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Mercato e assetti proprietari. Calvosa (Eni): "Creare valori a lungo termine"
Montanino (CDP): "Per la ripresa del Paese alle aziende serve una struttura finanziaria solida per fare investimenti e di avere altro debito per farne di nuovi"
Bocconi ed Equita, il webinar per analizzare l’impatto delle caratteristiche dell’azionariato sulla performance delle società quotate
Un evento per discutere di mercato dei capitali e assetti proprietari, soprattutto in chiave di ripartenza del Paese. “Shareholders’ ownership characteristics of Italian listed companies: do they really matter for performance?” è il titolo del webinar organizzato in cui stata presentata, da Stefano Caselli, Prorettore per gli affari internazionali e Algebris Chair in Long-term Investment and Absolute Return, e Stefano Gatti, Antin IP Associate Professor of Infrastructure Finance, la ricerca realizzata dal Centro di Ricerca BAFFI Carefin dell’Università Bocconi in collaborazione con Equita.
Tra gli obiettivi della ricerca quello di analizzare se la struttura proprietaria delle imprese italiane quotate sia rilevante ai fini della performance aziendale e, più in dettaglio, se e quali indicatori di performance siano associati alle caratteristiche degli azionisti che detengono più del 2% di diritti di voto. La ricerca ha identificato sette classi di azionisti (Associazione/Fondazione, Family Office, Istituzione Finanziaria, Stato, Gruppo Industriale, Persona Fisica e Trust). Cinque gli indicatori presi in considerazione per valutare la performance: due di mercato (il prezzo e il beta dell’azione) e tre di crescita (il Return on Equity - ROE, il Return on Net Assets - RONA e la variazione annuale del numero di dipendenti). In una prima parte la ricerca ha voluto indagare se alle diverse classi di azionisti fosse associato un più elevato livello di performance. Nella seconda parte invece ci si è posti l’obiettivo di capire come un investitore “chiave” (“fulcrum shareholder”) – laddove presente – influenzi la performance.
A inaugurare l’evento, moderato da Sebastiano Barisoni (Vicedirettore Radio 24), è stato Gianmario Verona, Rettore dell’Università Bocconi: "Viviamo in un momento storico in cui si parla molto di capitale umano e di ricerca ma molto spesso alle parole non seguono i fatti. Credo che la partnership strategica, che è stata messa in campo ormai da sette anni con Equitas, sia una bellissima dimostrazione di come anche il privato possa aiutare a supportare oltre alle risorse che il pubblico mette in campo, ricerca e formazione. Si parla di mercato di capitali, il tema è particolarmente sentito e importante per il nostro Paese dove l’ecosistema legato al mercato dei capitali richiederebbe una miglior valorizzazione e quindi tutte le analisi, le indagini e le statistiche che ci consentono di capire meglio alcune relazioni sono particolarmente significative e potenzialmente utili ai fini dell’implementazione. Affrontiamo oggi un tema anche di moda: il tema della governance, della relazione tra governance e performance, il tema della struttura dell’azionariato delle imprese quotate e la relazione con la performance".
La prima parte dell’analisi ha evidenziato che il ruolo dell’imprenditore è cruciale: la percentuale di voto detenuta dalla categoria “Persona Fisica” è positivamente associata al prezzo, al ROE, al RONA e alla variazione dell’organico. La categoria “Family Office” è positivamente associata al prezzo e la categoria “Istituzione Finanziaria” al RONA. La percentuale di voti detenuti dall’azionista “Gruppo Industriale” è positivamente associata al prezzo e alla variazione del numero di dipendenti. Per le restanti tre categorie (Associazione, Stato e Trust) non sono state rilevate evidenze significative.
