento; dall’altro, sono necessarie misure specifiche di mercato riguardanti il debito, anche se destinate a operare in diversi anni, ma secondo una logica sequenziale e con scadenze certe. Si è riusciti a spezzare il circolo vizioso tra debito sovrano e situazione delle banche. Nessun rischio, però, può dirsi fugato fino a che permane l’abnormità del livello del debito che, in definitiva, costituisce uno dei principali fra i mali più insidiosi e immanenti per il nostro Paese.
Per un rilancio significativo dell’Italia sono più che necessari investimenti che si traducano in infrastrutture, funzionali alle logiche dello sviluppo. Il loro livello oggi risulta modesto, sia che lo si valuti in una prospettiva temporale, sia che lo si confronti con il resto dell’area euro. Pur tenendo conto che la nostra spesa annua per interessi sul debito pubblico è pari a circa quattro punti di Pil, le condizioni sono oggi idonee per un piano di rafforzamento delle infrastrutture ai fini della messa in sicurezza e dell’ammodernamento del Paese. La Cassa Depositi e Prestiti, di cui le Fondazioni di origine bancaria sono azioniste, sta dando un contributo non secondario in questo senso. Esprimiamo una positiva valutazione dell’operato di Cdp e il pieno sostegno al presidente Costamagna e all’amministratore delegato Gallia, che stanno assolvendo con competenza e impegno alla  “nuova” funzione della Cassa di ente promotore dello sviluppo economico del Paese. È, a nostro avviso, indispensabile evitare qualsiasi tentazione di coinvolgere Cdp in operazioni apertamente in contrasto con il suo statuto, che vieta di investire in aziende in perdita; ciò al fine di non comprometterne la capacità di sostegno all’economia, il patrimonio, gli equilibri di bilancio e di conto economico. Le Fondazioni azioniste non daranno mai il loro assenso – determinante per statuto – a simili operazioni.

 

 

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All’uscita da un decennio segnato da una doppia recessione il tessuto imprenditoriale del nostro Paese appare profondamente mutato, non ultimo per il suo evidente rafforzamento sotto il profilo finanziario; un percorso che ci auguriamo possa ancora proseguire. Prima dello scoppio della crisi, le strategie aziendali riconoscevano decisamente poco spazio al tema della tenuta finanziaria, che con elevata frequenza era argomento totalmente omesso. Le contenute dimensioni e il diffuso profilo famigliare sono i fattori cui può essere attribuita la responsabilità primaria di questo errore, che ha sensibilmente amplificato le conseguenze della lunga e sfavorevole congiuntura. Numerose analisi concordano nell’evidenziare che questa debolezza, se non ancora risolta, è stata comunque ridimensionata. Rispetto a un passato lontano solo pochi anni, le imprese italiane appaiono oggi più dotate sul piano patrimoniale, con un livello di indebitamento ancora elevato ma più sostenibile, con una maggiore disponibilità di liquidità. Questo migliorato assetto finanziario non solo le rende meno vulnerabili nel caso di impreviste fasi negative della loro attività, ma le pone anche nella condizione di poter cogliere le opportunità di un ciclo economico favorevole. La rafforzata condizione economico-finanziaria delle imprese (il 73% dichiara di aver chiuso in utile l’esercizio 2016, una percentuale vicina ai massimi del decennio) ha contributo in misura sostanziale al miglioramento della qualità del credito: il flusso annuo di nuovi prestiti irregolari, arrivato a fine 2013 a sfiorare il 6% del portafoglio prestiti, è sceso costantemente nei trimestri successivi, attestandosi poco sopra il 2% nell’ultima rilevazione, con la prospettiva di un’ulteriore diminuzione. Alla riduzione del flusso dei nuovi prestiti deteriorati le banche combinano spesso ambiziosi programmi di smobilizzo di quelli accumulati durante gli anni della crisi. Si è determinata quindi una catena di fenomeni positivi che, anche su questo terreno, in un futuro ravvicinato porterà l’Italia a riposizionarsi a ridosso delle medie europee. I recenti indirizzi della Vigilanza unica contenuti nell’Addendum alle disposizioni sulla gestione dei crediti in questione, che fondano la dismissione su un discutibile automatismo, sottovalutando le diversità delle giurisdizioni, la capacità di gestione degli stessi prestiti a livello aziendale e le conseguenze per il riversamento sul mercato di grandi quantità di tali finanziamenti favorendo nettamente i potenziali acquirenti, vanno nettamente riconsiderati. In più, si trascura l’impatto che la loro applicazione potrebbe avere, concentrando le azioni sul patrimonio, nelle quantità di prestiti erogabili. Sono indirizzi, questi, che obbediscono a una “filosofia” dei controlli che presenta molti punti assai discutibili, basata com’è sull’assoluta predominanza dell’attenzione al patrimonio e su di un’incessante emanazione di norme. A tre anni dall’introduzione della Vigilanza accentrata, occorrerebbe un esame approfondito dell’esperienza sinora compiuta, innanzitutto per porre rimedio alle impostazioni difficilmente condivisibili e per dare corpo anche in questo campo al principio di sussidiarietà. Lo esige una efficace tutela del risparmio e un migliore sostegno, con la leva del credito, a famiglie e imprese. Si impone, poi, un deciso miglioramento della comunicazione istituzionale. La positiva e rapida evoluzione della qualità degli attivi della maggior parte delle banche italiane è il risultato della felice combinazione di molti fattori, in primis congiuntura economica e migliore capacità di selezione della clientela. È per questo che concordiamo con chi giudica inopportuna l’ipotesi di inasprire ulteriormente il trattamento contabile dei prestiti deteriorati. Riteniamo ora più utile consentire una stabilizzazione della congiuntura economica e una valutazione ex-post delle numerose novità normative introdotte in questi anni su questo terreno.

