Economia

La Cina crea il terzo listino azionario: Borsa a Pechino per le Pmi innovative

di Andrea Deugeni

Le mosse per il controllo dei dati e della sicurezza nazionale e lo sviluppo dei mercati dei capitali

Da una parte, la controffensiva legislativa per stoppare le quotazioni estere (specie a Wall Street) dei propri gioielli tecnologici, in particolare quelli che veicolano dati sensibili. Universo corporate che vale la cifra astronomica di due trilioni di dollari. Dall’altro, la creazione di una nuova borsa valori cinese, alternativa a quelle di Shanghai e Shenzhen, a Pechino allo scopo di incoraggiare le aziende del Dragone a quotarsi sul suolo nazionale piuttosto che oltre confine per favorire la redistibuzione della ricchezza e il ridimensionamento della potente lobby degli affari in Mainland China.

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La Cina prosegue nella sua azione a tenaglia volta a limitare le ambizioni e gli sbarchi esteri di società nazionali per riasserire il proprio controllo e sviluppare i propri mercati dei capitali in modo che servano l'economia reale e in particolare gli obiettivi di sviluppo a lungo termine. Azione che dopo il varo (del 17 agosto) da parte della Cybersecurity Authority of China delle linee guida sul trattamento di dati sensibili inseriti nei prospetti informativi, con il potere di autorizzare o no la quotazione e l’entrata in vigore della legge cinese sul trattamento dei dati personali sta per introdurre, secondo quanto anticipato dal Wall Streeet Journal, un'ulteriore stretta alle Ipo fuori dal colosso d’Oriente: la China securities regulatory commission (CSRC) potrà infatti vietare addirittura la quotazione tout court di aziende attive in determinati settori considerati ultrasensibili per la sicurezza cinese.

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L’offerta alternativa che Pechino intende dunque mettere a disposizione soprattutto per le piccole e medie imprese dall’alto tasso di innovazione è quello di un ulteriore listino nella capitale del Paese, un canale di finanziamento a basso costo e con procedure semplificate. "Continueremo a sostenere lo sviluppo innovativo delle piccole e medie imprese, lanciando la borsa di Pechino”, ha spiegato lo stesso presidente cinese Xi Jinping nel suo intervento in video-conferenza alla cerimonia di apertura della Fiera internazionale per il commercio dei servizi (Ciftis).

Il cuore del fenomeno a cui Xi vuole mettere un freno conta 248 società cinesi, che sono quotate sul listino newyorkese del rivale americano, un valore di borsa che quest'anno ha raggiunto i 2.100 miliardi. Moltiplicatosi da meno di cento dieci anni or sono e da una manciata di miliardi un ventennio fa, stando agli ultimi calcoli ufficiali dell'organismo federale United States-China Economic and Security Review Commission. La tech cinese NetEase, quotata dal 2000, ha messo a segno, per esempio, guadagni tuttora del 15.000%, contro il 10.000% di Amazon nello stesso periodo.

Ancora nel 2020 la fame di titoli cinesi è stata evidente: i loro collocamenti sui mercati dei capitali per eccellenza, quelli americani, sono stati 32, massimo decennale, rastrellando oltre 12 miliardi, record dal 2014. La market cap targata Cina, certo, per le borse americane può apparire circoscritta a fronte di un tesoro complessivo da 46.000 miliardi di dollari. Con le prime dieci società della potenza asiatica quotate in America che comprendono influenti leader da Alibaba a Tencent, da JD.com a Pinduoduo.  Colossi che con la stretta in corso in madrepatria hanno bruciato miliardi di capitalizzazione. 

@andreadeugeni