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Economia
Mediaset, Goldman Sachs vede nero. Ecco perché la redditività può frenare

Una "redditività sostenibile" alla luce della strategia sui diritti del calcio e sulla pay tv, ma quattro fattori pesano sull'andamento futuro del titolo Mediaset. Un report di Goldman Sachs sul Biscione, emesso poco dopo la chiusura del bilancio Mediaset e la comunicazione dei risultati al mercato, abbassa il target price sul titolo da da 4,32 a 3,79 euro, confermando la raccomandazione neutral. Un'analisi che per il momento non ha scoraggiato gli investitori a Piazza Affari dove le azioni del gruppo di Cologno Monzese, controllato dalla famiglia Berlusconi, viaggia ampiamente sopra la parità, portando a casa quasi mezzo punto percentuale a 3,652 euro. 

Fra i fattori che possono frenare la redditività della società, Goldman Sachs cita l'outlook sulla pubblicità che risulta essere "più debole del previsto", il minore valore strategico dell'asset pay tv (gli analisti hanno abbassato le loro valutazioni da 500 a 100 milioni di euro), "una più ridotta probabilità di M&A dopo la decisione dell'Agcom" sul fatto che Vivendi dovrà scendere nel capitale o di Telecom Italia o di Mediaset. Merger sul cui appeal speculativo la Borsa, dall'attacco di Vincent Bollorè sul finire dello scorso anno, aveva scommesso molto.  

Infine, secondo gli esperti della banca d'affari americana, il consumo di cassa di Mediaset Premium, la pay tv finita al centro dello scontro con il colosso francese Vivendi, "resterà significativo fino a metà del 2018", facendo salire il debito del gruppo nel 2017. Quanto basta per spingere Goldman a ridurre le stime sui ricavi (giù del 2-11%) e a far salire del 15%/34% sull'Ebita. L'earning per share (Eps) è visto ora a 0,15 euro nel 2017 (da 0,11 euro), a 0,24 euro nel 2018 (da 0,15) e a 0,28 euro nel 2019 (da 0,20).

Intanto, a proposito del minore appeal speculativo del titolo Mediaset, il mercato è certo che fra il Biscione e Telecom, Bollorè sceglierà di sotterrare l'ascia di guerra nella contesa con i Berlusconi. Tant’è che il gruppo presieduto dal finanziere bretone è pronto a giocarsi all’assemblea Telecom del 4 maggio la possibilità di aggiudicarsi i due terzi dei posti in consiglio e affermarsi come controllante di fatto. È del resto logico che Vivendi voglia salvaguardare soprattutto l’investimento sull’incumbent delle tlc, dove oggi conta una minusvalenza potenziale superiore al miliardo, cercando di farsi riconoscere un premio di maggioranza. 

Far valere la propria quota all’assemblea Telecom avrà riflessi anche sul lato Mediaset, in conseguenza della delibera Agcom. Nei dodici mesi di tempo che l’Authority ha concesso a Vivendi per mettersi in regola, sciogliendo l’intreccio, non potrà comunque essere violata la legge. Questo significa che se Vivendi voterà all’assemblea Telecom con la quota “piena”, non potrà poi presentarsi all’assemblea Mediaset di fine giugno col 29,9% dei diritti di voto, ma dovrà restare sotto al 10%. Come? Non necessariamente vendondo, ma anche sterlizzando la percentuale di capitale posseduta eccedente il 10%, visto che la delibera Agcom non impone la vendita della quota in eccesso (o in Telecom o in Mediaset), perché rilevano soltanto i diritti di voto. 

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