Economia

Great Resignation, dagli Usa all’Italia: la fuga di massa dal posto di lavoro

di Marta Barbera

Lasciare tutto senza un piano B sicuro: il fenomeno scoppiato oltreoceano post pandemia che getta le basi per un nuovo approccio al mondo professionale

The Great Resignation, le dimissioni volontarie scoppiate negli Stati Uniti post Covid-19

Prendere in mano la vita senza più essere costretti a subirla. Mollare tutto senza necessariamente avere un piano B sicuro. Negli Stati Uniti la chiamano Great Resignation, in Italia grande fuga dal posto di lavoro. Si tratta dell’ondata di dimissioni volontarie scoppiata oltreoceano dopo la pandemia, cresciuta nei mesi successivi e letteralmente divampata nell’estate del 2021. Solo nel mese di agosto oltre quattro milioni di persone, ovvero quasi il 3% della forza lavoro degli States, ha lasciato il proprio posto di lavoro. Se si somma anche luglio il dato è di oltre 8,3 milioni. 

Cifre sorprendenti che hanno travalicato Stati e settori: dalla ristorazione alla consulenza, dalle aziende famigliari alle grandi multinazionali, sempre più americani hanno deciso di rivoluzionare modo di vivere e pensare, partendo dalla seconda casa, ovvero l'ufficio, seguendo differenti priorità, tra le quali benessere fisicosalute mentale e flessibilità. 

Secondo i dati del Dipartimento del Lavoro, il tasso di dimissioni è cresciuto al 2,9% dell’intera forza lavoro, con un aumento di 242mila unità rispetto al mese precedente, quando era del 2,7%, e ai livelli più alti da quando esistono le serie storiche, cioè dal dicembre del 2000. In particolare, secondo quanto ricostruito dal Fatto Quotidiano, si sono registrati 892mila abbandoni nel settore dei servizi di alloggio e ristorazione, dato in crescita di 157mila unità rispetto a luglio, 721mila dimissioni nel commercio al dettaglio e 155mila nell’ingrosso, rispettivamente in crescita di 39mila e 26mila unità, altre 579mila persone hanno lasciato i loro impieghi nella sanità e nell’educazione, mentre si sono contati oltre 700mila abbandoni nei servizi professionali e di business e 300mila nel manifatturiero.

The Great Resignation, le grandi dimissioni di massa, rappresentano infatti un fenomeno che riguarda un po' tutti: dagli addetti ai lavori dei ranghi più alti delle banche d'affari come Bank of America, Goldman Sachs e Morgan Stanley, alle grandi catene della ristorazione e i retailer come McDonald’s, Chipotle e Costco. In particolare, secondo il Washington Post che ha attribuito l’etichetta di Great Resignation a un docente della Texas A&M University, Anthony Klotz, in alcuni settori, sono i proprietari a invitare i clienti, attraverso dei cartelli, a trattare bene i dipendenti, onde evitare ulteriori addii da parte del personale.

Datore di lavoro e lavoratori: la portata del fenomeno non è più marginale, tocca ormai entrambe le sponde. L'indagine “Future of Work” di PricewaterhouseCoopers, che ha intervistato più di 1000 dipendenti full-time e part-time negli Usa e 752 dirigenti aziendali, riportata dal FQ, ne è una prova: se da un lato oltre sei lavoratori su dieci sono alla ricerca di un nuovo impiego, quasi il doppio rispetto al 36% registrato a maggio dalla stessa indagine, l'88% dei dirigenti aziendali conferma indirettamente la tendenza a una mobilità record dei lavoratori, affermando di vedere in azienda un ricambio di personale superiore alla norma.

Ma che cosa spinge una persona a lasciare il posto di lavoro senza un piano B sicuro verso cui approdare? Le motivazioni sono varie, dalle più semplici alle più complesse, che si riflettono in un generale senso di malessere, maturato durante lo stato d'emergenza e scoppiato successivamente. Andiamo per gradi. C'è chi, banalmente, ha smesso di accontentarsi di paghe troppe basse, poca considerazione aziendale e team working poco umani, cogliendo l'occasione per evadere. 

C'è chi invece, più interiormente, ha iniziato a riflettere sul concetto stesso di lavoro: basta a giornate intere in ufficio, orari impossibili, doppi turni e straordinari non pagati. La vita è anche tanto altro. Molto spesso il problema principale è infatti il burnout: l'esaurimento mentale, fisico ed emotivo, tipico nei settori a stretto contatto con il pubblico quali salute, ristorazione e ospitalità. Infine c'è chi dopo il Covid 19 ha capito l'importanza del concetto di flessibilità lavorativa, smartworking e gestione indipendente del tempo: tutti elementi chiave alla base della grande fuga.  

(Segue...)