La seconda parte dell’analisi, focalizzata sulla presenza del fulcrum shareholder, ha confermano l’importanza dell’azionista “Persona Fisica”, nuovamente e positivamente associato a prezzo, ROE, RONA e variazione dei dipendenti. Quando la categoria “Family Office” è fulcrum, l’associazione è positiva anche con la variazione di dipendenti, oltre che, come già dimostrato prima, con il prezzo. Quando un “Gruppo Industriale” funge da azionista “chiave”, l’associazione è positiva con il beta (che indica quindi una maggiore rischiosità del titolo), con il prezzo e con la variazione del numero di dipendenti. Quando lo “Stato” possiede più del 20%, l’associazione è positiva con il prezzo; infine, quando un “Trust” è fulcrum shareholder, l’associazione è positiva con il prezzo e con la variazione di dipendenti. Per le categorie “Associazione” ed “Istituzione Finanziaria” non sono state trovate associazioni significative.
Dai dati raccolti si evince che l'assetto proprietario delle imprese italiane è caratterizzato da un alto grado di concentrazione proprietaria e dall'esistenza di azionisti di controllo – o, comunque, da una presenza pervasiva di azionisti con sostanziale potere di voto – e in entrambe le analisi la presenza di un azionista di controllo presenta una associazione positiva con il prezzo e negativa con il beta, indice di una minore rischiosità. L’analisi mostra che un azionariato concentrato non è necessariamente negativo ai fini della performance. La presenza di un imprenditore o di una famiglia proprietaria ha un effetto positivo sui risultati aziendali, coerentemente con quanto affermato da studi precedenti che dimostrano come un azionariato stabile nel tempo sia fondamentale per ridurre i costi di agenzia e per garantire al management il supporto necessario per il perseguimento di strategie di lungo periodo.
Le scelte di politica economica che si profilano dovranno confrontarsi con tre variabili fondamentali come la crescita del PIL, la crescita del debito pubblico e la stabilità delle banche. Il paper presentato oggi include dunque alcune proposte concrete tra cui la proposta di capitalizzare in modo generalizzato tutte le imprese perché il rilancio passa attraverso un'azione decisa e capillare di capitalizzazione; spingere proprietari e azionisti di qualunque tipo di impresa ed esercizio commerciale a investire una parte del loro risparmio nelle proprie imprese; intervenire sul capitale delle aziende di maggiori dimensioni e su quelle ad alto potenziale di sviluppo; ancorare il mantenimento della garanzia statale a fronte della concessione del credito bancario ad una logica di capitalizzazione; aumentare la dimensione delle imprese per permettergli di investire in innovazione, sviluppo e ricerca e per consentire di attrarre talenti e generare indotti e filiere; consolidare la “diplomazia economica”, centrale per interagire, sostenere e rendere più visibile la politica estera del paese; attrarre imprese dall’estero con un meccanismo di riduzione dell'aliquota fiscale per un certo numero di anni e subordinato alla crescita, agli investimenti e, soprattutto, alla creazione di occupazione.
Durante il webinar si è tenuta una tavola rotonda a cui hanno partecipato esponenti di rilievo come Lucia Calvosa (Presidente Eni), Andrea Montanino (Chief Economist Cassa Depositi e Prestiti), Francesco Perilli (Presidente Equita Group) e Davide Serra (Amministratore Delegato e Fondatore di Algebris).
"La strategia di impresa è una strategia volta alla creazione di valori di lungo termine, perché lo Stato naturalmente non ha una vocazione speculativa - ha raccontato Lucia Calvosa, Presidente di Eni -. Lo Stato determina anche il controllo e una certa stabilità dell’assetto azionario, non solo per la golden share. E’ istituzionalmente incline a perseguire gli interessi della collettività, quindi non è volto soltanto al perseguimento dello shareholder value, ma sicuramente anche a quello dello stakeholder value. Questo consente di realizzare quella strategia di impresa sostenibile che è particolarmente favorita in questo momento. Ora la creazione di valore nel lungo termine caratterizza non soltanto il sistema di governance di Eni, ma anche il modello di business e la sua mission, allineata con il perseguimento di una strategia a lungo termine della transizione energetica equa. Se la prospettiva è a lungo termine, significa che gli interessi degli azionisti sono convergenti con quelli degli stakeholder e non in conflitto. In definitiva direi che si allinea perfettamente con quello che già la Costituzione ci ha insegnato e additato, dicendo che l’iniziativa economica privata, e quindi l’iniziativa di impresa, deve essere coniugata con l’utilità sociale".
