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I Poteri Corti – La velocità che (si) paga

di Redazione Corporate

Il ruolo delle fintech e dei tassi d’interesse elevati: tra costi insostenibili e la necessità di una pianificazione finanziaria più solida per le imprese locali

Credito e Fintech: la sfida tra banche tradizionali e nuove tecnologie per il futuro delle PMI Italiane

Come riportato da Marco Travaglini su L'Identità: tempo fa, parlando del ruolo delle banche di sistema – definite da apposita legislazione, nonché da specifiche circolari della Banca d’Italia – abbiamo fatto due conti, soprattutto operativo-sociali, sulla loro sempre minore vicinanza (fisica) ad un’impresa locale e territoriale, spaesata dalla lontananza del loro direttore storico di riferimento.

Un altro tema importante nel mondo del credito di oggi riguarda il mercato finanziario legato alle banche e finanziarie digitali (definito fintech), completamente opposto ad una logica territoriale e di sistema, e le cui caratteristiche di prodotto sono connesse ad un elemento di servizio espresso, praticamente, in termini di velocità di esecuzione: quella di analisi iniziale, quella di raccolta automatica di dati/documenti e quella di valutazione, affidata a sistemi di alta tecnologia (principalmente intelligenza artificiale).

Tutto ciò si dovrebbe posizionare con un elemento di disintermediazione forte nel mercato che, però, non avviene praticamente mai.

Quanto sopra determina un costo enorme di accesso al credito, definito in tassi di interessi annuali e globali molto elevati – in ragione del rischio che prende la fintech stessa (spesso soggetti finanziari poco solidi, che necessitano di aumentare i prezzi per generare coperture di rischio maggiori, per compensare l’insufficienza patrimoniale) – e fatto lievitare da spese di consulenza e mediazione creditizia, che portano i TAEG a valori stratosferici, anche superiori al 20%.

Per non parlare delle garanzie fideiussorie che appesantiscono il ruolo dell’imprenditore e, ancor più, del problema legato ai fondi di garanzia statali, chiamati a coprire un elevato e sempre più frequente (e diffuso) rischio di insolvenza.

Un sistema, quello delle fintech, che sfrutta l’incapacità programmatica di un imprenditore che arriva sempre a valle e all’ultimo momento a chiedere credito; non pianifica investimenti; non calcola momenti di discontinuità operativa sempre più frequenti; non parte con, né aumenta, un capitale che potrebbe essere di grande aiuto nella gestione di un’impresa ormai incapace di sopravvivere con il solo valore del lavoro e della (im)produttività.

Bisogna fare ragionamenti più profondi e più radicali sul nostro sistema produttivo e finanziario e capire quanto sia divenuto necessario dare solidità ad imprese non solo con elementi di controllo (vedi la nuova normativa sulla crisi di impresa) – che sono certamente essenziali ma che danno l’impressione di intervenire sempre a valle – quanto, soprattutto, con elementi e fondamenti aprioristici di programmazione, struttura e capitali necessari.

È dunque fondamentale stimolare, con strumenti tecnici e culturali, la messa in gioco di capitali privati di famiglie e investitori per bilanciare il problema di un sistema bancocentrico di debito e fornire solidità a realtà in preda a frequenti momenti di discontinuità e costrette ad inevitabili quanto continui investimenti in innovazione.

Fonte: L'Identità