 

 

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Ai fini dell’occupazione risulta fondamentale una crescita maggiore che poggi su un più accentuato sviluppo degli investimenti pubblici e privati e su una strategia volta al miglioramento della produttività totale dei fattori. Crescita, produttività, competitività, innovazione costituiscono un quartetto cruciale per migliorare l’occupazione, accanto alle misure che la interessano direttamente. Prima o poi - in occasione di una necessaria revisione del Fiscal compact, che molti giustamente non vogliono entri nel diritto comunitario – bisognerà affrontare il problema dell’esclusione degli investimenti pubblici dal vincolo del pareggio di bilancio, applicando la cosiddetta “golden rule”.
Di un salto qualitativo abbiamo assolutamente bisogno per riportare alla normalità il nostro mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione ufficiale è sensibilmente più alto sia di quanto prevale nell’eurozona sia di quanto non fosse prima della crisi del 2008-09. La disoccupazione giovanile, inoltre, non solo è salita considerevolmente di più del tasso di disoccupazione complessivo, ma manifesta ora maggiore difficoltà a ridursi: alla più recente verifica risultava pari al 35%, quasi il doppio della già elevata media dell’eurozona. Si tratta di un problema da affrontare con la massima determinazione, perché un fenomeno di tale gravità ha durevoli implicazioni negative sulla dinamica della produttività e dell’innovazione. Come giustamente sottolineato dal presidente della Bce Mario Draghi, prima che preoccupazioni di ordine economico, sono ragioni di giustizia e di etica sociale quelle che sollecitano decisi interventi su questo terreno.  

 

 

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La propensione al risparmio delle famiglie italiane ha subito negli anni della crisi una riduzione, che riflette la necessità degli italiani di attenuare le ricadute sui consumi determinate dall’ampia flessione del reddito disponibile. È un andamento che ha tentato di fornire un rimedio alle evidenti carenze del nostro sistema di welfare sociale. Purtroppo, si è trattato di una compensazione solo parziale, come testimonia l’aumento e l’allargamento delle realtà di povertà e di disagio sociale nel nostro Paese… Da alcuni trimestri il tasso di risparmio delle famiglie sta manifestando segnali di recupero - nel 2016 hanno risparmiato il 10,59% del reddito disponibile - tornando oltre la soglia delle due cifre. Secondo l’Istat il flusso lordo del risparmio è (ampiamente) al di sopra dei 100 miliardi di euro l’anno. Si tratta di un risparmio guidato soprattutto da motivazioni precauzionali, un orientamento che riflette l’ancora difficile situazione del mercato del lavoro, ove quasi 7 milioni di persone sono disoccupate o hanno un’occupazione a termine o con orario ridotto… È da sottolineare che a una caparbia volontà di risparmio gli italiani uniscono una tradizionale cautela nei confronti dell’indebitamento, che rimane nettamente inferiore a quanto riscontrabile nel resto dell’eurozona. Al netto dei debiti e degli immobili, il patrimonio finanziario degli italiani è di 3.240 miliardi di euro a fronte di un debito pubblico di 2.279 miliardi. Il risparmio è una delle condizioni che hanno sostenuto il nostro Paese nei momenti più difficili del recente passato. Se le nostre famiglie avessero livelli di indebitamento analoghi a quelli di altri paesi la vicenda italiana, già gravata da un enorme debito pubblico e dalla fragilità finanziaria di larga parte delle imprese, sarebbe stata decisamente più difficile da gestire… Il risparmio è realtà da maneggiare con particolare cura… Non può essere considerato sullo stesso piano dell’attività di investimento finanziario. Non dovrebbe mai verificarsi che il fallimento negli impieghi possa riguardare la totalità o gran parte dei risparmi di una persona. Protezione del capitale e liquidità sono per il risparmiatore due capisaldi irrinunciabili… L’Italia è uno dei pochi paesi che esplicitamente preveda nella sua Costituzione la tutela del risparmio (art. 47) e che quindi indichi questa esigenza come obiettivo non secondario dell’azione delle istituzioni… Negli anni più recenti, anche su questo terreno gli interventi hanno assunto una dimensione tendenzialmente più europea…  All’inizio del prossimo anno entrerà in vigore la cosiddetta Mifid 2. Si tratta di una normativa europea che rivede e amplia precedenti disposizioni (Mifid) in materia di prestazione dei servizi di investimento, di tutela degli investitori retail, di definizione dei servizi di consulenza indipendente, etc. Con la sua adozione si vuole aumentare la trasparenza delle negoziazioni, ma soprattutto la tutela degli investitori, tutela che dovrebbe aumentare anche sul fronte dell’informazione. Uno dei passi per raggiungere questo obiettivo sarà il cosiddetto KID (Key Information Document), un documento non più ampio di tre pagine, che dovrà contenere le informazioni chiave per aiutare qualunque tipo di  risparmiatore ad assumere decisioni d’investimento consapevoli… Dopo la negativa esperienza, anche sul piano informativo, dell’introduzione del “ burden sharing” e del “bail in” questa volta non è consentito sbagliare sul piano della comunicazione e del coinvolgimento dei risparmiatori. Sarebbe opportuna la redazione di un piano che coinvolga tutti i soggetti che sono tenuti a questo tassativo dovere di informare e accortamente consigliare. I cittadini devono essere attrezzati sempre meglio riguardo all’impiego dei propri risparmi. Considerata anche la crescente allocazione in organismi finanziari esteri, è importante che, con politiche adeguate, si riesca a “fissare” il risparmio nella nostra economia corrispondendo alla “ratio” dell’art.47 della Costituzione, che tutela questa risorsa collegandola direttamente allo sviluppo degli impieghi… Nel campo della finanza e degli investimenti pochi sono gli italiani che comprendono fino in fondo quello di cui si sta parlando. Quindi per la tutela del risparmio e della sua valorizzazione è fondamentale anche un miglior livello di alfabetizzazione finanziaria. Un primo importante passo al riguardo è l’approvazione dell’emendamento all’interno del Decreto Salva Risparmio per l’istituzione di una Cabina di regia che si occupi del tema, con l’auspicio di dare a questa branca dell’istruzione il rilievo dovuto nei programmi delle scuole di ogni ordine e grado.