"Per la ripresa del Paese dovremo avere delle imprese più capitalizzate - ha spiegato Andrea Montanino, Chief Economist CDP Cassa Depositi e Prestiti -. Aziende italiane con una struttura finanziaria solida per intraprendere degli investimenti in sostenibilità, innovazione, digitalizzazione, internazionalizzazione, per avere la possibilità di fare investimenti e di avere altro debito per fare gli investimenti. Spesso, le aziende che sono già all’interno di filiere internazionali e hanno un ruolo strategico all'interno di queste filiere, si portano dietro tutte e piccole aziende che lavorano per quel fornitore che a sua volta lavora per una grande azienda, una multinazionale estera. Il Fondo Italiano d'Investimento, che ha come azionisti sia il pubblico che il privato, col private equity e circa 400 milioni di euro, che CDP ha messo in questo fondo di Fondi, i fondi investiti a sua volta nel portafoglio del Fondo Italiano hanno una massa di 5 miliardi di euro. Questo è un esempio virtuoso di come il denaro di origine più o meno pubblica riesca a convogliare denaro privato. Per fare questo bisogna avere un progetto credibile".
"Se guardiamo a 20-30 anni fa - ha affermato Davide Serra, Amministratore Delegato e Fondatore di Algebris -, il modello di public company era avvantaggiato perché aveva investitori storici, in case di investimento di cinquanta, ottanta, cento anni, dove c’erano fan manager con esperienza pluriennale focalizzati su un solo settore e con grande competenza industriale. In più, c’era una logica in Europa statalista con poca trasparenza, che di fatto portava più trasparenza e accountability. Perché il modello di public company oggi ha fallito? Perché il 60% di equity oggi al mondo è detenuta dai fondi passivi, che per costrutto non votano e non decidono. Hanno un azionariato concentrato dove c’è dietro un imprenditore, e in questo il modello Italiano è molto interessante. Ad esempio Eni: ha 20 anni e su un ciclo di vent’anni per un dollaro speso, rispetto alle grandi sorelle, ha trovato 3 volte petrolio e gas. Il fatto che le loro competenze tecnico-scientifiche abbiano venti anni in più rispetto a tutti gli altri player globali, per unità di dollaro speso in ricerca, li ha portati a trovare tre volte di più. Questo è un esempio di competenza industriale sotto lo Stato".
L’evento ha ospitato anche la presentazione del quinto Osservatorio sui mercati dei capitali in Italia, documento a cura di Equita, che analizza le emissioni più significative nonché gli intermediari e gli investitori più attivi e che da quest’anno include una sezione interamente dedicata all’analisi delle performance e delle emissioni ESG sui mercati.
"Stiamo vedendo la nascita di moltissimi Pir alternativi - ha detto Francesco Perilli, Presidente di Equita -, prodotto estremamente interessante che verrà guardato con interesse non soltanto dai gestori retail ma anche da molti private banking. Il vantaggio è non pagare nessuna tassa sul capital gain, no tassa 26%, nessuna tassa sui dividendi, sulle cedole dei titoli di debito, avere un’esenzione completa sull’imposta di successione. Per il 2021 c’è un paracadute fiscale per cui saranno detraibili fiscalmente il 20% delle eventuali perdite degli investimenti fatti fino dicembre 2021".
In chiusura è stato infine consegnato il Premio per le migliori strategie di utilizzo del mercato dei capitali conferito da Equita – con il patrocinio di Università Bocconi e di Borsa Italiana – per premiare l’originalità e l’efficacia delle operazioni effettuate sui mercati dei capitali e realizzate come leva per il rilancio e lo sviluppo dell’impresa.