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Economia

Rettifica delle stime dell'UE: PIL italiano rivisto, prospettive differenziate per il 2023 e il 2024

La Commissione Europea ha recentemente pubblicato le sue più recenti previsioni economiche d'autunno, apportando modifiche significative alle prospettive di crescita e inflazione per l'Italia e l'intera Unione Europea. Secondo le nuove previsioni, l'attesa di crescita del Pil italiano nel 2023 è stata rivista al ribasso, passando dal precedente 0,9% all'attuale 0,7%. Tuttavia, vi è una prospettiva più positiva per il 2024, con un aumento delle aspettative dallo 0,8% precedente al 0,9%. La Commissione prevede inoltre una crescita dell'1,2% nel 2025 per l'economia italiana. Parallelamente, le stime sull'inflazione vedono un aumento al 6,1% per il 2023 (rispetto al 5,9% precedentemente previsto) e al 2,7% nel 2024 (in ribasso rispetto al 2,9% stimato in precedenza), con una proiezione al 2,3% per il 2025.

Secondo la Commissione Ue i crediti del superbonus, il taglio dei sussidi all’energia, la norme per il taglio del cuneo fiscale, l’indicizzazione delle pensioni e i pre-pensionamenti e l’aumento dei tassi d’interesse e gli investimenti legati al Pnrr sono gli elementi chiave che influenzano i conti italiani. Nel dettaglio, “l’espansione dell’accumulo di capitale, spinta dai crediti d’imposta per la ristrutturazione delle abitazioni nel 2021-22, si è interrotta bruscamente nel secondo trimestre del 2023, quando i crediti sono diventati significativamente meno generosi”.

Nel 2024, i consumi privati sono destinati a riprendersi, insieme alla prevista ripresa dei redditi disponibili reali grazie a un aumento dei salari nominali più rapido rispetto ai prezzi al consumo. Con la graduale eliminazione dei crediti d’imposta che gravano pesantemente sugli investimenti immobiliari, la formazione di capitale fisso lordo è pronta ad essere sostenuta dal previsto lancio di investimenti sostenuti dal Pnrr , in particolare in progetti digitali e verdi. Grazie al commercio globale in leggera espansione, le esportazioni nette dovrebbero contribuire positivamente alla crescita annua del Pil.    

Nel 2025, si prevede che il Pil reale acceleri leggermente, sulla scia di un continuo aumento della spesa in conto capitale, influenzato solo in parte da un ulteriore calo degli investimenti immobiliari. Nonostante il conseguente aumento delle importazioni di beni d’investimento, l’ulteriore miglioramento atteso delle condizioni commerciali dovrebbe sostenere le esportazioni. Si prevede che i consumi pubblici aumenteranno la domanda interna privata, poiché i contratti salariali pubblici per il periodo 2022-24 sono destinati ad aumentare.    

E’ più delicato il capitolo dei conti pubblici. Nel 2023, il deficit pubblico dovrebbe scendere al 5,3% del Pil(dall'8,0% nel 2022), sostenuto da un calo della spesa per interessi, legato all'impatto della minore inflazione sulle obbligazioni indicizzate, e da un tasso annuo previsto dello 0,5% di crescita della spesa primaria, inferiore rispetto alla crescita del Pil nominale. La riduzione del costo di bilancio delle misure volte ad attenuare l’impatto degli elevati prezzi dell’energia (1,0% del Pil rispetto al 2,4% nel 2022) e dei crediti d’imposta sugli immobili (1,8% del Pil rispetto al 2,8% nel 2022) è parzialmente compensato da una maggiore spesa pensionistica, dall’indicizzazione all’inflazione registrata nel 2022, e da un aumento degli investimenti, legati anche all’attuazione del Piano di ripresa e resilienza. Si prevede che la crescita economica guiderà la crescita delle tasse correnti, che sono tuttavia influenzate da ulteriori tagli al cuneo fiscale sul lavoro per i lavoratori a reddito medio e basso e da minori entrate Iva sull’energia importata.

Nel 2024, si prevede che il deficit scenda al 4,4% del Pil, a seguito della progressiva eliminazione delle misure energetiche e dell’impatto nullo dei crediti d’imposta sull’edilizia abitativa, anche a causa dei cambiamenti legislativi. Allo stesso tempo, questa previsione tiene conto di nuove misure con un aumento complessivo dell’impatto sul deficit pari a circa lo 0,7% del Pil. Si prevede che ulteriori tagli al cuneo fiscale sul lavoro porteranno le entrate correnti a crescere al di sotto della crescita del Pil nominale.

