Economia
Le tasse? Si possono diminuire, ma bisogna tagliare la spesa
Si possono diminuire le tasse, ma finché non si taglia la spesa non si può tagliare l’entrata.
Immaginiamo un uomo estremamente pigro e misantropo che vive di una piccola pensione. Pur di non uscire di casa e di non vedere gente, per sopravvivere incarica di far la sua spesa e le sue commissioni un vicino di casa. Costui è molto disponibile, ma si fa pagare caro i suoi servizi. Il pensionato è combattuto dall’eterno dilemma se dare una buona parte del suo misero reddito al vicino, pur di rimanere tranquillo a casa, o avere finalmente il coraggio di alzarsi dalla sua poltrona e fare da sé le sue commissioni. Una cosa è certa: o incarica il vicino, e lo paga profumatamente, o si dà da fare da sé, senza aspettare l’aiuto di nessuno. È la situazione del cittadino col fisco.
La leggenda corrente è che i servizi dello Stato siano gratuiti, o quanto meno pagati dai ricchi a favore dei poveri. La realtà è del tutto diversa. Più compiti si affidano allo Stato, più cara sarà la bolletta che dovranno pagare i poveri, proprio perché costituiscono la grande massa dei contribuenti. Vantaggi e svantaggi sono indissolubilmente legati. Chi vuole gli uni deve tenersi anche gli altri. E chi rinuncia agli uni deve rinunciare anche agli altri. Non si avrà mai una riduzione del carico fiscale se prima non si riducono le spese. Né fare debiti è una soluzione, perché quei debiti poi i contribuenti (o i loro figli) dovranno pure pagarli. Comprendere questa situazione è essenziale per comprendere il problema della riforma fiscale.
Lo Stato – qualunque Stato – non ha entrate proprie. Tutto ciò che fa, che sia utile o inutile, necessario o sbagliato, provvidenziale o rovinoso (come ad esempio una guerra) lo fa a spese dei cittadini. E non potrebbe essere diversamente. Perché, quando prova ad improvvisarsi imprenditore, di solito finisce con l’operare in perdita. E dunque, ancora una volta, a spese dei cittadini. Questo schema è ineluttabile.
Per questo è assurdo parlare astrattamente di “diminuire la pressione fiscale”, come fanno tutti i governi, incluso l’attuale. La pressione fiscale non è una variabile indipendente. Non la si può aumentare o diminuire senza che ci siano importanti conseguenze sulla vita economica del Paese. Se la si aumenta, lo Stato si appropria una percentuale ancora maggiore della ricchezza prodotta dai cittadini, col rischio di deprimere l’economia o addirittura farla andare in crisi; se la si diminuisce, dopo avere racimolato ciò che si può racimolare facendo delle economie e razionalizzando (nella misura in cui ne è capace) l’Amministrazione, è fatale che si debbano tagliare le spese e diminuire i servizi.
A titolo di esempio, si possono aumentare le tasse scolastiche, quelle universitarie e addirittura quelle delle scuole primarie e medie, mantenendone obbligatoria la frequenza; si possono non sovvenzionare i trasporti pubblici urbani ed extraurbani; si può fornire una minore quantità di medicinali a prezzo politico; si possono aumentare di molto i ticket ospedalieri. Insomma si può adottare tutta una serie di provvedimenti che vanno fondamentalmente in due direzioni: o l’aumento del contributo dei cittadini per la fruizione dei servizi, o la loro abolizione in quanto statali, rimettendone la fornitura al mercato. Ovviamente a titolo oneroso.
Se i governi promettono una diminuzione delle tasse senza parlare dell’inevitabile riduzione dei servizi, si comportano da truffatori. Quando fanno la loro pubblicità, i produttori di automobili mostrano i loro modelli, li vantano perfino in maniera lirica, ma concludono indicandone il prezzo. E se non ne parlano, è perché il loro modello “alto di gamma” si rivolge a compratori che non hanno problemi di denaro. Mentre lo Stato vanta le sue “automobili” come se contasse poi di regalarle. In queste condizioni non stupisce che poi non mantenga le promesse.
I governi dovrebbero proporre la diminuzione della pressione fiscale abbinandola alla lista del taglio delle spese. Se i cittadini l’accettassero, si procederebbe nella direzione indicata. Se non l’accettassero, si smetterebbe di parlare di diminuire le tasse. Perché questa è l’unica alternativa. Al massimo i politici potrebbero spiegare ai cittadini una cosa ovvia e tuttavia largamente ignorata: i servizi forniti dallo Stato non sono “gratuiti”, come sembrano. Sono costosi e sono pagati da tutti, salvo gli evasori. Se dunque lo Stato si astiene dal fornirli, è vero che i cittadini dovranno pagarseli (stavolta inclusi gli evasori) ma devono ricordare che li pagavano anche prima, e probabilmente più cari. Perché i produttori privati agiscono in regime di concorrenza, e il nostro Stato è un amministratore inefficiente.
I cittadini dovrebbero togliersi dalla testa la leggenda delle tasse pagate soltanto dai ricchi e dei servizi forniti gratis ai poveri. Perché la stragrande percentuale degli introiti dello Stato è fornita dai lavoratori a reddito fisso e dalle imposte indirette che colpiscono tutti, e dunque soprattutto i poveri, perché sono i più numerosi.
Ché se poi, pur avendo cercato in tutti i modi di spiegare quanto sopra, i cittadini rimanessero contro la diminuzione delle tasse, almeno si potrebbe dire che gli italiani pagano le tasse che vogliono pagare, ed hanno il fisco che vogliono avere. Per il Ministro delle Finanze, dopo tanti insulti e tante amarezze, sarebbe una grande soddisfazione
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