Governo Lega-M5S, grane in arrivo per il settore bancario
I sindacati bancari mettono le mani avanti: il taglio dei costi è superato visto che gli utili sono in crescita
Se il buongiorno si vede dal mattino il rapporto tra il prossimo governo giallo-verde e il settore bancario sarà a dir poco problematico. Non solo le tensioni sui titoli di stato italiani, legate in gran parte alle ipotesi introdotte nel "contratto di governo" in merito alla possibile ridiscussione di alcune norme ormai basilari dell'unione bancaria europea (ed a tutela dei contribuenti tutti), come il "bail in" e i principi contabili di Basilea 2, hanno portato i titoli bancari quotati a Piazza Affari a perdere ampiamente terreno la scorsa settimana, seppure nel quadro di un andamento negativo dell'intero comparto in tutta Europa, ma ora anche i sindacati di categoria provano a puntare i piedi.
In una nota la Fabi, ad esempio, analizzando gli andamenti emersi dalle trimestrali, stima che nel 2018 le dieci maggiori banche italiane "potrebbero realizzare un monte utili di circa 10 miliardi di euro", lasciandosi finalmente alle spalle un decennio di crisi. Se "il taglio del costo del lavoro è stato centrale finora", commenta il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, "oggi è superato con la sterzata a livello di gestione".
Per Sileoni "è positivo il ritorno ai profitti delle banche in un settore che non ha risolto tutti i suoi problemi, ma sta sicuramente andando nella giusta direzione", quindi basta coi piagnistei: per i sindacati "quando si parla di troppi sportelli e troppi bancari si compie un clamoroso errore storico. Quei rapporti tra costi e ricavi visti in chiave europea dicono che l'Italia non è la Cenerentola. Al contrario siamo su livelli virtuosi".
Secondo la Fabi, infatti, le banche italiane mostrano ormai un'efficienza in linea con quella europea: nel Vecchio Continente il rapporto cost/income è mediamente pari al 65,7% in Italia appena al di sotto di tale valore (al 65%). Non solo: risultano meno efficienti dell'Italia paesi come la Germania (86%), la Francia (70%) o la Svizzera (80%), mentre solo le banche inglesi fanno meglio di quelle italiane, con un rapporto pari al 61%. Insomma: qualunque cosa voglia fare il nuovo governo, fa capire il sindacato dei bancari, non potrà chiedere ulteriori sacrifici ai lavoratori.
Il problema è che il nascente governo di Lega e M5S non sembra avere le idee molto chiare in tema di credito, tanto da invertire il rapporto causa-effetto quando parla della norma del "bail in" (varata non a caso dopo la crisi greca per evitare di addossare agli stati, ossia ai contribuenti, oneri legati almeno in parte a situazioni di azzardo morale) come di causa della "destabilizzazione del credito in Italia con conseguenze negative per le famiglie, che si sono viste espropriare i propri risparmi che supponevano essere investiti in attività sicure".
Lo stesso documento afferma che tali norme andrebbero riviste "drasticamente" "per una maggior tutela del risparmio degli italiani", giustamente notando come occorrerebbe "responsabilizzare maggiormente sia il management che le autorità di controllo in quanto primi responsabili di eventuali dissesti, anche attraverso l'inasprimento delle pene esistenti". Va tuttavia ricordato che in nessuna dei casi di crisi attraversati dal sistema creditizio italiano si sarebbe potuto porre concreto rimedio ex post a situazioni di mala gestione o di andamento avverso dei mercati inasprendo le pene sugli aministratori più o meno infedeli o su autorità più o meno vigili, dovendosi semmai cercare di migliorare le pratiche per individuare ex ante le situazioni di potenziali crisi onde prendere per tempo gli adeguati provvedimenti.
Incongrua pare poi la manifestata volontà di estendere anche "ai piccoli azionisti delle banche oggetto di risoluzione" il "diritto a un risarcimento, anche parziale": le azioni sono infatti per definizione asset a rischio, dunque prevedere una qualsivoglia forma di risarcimento (salvo casi di dolo o colpa grave, che in ogni caso anche la legislazione atuale preveda possano essere sanzionati) per chi decide consapevolmente di investire in tale asset class ne altererebbe significativamente il profilo rischio/rendimento, tra l'altro creando una disparità rispetto all'investimento in azioni di altre società che di tale "ombrello" non godrebbero.
Se poi la proposta di separare le attività creditizia da quelle di banca d'investimento incontra il plauso di più di un analista, la misura stessa rischia peraltro di incidere sulla già modesta redditività delle banche tricolori, visto che proprio le attività legate al risparmio gestito, a quello previdenziale e alle polizze assicurative sono tra le attività più lucrose. C'è dunque il rischio concreto che le banche debbano uscire dai business più sani nel momento in cui stanno appena lasciandosi alle spalle una crisi severa, senza tra l'altro che il governo nascente abbia accennato al tema, questo sì molto sensibile per le banche (non solo italiane) dello smaltimento degli Npl.
Un fronte dal quale, dopo le ultime pulizie di bilancio "a marce forzate" imposte da Bce e dalla Ue alle banche italiane servirebbero "negoziatori forti" per guadagnare tempo o quanto meno non dover accelerare ulteriormente il passo, mentre, temono alcuni operatori, un governo di coalizione potrebbe marciare "diviso", finendo con l'accettare anche "risoluzioni più severe" proprio mentre manifesta la volontà in materia di recupero forzato del credito di "sopprimere qualunque norma che consenta di poter agire nei confronti dei cittadini debitori senza la preventiva autorizzazione dell'autorità giudiziaria".
Ultimo ma non meno importante: coi sindacati che sembrano intenzionati a presentare il conto di dieci anni di "tregua" e mentre in nome della maggior tutela dei risparmiatori si potrebbe cambiare il quadro normativo in termini meno favorevoli per le banche italiane, lo spread continua ad allargarsi risentendo della debolezza dei titoli di stato italiani nonostante l'intervento sui mercati della Bce (intervento che però potrebbe terminare già a settembre e comunque entro fine anno-primi mesi del 2019). A pesare sui Btp italiani è un punto rimasto fuori dal contratto di governo di Lega e M5S, ma du cui continuano a giungere dichiarazioni da parte del responsabile economico della Lega, Claudio Borghi, i "mini Bot" attraverso i quali lo stato dovrebbe saldare i propri debiti coi fornitori.
Come fanno notare gli analisti, ad esempio di Credit Agricole, il rischio è che tali strumenti siano un modo per dribblare le regole comunitarie, ovvero per creare di fatto, come notano gli esperti di ING, una sorta di valuta parallela, che già la Grecia, nota Bny Mellon, aveva pensato di introdurre per poi fare rapidamente marcia indietro. Con tutti queste incognite la redditività delle banche italiane sembra destinata a rimanere a rischio, così pronosticare che dal settore bancario possano venire i primi grattacapi per Matteo Salvini e Luigi Di Maio per persino troppo semplice.