Economia

Infratel alza il velo sui bandi vinti da Open Fiber. Il nodo dei contributi

di Marco Scotti

La sentenza del Tar che chiede a Infratel di dare accesso agli atti di gara rischia di scatenare un putiferio

A questo punto si levano principalmente due domande. Sul sito di Infratel si legge che il Governo italiano ha scelto di sostenere, tramite fondi nazionali (FSC), fondi comunitari (FESR e FEASR, assegnati dalle Regioni al Ministero dello Sviluppo Economico in base ad accordi Stato-Regioni) e fondi regionali, un modello ad “intervento diretto”, autorizzato dalla Commissione Europea ai sensi della disciplina sugli aiuti di Stato. “L’intervento pubblico in tali aree è ritenuto necessario per correggere le disuguaglianze sociali e geografiche generate dall’assenza di iniziativa privata da parte degli operatori e consentire, pertanto, una maggiore coesione sociale e territoriale, mediante l’accesso ai mezzi di comunicazione tramite la rete a banda ultra larga”.

Ora, poiché però il ritardo c’è – come testimoniato dalle sanzioni – la domanda è: al di là delle multe, il contributo pubblico rimane invariato o è sceso? E poi, proprio perché il servizio stenta a decollare, quale dovrebbe essere il prezzo “wholesale”, cioè b2b da applicare?

Nella sentenza del Tar si leggono altri passaggi degni di nota, poiché si fa riferimento a una modifica strutturale degli accordi già siglati con Open Fiber. In particolare si legge nel dispositivo del tribunale amministrativo che “l’istanza di accesso di Fastweb lungi dall’avere un contenuto meramente esplorativo, trova il suo fondamento in una serie di modifiche in concreto apportate ai documenti oggetto di pubblicazione e che dagli stessi documenti pubblicati tuttavia non emergono in modo manifesto, quali quelle concernenti: il cronoprogramma, in quanto OF avrebbe richiesto una proroga di ben 3 anni per la costruzione dell’infrastruttura; la riduzione delle unità immobiliari da interconnettere mediante l’infrastruttura da realizzare in concessione, che sarebbe di consistenza superiore al 20%, senza l’evidenza che a tale riduzione sia conseguita una riduzione proporzionale dell’aiuto pubblico da corrispondere al concessionario; la copertura offerta da OF in termini di banda e di tecnologia, su cui non vi sarebbe adeguata chiarezza; l’infrastruttura ottica Ftth (la cui realizzazione rappresenta il principale obiettivo dell’intervento pubblicamente finanziato), inoltre, pare essere stata molto ridimensionata, riconvertendo su tecnologia Fwa (Fixed wireless access) moltissimi Comuni; la qualità delle opere in via di realizzazione, essendovi il dubbio che essa corrisponda a quella prevista dalla concessione; i punti di consegna neutri (Pcn), ossia le centrali locali ottiche di Open Fiber dove si attestano gli altri operatori, inizialmente previsti in circa 600 per le aree ricomprese nelle prime due gare e che sarebbero stati aumentati fino a circa 3.000; le norme tecniche allegate alla documentazione di gara, che definivano con maggiore dettaglio le prestazioni e le modalità di realizzazione dell’infrastruttura, i collaudi, l’esecuzione della concessione e le relative verifiche”.

Ora, in attesa di leggere gli accordi siglati, non rimane che un’urgenza da chiarire: il piano “Italia Digitale” voluto dal ministro per l'Innovazione Tecnologica e la Transizione Digitale Vittorio Colao prevede che entro il 2026 il nostro Paese debba avere una connessione veloce (con la famosa neutralità tecnologica e quindi non solo tramite fibra), dando però l’addio a modalità vetuste come il FTTC (Fiber To The Cabinet) o, peggio ancora, il rame. Sul digitale l’Italia si gioca l’osso del collo, non ci sono più margini d’errore.