 

 

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Il fenomeno della povertà assoluta coinvolge in Italia oltre 4,7 milioni di persone, delle quali 1,3 milioni sono minori (Istat, luglio 2017). Certamente positiva è stata la scelta del Governo nel 2016 di varare un apposito fondo strutturale per contrastarla e oggi la proposta di un reddito di inclusione.
Le Fondazioni di origine bancaria sono in campo da tempo per attenuare l’impatto della povertà sulle famiglie, con i loro numerosi progetti di welfare… È significativo che nel 2016 al welfare - che raccoglie i settori di Assistenza sociale, Salute pubblica e Volontariato – siano stati destinati 293 milioni di euro, pari al 28,5% delle erogazioni. A queste risorse vanno sommati i 120 milioni di euro specificatamente indirizzati al Fondo per il Contrasto della Povertà Educativa Minorile, generando così un ammontare complessivo di erogazioni per il welfare di 413 milioni di euro. Realizzato grazie a un accordo fra l’Acri e il Governo, con la collaborazione del Terzo settore, del volontariato e delle scuole, il Fondo è uno dei più importanti fra i progetti collettivi delle Fondazioni. Nel loro insieme lo alimentano con un contributo di 120 milioni di euro all’anno, per tre anni, a partire dal 2016, assistito da un credito d’imposta che il Governo ha loro riconosciuto, segno evidente dell’importanza strategica da esso attribuito all’iniziativa. Nel disegno di Legge di bilancio 2018 si riconosce alle Fondazioni (art.26) un credito d’imposta per tre anni (2019, 2020, 2021) del 65%, fino a un massimo di 100 milioni di euro all’anno, sulle loro erogazioni per il finanziamento di interventi e misure di contrasto alla povertà, al disagio di famiglie con minori, nonché di sostegno alla domiciliarità delle cure agli anziani e ai disabili. Si tratta di una misura che va a incidere positivamente su bisogni primari, incentivando l’impegno delle Fondazioni su un fronte quale quello del welfare di comunità sul quale sono già significativamente impegnate, che così potrà essere ulteriormente rafforzato e potenziato. Questo non è dunque un regalo alle Fondazioni, ma una misura che riconosce il loro ruolo in questo campo quali agenti di innovazione e di attivatori del Terzo settore. Dalla sua sperimentazione possono scaturire utili modelli di intervento per l’intero Paese, come è già avvenuto per l’housing sociale, che sperimentato sul campo da alcune Fondazioni è oggi un progetto nazionale, o il già citato Piano di contrasto alla povertà educativa minorile. Sono grato per questo al ministro Pier Carlo Padoan ed esprimo il più profondo apprezzamento per le priorità che il Governo, finalmente, ha ritenuto di affrontare, come il reddito di inclusione e il sostegno alle famiglie in povertà… La tenuta complessiva mostrata nei difficili anni di crisi appena superati testimoniano che l’Italia ha le energie necessarie per affrontare con successo le sfide che l’attendono. Tuttavia non dobbiamo dimenticare per il futuro che l’uomo non può vivere senza speranza. La speranza va garantita ai bambini che nascono, ai giovani, affinché possano costruire un domani migliore dell’oggi, agli anziani, che meritano una senilità serena.

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