Economia

Google, il padrone della pubblicità in Italia: l'11% dei ricavi finiscono a Mountain View. E le tasse?

Big G sempre più padrone. Ma così si depaupera il sistema editoriale e si rischia di far implodere il mondo dell'informazione

di Marco Scotti

Google, il padrone della pubblicità in Italia: l'11% dei ricavi pubblicitari finiscono a Mountain View. E le tasse?

Oltre undici punti percentuali di potere. È questa la fetta che Google si prende dal mercato pubblicitario italiano, una torta complessiva da 19,36 miliardi di euro. Per dirla senza giri di parole, il colosso di Mountain View si porta a casa circa 2,19 miliardi di ricavi. Nessuna rete televisiva privata, nessuna concessionaria di pubblicità riesce a competere. Soltanto la Rai, con la sua storia e il suo canone, tiene testa.

Ma qui non stiamo parlando solo di numeri. Stiamo parlando di un colosso che da anni guadagna miliardi in Italia, pur contribuendo pochissimo alle casse dello Stato. Nel 2020, dopo un’indagine durata anni, Google ha accettato di versare al fisco italiano quasi un miliardo di euro per sanare una maxi-evasione fiscale. Eppure, nonostante l’apparente stretta, continua a pagare solo poche decine di milioni di euro di tasse complessive ogni anno. Ridicolo, se paragonato ai profitti che macina sfruttando il nostro mercato.

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La situazione è grave. Non c'è un altro modo per dirlo. Mentre i media italiani si dibattono in una crisi cronica, tagliano personale e vedono crollare i loro ricavi, Google si appropria di oltre l'11% del mercato pubblicitario nazionale. Per cosa, poi? Per vendere inserzioni basate su algoritmi, su una rete globale che poco o nulla ha a che fare con l'Italia, le sue tradizioni o il suo tessuto culturale.

Questa è la fotografia di un sistema squilibrato. Google incassa, ma non restituisce. Non finanzia produzioni locali, non paga a sufficienza le tasse e, soprattutto, non contribuisce alla crescita del nostro ecosistema mediatico. È l’ennesimo esempio di come le Big Tech sfruttino il terreno fertile europeo senza rispettarne le regole o, meglio, approfittando della loro assenza.

La soluzione? Serve con urgenza una tassazione specifica per i colossi del web, che certifichi le loro attività in Italia. Non bastano i compromessi o le minime sanzioni che vediamo oggi. Dobbiamo andare oltre e pretendere che chi guadagna in Italia contribuisca in maniera equa al Paese. Questo non è solo un problema di giustizia fiscale: è una questione di sopravvivenza per il nostro mercato pubblicitario e per la pluralità dell'informazione.