Economia

L'ANPAL servirà a qualcosa o conterà zero come i Centri per l'impiego?

di Piero Righetti

Secondo gli ultimi comunicati ufficiali il numero dei disoccupati starebbe lentamente diminuendo per effetto - proclama quasi quotidianamente il Governo - della bontà dei vari provvedimenti di legge che compongono il Jobs act e della ripresa della nostra economia, anch'essa dovuta (ma guarda un po'!) allo stesso Governo.

A parte il fatto che su questa ripresa dello "zero-virgola" incide positivamente anche la ripresa, oltre tutto più evidente, dell'economia internazionale, va sottolineato che la diminuzione del numero delle persone senza lavoro è anche la diretta conseguenza dell'aumento - questo sì purtroppo concreto ed accertato - del numero di coloro che rinunciano ad iscriversi negli elenchi dei disoccupati tenuti dai Centri per l'impiego perché ritengono che questa iscrizione a tutto possa servire tranne che ad ottenere un'occupazione.

E questo è proprio uno dei punti fondamentali del problema disoccupazione in Italia. Questi uffici, la cui sola riforma effettiva degli ultimi 30-40 anni è stata quella del cambio del nome (quello storico era Uffici di collocamento), sono complessivamente quasi 600 e le persone che ci lavorano quasi 10.000, per un costo complessivo di circa 500 milioni di euro l'anno, 3/4 dei quali spesi per pagare gli stipendi.

Secondo gli ultimi dati ufficiali i Centri per l'impiego riuscirebbero a trovare un lavoro soltanto al 3% circa del totale degli iscritti nelle liste dei disoccupati, e cioè soltanto alle persone che hanno titolo al collocamento obbligatorio. Un fallimento completo ed assurdo se rapportato al dramma reale, quotidiano di chi ha un bisogno disperato di un'occupazione e se comparato alla efficienza, vera, degli Uffici del lavoro di nazioni come la Germania, la Francia o la stessa Spagna che pur ha una percentuale di disoccupazione doppia della nostra. E' vero che la spesa pubblica per i servizi sul mercato del lavoro era qui in Italia, nel 2014, dello 0,03 per cento del P.I.L., era cioè meno di 1/10 di quella della Germania e 1/8 di quella della Francia e della Spagna. Ma è vero pure che i nostri Uffici del lavoro da sempre non funzionano. Basta andare una mattina in uno qualsiasi di questi uffici: desolazione, confusione, lunghe code per ottenere l'esenzione dal ticket sanitario, sconti sull'abbonamento all'autobus o diritto ad essere inserito nelle graduatorie per un alloggio popolare.

Ecco, a parte alcune eccellenze in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Toscana, a questo soltanto servono i Centri per l'impiego! Ne è ben consapevole il Governo che, proprio allo scopo di modificare radicalmente questa quasi totale inefficienza e inutilità, ha dedicato un apposito decreto (il 150 del 14 settembre u.s.) al riordino dell'intera normativa in materia di servizi per il lavoro, istituendo, a far tempo dal 1° gennaio 2016, un nuovo Ente, l'Agenzia Nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), cui vengono affidati, oltre a quello del coordinamento di tutti gli altri soggetti competenti in questa materia (Centri per l'impiego, Agenzie private, Inps, Inail, Isfol, Italia Lavoro, Camere di Commercio, Università, ecc.), numerosi ed importanti compiti per la gestione dell'intero mercato del lavoro.

L'ANPAL dunque dovrà (o dovrebbe?) svolgere un ruolo davvero fondamentale per ridurre effettivamente il numero dei disoccupati e di chi è in cerca di un primo o di un diverso lavoro. Un ruolo certamente gravoso e reso particolarmente difficile almeno per quattro importanti motivi:

a) la sua azione, negli aspetti più rilevanti, è subordinata al preventivo controllo e/o consenso del Ministero del Lavoro;

b) i compiti da svolgere dovrebbero essere realizzati entro termini non perentori ma soltanto ordinatori, dunque già lo stesso decreto istitutivo ne consente slittamenti e rinvii;

c) la realtà entro la quale dovrà operare è quanto mai complessa e confusa, in ordine alle competenze dei vari soggetti pubblici con cui dovrà necessariamente confrontarsi (Regioni, Province anche se abolite, Comuni ed altre realtà territoriali, Camere di Commercio, Ordini Professionali, ecc.);

d) il finanziamento del mercato del lavoro nel suo complesso, l'incontro domande-offerte di lavoro, l'elenco dei lavoratori che fruiscono di ammortizzatori sociali, l'effettiva disponibilità ad accettare un posto di lavoro o un corso di formazione, o l'eventuale motivato o immotivato rifiuto, sono subordinati alla creazione di un sistema informatico nazionale in grado di colloquiare in tempo reale con gli archivi elettronici e i sistemi informatici di Regioni, Comuni, Inps, Inail, Camere di Commercio, ecc., archivi e sistemi molti dei quali già esistenti ma con cui è stato finora quasi impossibile collegarsi per problemi di incompatibilità tecnica o di "non volontà" politica.

Dunque un quadro davvero confuso, spesso fatiscente o troppo complesso sia per problemi di competenze non chiare e spesso sovrapposte, sia per problemi di inefficienza e inadeguatezza come quelli che caratterizzano gli attuali Centri per l'impiego.

L'obbligatorietà di istituire una rete e un archivio informatico nazionale è stata stabilita ormai da almeno 25/30 anni, mentre la regola che chi non accetta un posto di lavoro o un corso di formazione "congruo" decade immediatamente dal diritto di fruire dell'indennità o del trattamento previdenziale che gli è stato concesso esiste da sempre, ma in realtà non è stata mai osservata, tranne rarissime eccezioni, proprio perché gli archivi informatici oggi esistenti non servono a questo scopo e gli uffici che dovrebbero attuare questa regola non hanno o non vogliono avere la "forza" per dichiarare ed applicare questa decadenza.

Dunque una realtà, almeno fino ad oggi, tutt'altro che rassicurante. Ma i mezzi giuridici per modificarla ci sono, oggi forse molto più di ieri. Ma serve una effettiva volontà di far funzionare finalmente e in modo adeguato una macchina amministrativa pubblica che finora non ha certo dato molte dimostrazioni di efficienza e di efficacia.

Un'ultima annotazione: dopo più di 20 anni in cui competenze e poteri in materia di politica attiva del lavoro sono stati decentrati e quasi del tutto delegati alle Regioni e alle Province autonome sulla base di disposizioni spesso confuse e contraddittorie, il decreto 150 compie un vero e proprio dietrofront riservando poteri di controllo, di supervisione e di indirizzo su tutte le questioni più importanti al Ministero del Lavoro e all'ANPAL, al fine, dichiarato, di assicurare sull'intero territorio nazionale una omogeneità di indirizzi, di criteri base e di servizi.

Si tratta di una forma di neo-centrismo e di neo-statalismo che si ispira essenzialmente al modello organizzativo in vigore in particolare in Germania, dove però da sempre la pubblica amministrazione si caratterizza per la rapidità e la funzionalità dei propri interventi. Un'ulteriore complicazione dunque, credo di poter concludere, sulla via che bisogna seguire per realizzare anche da noi una rete di servizi di politica attiva del lavoro finalmente adeguata alle esigenze del nostro mercato.