Economia
Mps-Mediobanca, Piazzetta Cuccia indossa i guantoni: lo scenario
Mediobanca boccia l'offerta di Mps ma il vero obiettivo non è Siena, ma il duo Delfin-Caltagirone, in vista dell'assemblea dell'8 maggio di Generali che si preannuncia infuocata
Mps-Mediobanca, Piazzetta Cuccia boccia l'offerta del Monte: ecco che cosa c'è dietro
Mediobanca indossa i guantoni per difendersi dall'Ops di Mps. Ma il vero obiettivo non è Siena, ma il duo Delfin-Caltagirone, in vista dell'assemblea dell'8 maggio di Generali che si preannuncia infuocata. Dietro le schermaglie finanziarie si nasconde uno scontro molto più profondo, che vede contrapporsi la strategia consolidata di Mediobanca alla crescente pressione dei soci forti. Una risposta di vigore inusitato rispetto all'understatement cui Piazzetta Cuccia aveva abituato il mercato. E, soprattutto, una strategia che non ha convinto la Borsa, visto che il titolo di Mediobanca, dopo giorni in rally, ha chiuso pesantissimo con oltre il 4% lasciato sul campo. Segno che gli investitori non hanno molto apprezzato il nuovo capitolo della saga.
La mossa di Mediobanca di rigettare con fermezza l'Ops di Mps, definendola "non in linea con gli interessi degli azionisti", è solo la punta dell'iceberg. Il vero terreno di battaglia è Trieste, dove la partita per Generali è ancora tutta da giocare. Caltagirone e Delfin, con una nota tanto breve quanto dura, hanno lanciato l'accusa di essere stati messi nell'angolo, nonostante le aperture iniziali verso un possibile dialogo. Il nodo? La pervicacia con cui Mediobanca continua a sostenere la linea del tandem Donnet-Sironi, ignorando le richieste di un cambio di passo da parte dei grandi azionisti. Questi ultimi, che si sono chiusi nel silenzio più assoluto, come avranno reagito al comunicato di Piazzetta Cuccia? Secondo quanto risulta ad Affaritaliani.it a Roma come a Milano serpeggia un misto di incredulità e irritazione. Perché, è la tesi dei due grandi soci, si tratta di un attacco gratuito a due soggetti che hanno messo in Mediobanca centinaia di milioni (per carità, debitamente remunerati) ma che non hanno parlato della vicenda Ops di Mps. "Una caduta di stile" ci dicono fonti vicine al dossier.
Il problema di fondo è la gestione di Generali, in particolare la joint venture con Natixis, che da molti è vista come un simbolo delle debolezze strategiche del gruppo. Philippe Donnet ha difeso a spada tratta l'alleanza, parlando di "grandi opportunità di sinergia". Ma Delfin e Caltagirone non ci stanno: per loro, l'accordo rappresenta un altro esempio di come Mediobanca, attraverso Generali, continui a muoversi in una logica autoreferenziale, lontana dalle reali necessità del mercato e, soprattutto, degli azionisti, accusandola anche di essere stata al contempo azionista di riferimento di Generali e advisor dell'operazione.
La questione è chiara: Mediobanca sembra più interessata a preservare il suo controllo indiretto su Generali che a rispondere alle richieste di rinnovamento strategico avanzate dai soci forti. E questo, per Caltagirone e Delfin, è inaccettabile. I due azionisti, che insieme rappresentano una fetta significativa del capitale di Generali (e sono pronti a salire ulteriormente sopra al 20% del totale), hanno più volte sottolineato la necessità di una guida più indipendente, capace di rompere con il passato e guardare al futuro con maggiore ambizione.
Ma Mediobanca, fedele alla sua tradizione, ha scelto di giocare in difesa, e con gni probabilità ribadirà i nomi di Donnet e Andrea Sironi e chiudendo la porta a qualsiasi compromesso. Una strategia che potrebbe rivelarsi rischiosa in vista dell'assemblea dell'8 maggio. Perché se è vero che Mediobanca ha dalla sua una solida rete di alleati, è altrettanto vero che il malumore tra i soci forti sta crescendo, e con esso la possibilità di una spaccatura all'interno del gruppo. In particolare bisogna capire che cosa vorranno fare la Fondazione Crt e il gruppo Benetton, detentori di un 6% del capitale del Leone che può avere un peso significativo. Tra l'altro, va ricordato che i tempi tecnici per la presentazione della lista del cda iniziano a essere stretti e il rischio è che alla fine sarà Piazzetta Cuccia a presentare i nomi.
La sensazione è che Mediobanca stia giocando una partita a scacchi, dove ogni mossa è calcolata per mantenere il controllo su Generali. Ma il rischio è che questa strategia finisca per alienare il supporto di soci importanti come Caltagirone e Delfin, mettendo a rischio la stabilità stessa del gruppo. L'assemblea di maggio sarà il banco di prova decisivo per Piazzetta Cuccia. Se Donnet e Sironi riusciranno a mantenere le redini del gruppo, sarà una vittoria di Pirro, con i soci forti che dal giorno dopo inizieranno a cannoneggiare? O sarà l'inizio di una nuova fase, magari con Caltagirone che metterà sul tavolo un nome forte come quello di Matteo Del Fante? Il ceo di Poste, d'altronde, già due volte ha incrociato le sue strade con il costruttore romano: una prima quando ha deciso di intervenire nel capitale di Mediobanca comprando una quota piccola ma significativa. La seconda quando ha comprato azioni di Anima per stoppare qualsiasi velleità francese nella Sgr che vede una partecipazione importante proprio di Caltagirone. Insomma, sembra proprio che i destini dei due siano legati a doppio filo.
E tra l'altro, per Del Fante - al terzo mandato in Poste dopo la direzione generale di Cdp e la guida di Terna (in quota Matteo Renzi) - si tratterebbe di una mossa ulteriormente importante perché gli permetterebbe da una parte di lasciare spazio al direttore generale Giuseppe Lasco, che da tempo preme per diventare ceo di Poste; dall'altra perché farebbe un importante scatto di carriera anche in ottica remunerativa. Ma non è tanto una questione di soldi, ma di potere e prestigio. Nel 2022 la scelta di Caltagirone di puntare su Luciano Cirinnà si rivelò errata perché il manager non aveva grande appeal. Del Fante, invece è decisamente più attraente per tutt quei fondi istituzionali che dovranno pronunciarsi. E che, dopo la scelta della joint venture Natixis-Generali (con poche garanzie sulla governance dei capitali conferiti dal Leone) non sono più così convinti delle scelte di Donnet. Una cosa è certa: il dado è tratto, e le prossime settimane saranno decisive per il futuro di Trieste e di chi ambisce a guidarla.