Economia

"Intesa mette le basi per trasformarsi in fintech. Ora garanzie contrattuali"

di Andrea Deugeni

Lando Sileoni, il segretario generale della Fabi, il sindacato più grande nel settore bancario, commenta con Affaritaliani il nuovo piano industriale di Intesa

"Negativa la chiusura degli sportelli. Si lascia terreno a Banco Posta"

"Con il nuovo piano industriale, Intesa punta a creare attraverso il digitale un nuovo modello di business in una banca che potrà trasformarsi, nel tempo, se lo vorrà, in una fintech". Lando Maria Sileoni, il segretario generale della Fabi, il sindacato più grande nel settore bancario, commenta così, in una intervista ad Affaritaliani.it, la decisione del gruppo guidato da Carlo Messina di dar vita a una nuova banca tutta digitale, Isybank, all'interno della Galassia Intesa. Scelta che però per Sileoni richiederà "garanzie contrattuali sia a livello di gruppo sia a livello di contratto nazionale, perché una trasformazione del genere non può essere gestita senza certezze e regole definite e condivise".

L'INTERVISTA

Oggi Intesa-Sanpaolo ha presentato il nuovo piano industriale. Prima di entrare nel merito, cerchiamo di inquadrare le novità del gruppo guidato da Carlo Messina nel contesto più generale. Cosa sta succedendo nel settore bancario italiano ed europeo, anche dal suo osservatorio della Fabi?
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Il settore bancario italiano, quello tradizionale, si trova al centro di una profonda trasformazione che dovrà attuare nel più breve tempo possibile. Le banche italiane hanno l’obiettivo di non deprimere ulteriormente la profittabilità, già bassa, se confrontata con il mercato europeo e con i grandi gruppi bancari internazionali. È una visione, questa, che non condividiamo, ma con la quale siamo costretti, come sindacato, a confrontarci. La pandemia ha impresso una forte accelerazione ai cambiamenti: non parlerei di cambiamenti di modello di banca, ma piuttosto di un radicale cambiamento di modello di business. Questo è un passaggio politico fondamentale con i quali tutti i gruppi bancari dovranno confrontarsi. Inoltre, i bassi tassi di interesse, se non interverrà in tempi brevi la Bce, potrebbero permanere ancora a lungo e i mercati ritengono obsoleta la presenza delle reti di distribuzione fisica delle banche che dovranno anche adeguarsi ad un miglioramento delle strutture informatiche".
 

Carlo Messina Lando Maria Sileoni

Carlo Messina e Lando Maria Sileoni


 

E poi ci sono i colossi del tech...
"Sì, la grande concorrenza bussa alle porte e i gruppi bancari ne hanno il timore: sono i nuovi operatori come Amazon, Facebook e Google che hanno l’obiettivo di conquistare fette di mercato. Le grandi società tecnologiche, in questo contesto, continuano a esercitare forti pressioni sulla redditività bancaria".

E il fintech? Come potrà avere un impatto negativo sul settore bancario?
"Lo sviluppo del fintech è l’altro argomento che sta impattando fortemente nel settore bancario. Ma occorrono competenze e investimenti che non sono alla portata di tutte le banche italiane. Gli investimenti in tecnologia assumono un ruolo primario per gestire efficacemente i rischi, per offrire nuovi servizi, anche attraverso una organizzazione del lavoro più efficiente. Questo è il quadro generale e quindi ora le banche, come Intesa e UniCredit che per prime hanno presentato il piano industriale, si accingono ad affrontare una nuova era, quella digitale, che nei prossimi anni cambierà il volto di un settore che in questo momento è alle prese con la definizione di strategie e di altri piani industriali che a breve arriveranno. Chiaramente, ci sono gruppi bancari più reattivi e altri un po’ in affanno, ma tutti sanno perfettamente che dovranno interessarsi di intelligenza artificiale, cloud, big data o di fintech".
 

Carlo  Messina  Lando Maria Sileoni
 

Il lavoro ne soffirà ovviamente...
"Le lavoratrici e i lavoratori bancari sanno bene che gli sportelli bancari e l’erogazione di servizi finanziari stanno subendo e subiranno profondi cambiamenti. Le agenzie, le filiali diventeranno centri di servizi che favoriranno la gestione di attività relazionali, spero a valore aggiunto, e di operazioni più complesse. Cresceranno inevitabilmente nuovi punti di contatto, dove clienti e consulenti potranno dialogare per parlare di assicurazioni, risparmio e prestiti. La riduzione dell’uso del contante e degli assegni provocherà, inevitabilmente, secondo i vertici delle banche, una riduzione degli sportelli. Cambierà insomma il modo di gestire il cliente e la banca si trasformerà in una piattaforma digitale con tutta una serie di servizi da offrire. Big data e intelligenza artificiale si adatteranno alle esigenze e ai bisogni di determinati clienti. La banca digitale avrà effetti sui profitti delle banche soprattutto perché obbliga la banca stessa a ridisegnare il proprio modello di business. Ecco perché prima ho parlato di storico cambiamento del modello di business e non del modello di banca. La digitalizzazione ridurrà i costi, sposterà i ricavi verso gli operatori in modo più efficiente ed efficace perché si cercherà di soddisfare i bisogni dei clienti sempre più evoluti e digitalizzati anche per la necessità che la pandemia ha imposto nei comportamenti.

