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Economia
L'addio di Palenzona: cosa c'è dietro le dimissioni del banchiere alessandrino

L’addio al veleno di Palenzona e la crisi delle Fondazioni

Fabrizio Palenzona ha chiuso la riunione del consiglio d'amministrazione della Fondazione Crt, annunciando le sue dimissioni via Teams. Ma il messaggio era chiaro come il sole. L'esplosione di rabbia del presidente uscente, con accuse sibilanti e scambi di missive velenose, ha scosso le fondamenta della Fondazione torinese. Lo rivela Affari&Finanza.

Prima è emerso un patto segreto tra alcuni consiglieri, persino suoi alleati, poi il segretario generale della Fondazione, Andrea Varese - un pupillo di Palenzona - ha deciso di passare gli atti al Mef; le dimissioni di Varese, in pratica "sfiduciato" dal consiglio per questo gesto, hanno preceduto l'addio del presidente.

Un addio spettacolare, destinato a generare conseguenze altrettanto spettacolari: il coinvolgimento del Mef e il trasferimento del dossier alla Procura rendono sempre più probabile l'ipotesi di un commissariamento. Ma cosa si rimprovera al presidente, che solo un anno fa aveva preso il timone della Fondazione torinese con il suo solito stile - manovre sotterranee, negazione di ambizioni, costruzione silenziosa del consenso, seguita da un blitz fulmineo - pur essendo legato all'ente per tre decenni, anche se fino all'anno scorso non ne aveva mai guidato le sorti? Pare sia stato un bel po' di cose.

Dalla gestione quasi feudale degli affari interni, servendosi del suo "cerchio interno", accuse cui Palenzona stesso ha risposto sdegnato parlando di "insinuazioni infami su di me e sui miei collaboratori". Al ruolo della Fondazione, visto in chiave "glocale", che prevedeva investimenti in vigneti innovativi nella sua provincia natale di Alessandria, ma anche nella non troppo lontana Banca del Fucino, fino all'aumento della quota in Generali, che ora rappresenta il terreno più caldo nella mappa spoglia della geopolitica finanziaria italiana. Sostanza e stile, entrambi sotto accusa nei confronti di Palenzona. Non che le Fondazioni bancarie, compresa la Crt, fossero o diventeranno delle associazioni di beneficenza, distaccate da ogni interesse terreno. Ma i modi a volte bruschi del banchiere-politico alessandrino, il suo incessante attivismo nel tessere relazioni e cercare posizioni di rilievo hanno convinto alcuni consiglieri, così come gli stakeholder principali della Fondazione (e alcuni dei suoi colleghi alla guida di altre entità), che il metodo Palenzona, efficace nelle sue precedenti incarnazioni, stavolta non stava funzionando.

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Come nel caso della vicepresidenza dell'Acri, a cui Palenzona ambiva dopo che la presidenza era stata assegnata a Giovanni Azzone, una figura che porta il nome di Fondazione Cariplo ma si legge Giuseppe Guzzetti. Incontri, promesse, e poi forse qualche passo falso e mancanze nella comunicazione di Palenzona. Il momento cruciale è arrivato quando è stato il momento di reclamare la presidenza, ma il re di Torino è stato bruscamente scaraventato giù dal tavolo, lasciando al suo posto un jolly di nome Giacomo Spissu, presidente della Fondazione Banco di Sardegna, una realtà molto più piccola.

Purtroppo, lo stile che il presidente sembrava aver perso non abbonda nemmeno tra i consiglieri "ribelli" della Fondazione, che hanno colto l'occasione della sua uscita per accaparrarsi una serie di incarichi locali. Una mossa che potrebbe spingere ulteriormente verso il commissariamento. La tragedia di Palenzona, che si vede crollare addosso le colonne del suo tempio a via XX Settembre - una coincidenza amara, visto che l'indirizzo torinese ha lo stesso nome di quello romano del Mef - rischia non solo di seppellire la Fondazione che ha servito, ma di scuotere l'intero mondo delle fondazioni bancarie, ibridi tra pubblico e privato, al centro di un dibattito in sospeso da vent'anni.






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