La spesa primaria comprende l’indicizzazione delle pensioni all’elevata inflazione del 2023, la proroga e la modifica di specifici programmi di prepensionamento, in parte compensati da alcuni risparmi derivanti dalla revisione della spesa (0,1% del Pil), mentre la continua mobilitazione dei fondi del Recovery è destinata a sostenere investimento. Si prevede che il costo del servizio del debito salirà al 4,2% del Pil a causa dei tassi di interesse più elevati per le nuove emissioni obbligazionarie.   Si prevede che il deficit nominale diminuirà marginalmente al 4,3% del Pil nel 2025. La previsione comprende la proroga al 2025 dei tagli al cuneo fiscale sul lavoro, un ulteriore aumento delle retribuzioni pubbliche per il periodo contrattuale 2022-24 e un ulteriore aumento del pagamenti di interessi.   

Si prevede che il rapporto debito/Pil diminuirà leggermente al 139,8% del Pil nel 2023, per poi aumentare nuovamente al 140,9% entro il 2025 poiché il differenziale tra crescita economica e tasso di interesse diventerà meno favorevole e il saldo primario diventerà marginalmente positivo solo nel 2025.    L'occupazione è destinata a aumentare notevolmente di nuovo nel 2023, ma più lentamente nei prossimi due anni, mentre si prevede che le ore medie lavorate diminuiranno marginalmente dal picco post-pandemia del 2022. Si prevede che il tasso di disoccupazione continuerà a diminuire nell'orizzonte previsto, anche grazie al previsto calo della popolazione in età lavorativa e nonostante i tassi di partecipazione ancora in aumento.

LEGGI ANCHE: Pil, Istat: crescita zero nel terzo trimestre. L’Italia di Meloni si ferma

Inflazione: Istat, ad ottobre -0,2%, +1,7% su anno

A ottobre 2023 si stima che l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, registri una diminuzione dello 0,2% su base mensile e un aumento di 1,7% su base annua, da +5,3% nel mese precedente (la stima preliminare era +1,8%). Lo rileva l'Istat.

La consistente decelerazione del tasso di inflazione si deve prevalentemente al forte rallentamento su base tendenziale dei prezzi degli Energetici, sia non regolamentati (da +7,6% a -17,7%) sia regolamentati (da -27,9% a -31,7%) e, in misura minore, di quelli degli Alimentari non lavorati (da +7,7% a +4,9%) e lavorati (da +8,9% a +7,3%). Tali effetti risultano solo in parte compensati dall’accelerazione dei prezzi dei Servizi relativi all’abitazione (da +3,7% a +4,0%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +3,8% a +4,0%).

L’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi rallenta anch’essa (da +4,6% a +4,2%), così come quella al netto dei soli beni energetici (da +4,8%, registrato a settembre, a +4,2%).
Si arresta la crescita su base annua dei prezzi dei beni (nulla la variazione tendenziale da +6,0%), mentre quella dei servizi resta stabile (a +4,1%), riportando il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni su valori ampiamente positivi (+4,1 punti percentuali, dai -1,9 di settembre), prosegue l'Istat. Rallentano ulteriormente in termini tendenziali i prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona (da +8,1% a +6,1%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +6,6% a +5,6%).

La diminuzione congiunturale dell’indice generale si deve principalmente ai prezzi degli Energetici non regolamentati (-1,9%), dei Servizi culturali, ricreativi e per la cura della persona (-0,9%) e dei Servizi relativi ai trasporti (-0,6%); tali effetti sono stati solo in parte compensati dall’incremento dei prezzi degli Energetici regolamentati (+13,8%) e dei Servizi relativi all’abitazione (+0,4%). L’inflazione acquisita per il 2023 è pari a +5,7% per l’indice generale e a +5,1% per la componente di fondo. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) aumenta dello 0,1% su base mensile e di 1,8% su base annua (in netta decelerazione da +5,6% di settembre); la stima preliminare era +1,9%. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi), al netto dei tabacchi, registra una diminuzione di 0,1% su base mensile e un aumento di 1,7% su base annua.

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