Ma non ci sono rischi che la digitalizzazione sostituisca il fattore umano?
"La differenza fra noi e le banche è proprio questa: la presenza qualificata del bancario non potrà mai essere sostituita dall’intelligenza artificiale. Dal nostro punto di vista è indispensabile che le banche ridisegnino il loro assetto organizzativo e gestionale perché per mantenere i propri clienti in un contesto così aspro di concorrenza sarà fondamentale la professionalità e la competenza dei dirigenti di banca, nessuno escluso. Reattività e flessibilità diventeranno i punti cardinali per gestire i cambiamenti di mercato, i nuovi concorrenti, per migliorare la redditività che resta l’elemento indispensabile ed essenziale per il mantenimento dell’autonomia economica della banca. La parola magica per noi della Fabi sarà la seguente: la digitalizzazione non è e non sarà mai una questione di sola tecnologia, peraltro non sempre in possesso delle sole banche, ma di persone. Ripeto: di persone e di processi innovativi, di investimenti, di competenze per cambiare in meglio un’organizzazione del lavoro che va adeguata al nuovo contesto. Il fattore tempo risulterà strategico perché il cambiamento deve prevedere programmi di formazione per la crescita e la revisione delle competenze individuali e anche perché tecnologia e persone rappresentano una potente combinazione per trasformare il modo di fare business. Le banche italiane che si stanno muovendo verso la digitalizzazione e la specializzazione delle attività puntano molto sul fattore tempo, fare presto e bene, ma secondo me si tratterà di un percorso di medio-lungo periodo soprattutto se rapportato ai tempi di risposta del settore rispetto ai cambiamenti. Le banche, quindi, dovranno sfruttare le affinità esistenti tra le attività quotidiane delle persone, delle filiali e del contatto diretto con il cliente con le attività digitali. La digitalizzazione nell’insieme determinerà nuovi posti di lavoro e conseguenti aumenti di produttività, ma anche contraccolpi per chi vedrà scomparire la nuova mansione e potrebbe non disporre di adeguate competenze per trovare nuova occupazione. Questo è un passaggio fondamentale, perché tutte le lavoratrici e i lavoratori bancari devono sapere che, come Fabi, non lasceremo mai indietro nessuno. E che gestiremo tutti i cambiamenti per non permettere alle banche di approfittare di un contesto a loro favorevole, a danno dei lavoratori.

E il nuovo piano industriale presentato oggi da Intesa, va incontro alle aspettative che ci ha appena descritto?
"Credo che il piano industriale di Intesa si fondi su tre pilastri industriali e un quarto pilastro più innovativo e più sociale: il primo è il derisking, cioè la riduzione del rischio di credito; il secondo è la riduzione dei costi; il terzo è l’aspetto digitale. Il quarto pilastro è l’attenzione verso l’ambiente, il sociale e i principi di governance. Quest’ultimo aspetto sarà attentamente considerato anche dalla nostra iniziativa Banking Social Index, con la quale misureremo quanto le banche fanno realmente per contrastare la povertà. Per quanto riguarda la riduzione dei rischi di credito, Intesa vuole arrivare il più vicino possibile a quota zero, cioè zero Npl in bilancio. Se raggiungerà questo obiettivo, arriverà a essere tra le prime tre banche in Europa, ma contemporaneamente si pone, politicamente, come punto di riferimento della stessa Bce che da tempo chiede alle banche italiane un importante alleggerimento degli npl nei loro bilanci. Le altre banche saranno costrette a fare lo stesso: se lo fa Intesa, gli altri gruppi dovranno adeguarsi, soprattutto perché Intesa traccerà con ancora più determinazione la direzione già dichiarata da parte della Bce sull’argomento npl. È chiaro che nello scenario italiano il tema delle aggregazioni rimane sempre attuale. I gruppi bancari, in Italia, si guardano fra di loro con una certa diffidenza e nei piani industriali sono e saranno previsti dei correttivi in corso d’opera anche a seconda, non solo del buon esito dello stesso piano, ma delle mosse e delle decisioni degli altri gruppi concorrenti".

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